Israele: la realtà del movimento Standing Together
In un nostro precedente post (*) abbiamo accennato all’attività dell’unico movimento esistente – ad oggi – in Israele che si sia espresso nelle piazze “contro la guerra, il razzismo e l’occupazione”: Standing Together. Dal blog Brescia anticapitalista riprendiamo qui l’intervista ad Uri Weltmann, uno dei dirigenti del movimento, in cui sono esposte in maniera chiara e genuina le posizioni e le iniziative prese da ST negli scorsi mesi e, cosa interessante, il loro crescendo, arrivato fino alla decisione di istituire la Guardia Umanitaria per fare da “barriera fisica” contro le pattuglie di coloni che ai valichi per Gaza assaltano i camion degli aiuti alimentari sotto la “sorveglianza” complice, una vera e propria protezione, della polizia e dell’esercito sionisti.
I giovani di questo movimento sociale ebraico arabo-israeliano credono possibile la creazione di uno stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme Est nei confini precedenti al 1967 accanto allo stato di Israele, a differenza di noi che riteniamo impossibile una simile coesistenza data la natura coloniale dello “stato ebraico”; hanno una fiducia che noi non nutriamo nelle risoluzioni delle Nazioni Unite e nel fatto che un cambio di governo (per via elettorale) possa facilitare l’arrivo alla pace. E potremmo notare altre diversità di vedute su altre questioni ancora. Tuttavia resta il fatto, degno di nota e di rispetto, che in un contesto di guerra, di sicuro a loro ostile, si siano messi in marcia contro i crimini del governo israeliano e non intendano fermarsi. Grazie all’irriducibile resistenza palestinese, qualcosa si muove anche nella società israeliana, profondamente intrisa di veleni coloniali, militaristi, razzisti. (Red.)
La realtà del movimento Standing Together
Il leader di Standing Together racconta come la sinistra pacifista, composta da ebrei e arabi, si stia organizzando contro la guerra, il razzismo e l’occupazione.
Standing Together è un movimento sociale ebraico-arabo israeliano contro il razzismo e l’occupazione e per l’uguaglianza e la giustizia sociale. In questa intervista, Uri Weltmann, dirigente nazionale di Standing Together, parla del crescente movimento per la pace in Israele, di come gli attivisti stiano affrontando gli attivisti di estrema destra che cercano di bloccare gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e dei recenti risultati elettorali della sinistra.
intervista Federico Fuentes a Uri Weltmann, dirigente del movimento arabo-ebraico Standing Together, da nuso.org
Come si è evoluto il movimento per la pace in Israele dopo il 7 ottobre? Sta cambiando l’opinione pubblica e sta minando gli sforzi bellici del premier Benjamin Netanyahu, e quale ruolo svolge Standing Together nel movimento?
Dopo il 7 ottobre, la polizia israeliana ha limitato il diritto delle persone a protestare e a esercitare le proprie libertà civili. Era quasi impossibile ottenere un permesso per manifestare. Così, per tutto ottobre e novembre, la maggior parte delle azioni intraprese dal complesso del movimento per la pace – compreso Standing Together – non sono state necessariamente marce, picchetti o raduni.
Abbiamo invece appeso per le strade cartelli con la scritta “Solo la pace porterà sicurezza” e organizzato conferenze di emergenza ebraico-araba in due dozzine di città in tutto Israele, in cui abbiamo sollevato la richiesta di un percorso alternativo a quello del governo.
Solo a dicembre è emersa la possibilità di organizzare proteste più ampie. In quel periodo, Standing Together ha riunito centinaia di persone in una manifestazione ad Haifa il 16 dicembre e altre 1.000 persone in una manifestazione a Tel Aviv il 28 dicembre. A gennaio abbiamo organizzato la nostra prima marcia contro la guerra, in cui una coalizione di oltre 30 movimenti e organizzazioni per la pace ha mobilitato migliaia di persone.
L’ultima e più grande manifestazione si è svolta all’inizio di maggio, con oratori palestinesi ed ebrei e migliaia di persone che hanno marciato a Tel Aviv con lo slogan “Fermate la guerra, riportate gli ostaggi”. Uno degli oratori è stato Shachar Mor (Zahiru), il cui nipote è detenuto da Hamas a Gaza. Ha criticato aspramente il cinismo di Netanyahu e dei suoi alleati e ha chiesto la fine della guerra per riportare gli ostaggi. Avivit John, un sopravvissuto al massacro del Kibbutz Beeri, dove il 7 ottobre sono stati uccisi molti civili, ha detto alla folla che, sebbene abbia perso amici e familiari nell’attacco di Hamas, non vuole che anche noi come società perdiamo la nostra umanità. Ha chiesto la fine della guerra, il riconoscimento della comune umanità di israeliani e palestinesi e la restituzione degli ostaggi.
Accanto alle proteste organizzate dal movimento per la pace, c’è stato anche un movimento di protesta più ampio che ha chiesto la restituzione degli ostaggi e che nel tempo ha assunto una linea esplicitamente antibellica.
Nei primi mesi dopo il 7 ottobre, parenti e amici degli ostaggi hanno organizzato manifestazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla loro situazione, con l’obiettivo di fare pressione sul governo. Due mesi fa, tuttavia, questo movimento ha compiuto una svolta a sinistra, collegandosi con organizzazioni anti-Netanyahu e annunciando pubblicamente di essere giunto alla conclusione che Netanyahu e il suo governo sono un ostacolo a un accordo di cessate il fuoco che potrebbe facilitare il rilascio degli ostaggi. E hanno detto che è necessario un movimento di massa per costringere il governo a ritirarsi e a indire elezioni anticipate.
Qualche settimana fa, quando i negoziati tra Israele e Hamas sembravano sul punto di raggiungere un accordo, questo movimento di protesta si è apertamente dichiarato a favore della fine della guerra in cambio della restituzione degli ostaggi.
Hanno tenuto una delle loro proteste di massa del sabato a Tel Aviv – a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone – con lo slogan “Ostaggi, non Rafah”, e hanno reso popolare il canto “Kulam Tmurat Kulam” (in ebraico “Liberateli tutti, in cambio di tutti”), un appello per il rilascio delle migliaia di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane in cambio della liberazione degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas.
Questo ampio movimento di protesta ha cambiato il clima politico in Israele: i partiti di destra ed estrema destra che compongono la coalizione di Netanyahu stanno perdendo terreno tra la popolazione.
Se nelle elezioni del novembre 2022 avevano ottenuto 64 dei 120 seggi della Knesset (il parlamento israeliano), secondo gli ultimi sondaggi ora otterrebbero solo 45-52 seggi. Ciò rappresenta un problema per Netanyahu, in quanto non solo verrebbe rimosso dall’incarico, ma il suo processo per corruzione riprenderebbe e potrebbe finire in carcere.
Ha quindi un interesse sia politico che personale in una guerra prolungata ed estesa a Gaza, come richiesto dai suoi partner di coalizione di estrema destra. Sa che un accordo sugli ostaggi molto probabilmente significherà la fine della guerra. E che la fine della guerra significherà lo smantellamento della sua coalizione di governo e la convocazione di elezioni anticipate, con una conseguente sconfitta politica e la possibile perdita della sua libertà personale.
È questa valutazione che ha portato l’ampio movimento di protesta che chiede la restituzione degli ostaggi a rendersi conto che Netanyahu è un ostacolo da rimuovere e non solo una parte interessata da convincere.
I membri di Standing Together sono intervenuti in queste proteste di massa – a Tel Aviv, Haifa, Gerusalemme, Beer Sheva, Kfar Sava, Karmiel e altrove – insistendo sul fatto che la restituzione sicura degli ostaggi deve andare di pari passo con la fine della guerra e dell’uccisione di civili innocenti a Gaza.
Inoltre, il nostro messaggio è che la sicurezza a lungo termine di entrambi i popoli non sarà raggiunta attraverso la guerra, l’occupazione e l’assedio. Al contrario, chiediamo la fine dell’occupazione e una pace tra Israele e Palestina che riconosca il diritto di tutti a vivere in libertà, sicurezza e indipendenza.
Ci sono milioni di ebrei israeliani nel nostro paese e nessuno di loro se ne andrà. Ci sono anche milioni di palestinesi nel nostro paese e nessuno di loro se ne andrà. Questo deve essere il punto di partenza della nostra politica se vogliamo immaginare un futuro di giustizia, liberazione e sicurezza.
Standing Together ha costituito la Guardia umanitaria per contrastare i tentativi dell’estrema destra di bloccare i convogli di aiuti diretti a Gaza. Cosa può dirci di questa iniziativa?
A metà maggio, le immagini e i video di coloni violenti ed estremisti, noti come Hilltop Youth, che attaccavano i camion al checkpoint di Tarqumia – il principale punto di passaggio che collega i territori palestinesi occupati in Cisgiordania con Israele – che trasportavano cibo e altri aiuti umanitari alla Striscia di Gaza assediata, hanno attirato l’attenzione.
Gli autisti palestinesi dei camion sono stati picchiati e ricoverati in ospedale, i sacchi di farina e grano sono stati distrutti e i camion sono stati dati alle fiamme. Questi violenti attacchi hanno ricevuto l’attenzione dei media locali e internazionali, anche perché si sono svolti davanti a soldati e polizia israeliani che non hanno fatto nulla per fermarli.
In risposta, Standing Together ha annunciato la formazione della Guardia Umanitaria, un’iniziativa che ha riunito attivisti per la pace di tutto Israele per fare da barriera fisica tra i coloni estremisti e i camion, documentare ciò che stava accadendo e costringere la polizia a intervenire. Ad oggi, più di 900 persone si sono iscritte come volontari per questa iniziativa.
Ogni giorno, decine di persone si recano al checkpoint da Gerusalemme e Tel Aviv. La nostra presenza protettiva al checkpoint di Tarqumia ha permesso il passaggio sicuro di centinaia di camion nelle prime due settimane, consegnando tonnellate di cibo alla popolazione civile della Striscia di Gaza, dove si sta verificando una crescente carestia e catastrofe umanitaria.
Il primo giorno in cui mi sono recato sul posto, la polizia è stata costretta a spingere i coloni da parte e a permettere il passaggio dei camion, i cui autisti suonavano il clacson in segno di sostegno. I coloni sembravano visibilmente infastiditi dalla nostra presenza e dal fatto che fossimo più numerosi di loro. Hanno lasciato il posto di blocco, ma abbiamo appreso dal loro gruppo WhatsApp che si stavano raggruppando sulla strada per attaccare i camion prima che raggiungessero il posto di blocco.
Quando siamo arrivati all’incrocio dove si trovavano, li abbiamo trovati a saccheggiare un camion, distruggendo pacchi di cibo e gettandoli sul ciglio della strada. Solo al nostro arrivo la polizia li ha fatti allontanare con riluttanza, permettendo al camion semidistrutto di ripartire. Abbiamo raccolto il cibo per metterlo sui camion successivi. Abbiamo anche documentato gli attacchi dei coloni e presentato denunce, che hanno portato all’arresto di alcuni di loro da parte della polizia.
Consideriamo che la Guardia Umanitaria sia un modo per esprimere solidarietà al popolo della Striscia di Gaza sia un modo per condurre una lotta per il carattere della nostra società: ci rifiutiamo di permettere che la società israeliana sia plasmata dai quadri morali dei fanatici di estrema destra che disumanizzano i palestinesi e promuovono una politica di morte.
Standing Together, come movimento, è radicato all’interno della società israeliana, con tutte le sue complessità, e lavora per generare cambiamenti nell’opinione pubblica e organizzare i cittadini ebrei e palestinesi di Israele per costruire una nuova maggioranza all’interno della nostra società, che ci permetta di muoverci verso la pace, l’uguaglianza e la giustizia sociale e climatica.
Le Nazioni Unite hanno recentemente votato per elevare lo status della Palestina all’interno dell’organizzazione, mentre alcuni governi europei hanno riconosciuto ufficialmente lo stato palestinese. Gli Stati Uniti hanno persino rifiutato di fornire a Israele le bombe per attaccare Rafah. All’interno di Israele, c’è la sensazione che si stia perdendo il sostegno internazionale e che impatto ha questo sull’opinione pubblica del governo?
Il voto delle Nazioni Unite per dare più diritti ai palestinesi in quell’organismo, così come la decisione di Spagna, Norvegia e Irlanda di riconoscere formalmente lo stato palestinese, sono passi diplomatici importanti per rafforzare la legittimità internazionale della lotta di liberazione e del diritto a uno stato palestinese.
Sono convinto – e su questo c’è un ampio consenso internazionale – che le risoluzioni delle Nazioni Unite siano la base migliore per consentire ai palestinesi di conquistare il loro diritto all’autodeterminazione nazionale, attraverso la creazione di uno stato indipendente con Gerusalemme Est come capitale e la Linea Verde (il confine precedente al 4 giugno 1967) come confine tra gli stati di Palestina e Israele.
Tale accordo di pace dovrebbe includere lo smantellamento di tutti gli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata, che sono illegali secondo il diritto internazionale; una soluzione giusta e consensuale per i rifugiati palestinesi, basata sulle risoluzioni delle Nazioni Unite; la demolizione del cosiddetto Muro di separazione costruito all’inizio degli anni Duemila; e il rilascio dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, compresi gli oltre 3.600 “detenuti amministrativi” che rimangono in carcere senza accusa, processo o condanna, in alcuni casi per molti anni.
All’interno di Israele, i media mainstream ritraggono questo cambiamento nell’opinione pubblica internazionale e gli sviluppi diplomatici come presumibilmente diretti contro tutti gli israeliani. La classe politica israeliana cerca di confondere il governo e lo stato con la gente comune e presenta le critiche internazionali rivolte all’operato del governo Netanyahu a Rafah come critiche rivolte a tutti i cittadini israeliani, mentre le accuse di crimini di guerra rivolte a Netanyahu e ad altri esponenti delle alte cariche vengono presentate come accuse rivolte a tutti gli israeliani.
Questo ha l’effetto di consolidare le persone intorno al governo di Netanyahu, in modo che anche coloro che criticano le sue azioni o cercano un’alternativa politica si schierino con lui contro il tribunale dell’Aia.
Questo dimostra l’importanza di creare uno spazio all’interno della società israeliana per criticare le politiche dell’establishment politico. Se tutte le critiche sono esterne, o se le critiche confondono il popolo con il governo, l’effetto sarà quello di chiudere, anziché allargare, il divario tra la maggioranza del popolo e l’attuale leadership.
Nel bel mezzo della guerra si sono tenute le elezioni locali in cui, per la prima volta, Standing Together ha ottenuto una rappresentanza nei consigli comunali di Tel Aviv e Haifa. Cosa puoi dirci di questi risultati e del loro significato per la costruzione di una nuova sinistra in Israele?
Il 27 febbraio si sono tenute le elezioni amministrative in Israele. Originariamente previste per ottobre, sono state rinviate a causa della guerra. Queste elezioni, che si tengono ogni cinque anni, determinano la composizione dei consigli comunali. Nei mesi precedenti alle elezioni, due nuovi movimenti urbani, entrambi ideologicamente allineati con Standing Together, sono emersi a Tel Aviv e Haifa per contestare le elezioni.
A Tel Aviv, il movimento locale Purple City, guidato da Itamar Avneri, membro della direzione nazionale di Standing Together, riunisce una coalizione di giovani, per lo più della città, su questioni di giustizia abitativa e climatica. A settembre, si è unito ad altri settori della sinistra, come il Partito Comunista, un movimento ambientalista locale e alcuni attivisti della comunità per formare una coalizione elettorale chiamata We Are All The City (“La città siamo tutti”). Questa coalizione ha ottenuto 14.882 voti (7,6%) alle elezioni e ha conquistato 3 dei 31 seggi del consiglio comunale. Avneri, che era il terzo candidato della lista della coalizione, è stato eletto consigliere.
Ad Haifa, il movimento locale The City Majority, guidato da Sally Abed della direzione nazionale di Standing Together, ha partecipato alle elezioni e ha ottenuto 3.451 voti (3%), permettendo ad Abed di essere eletta come unica consigliera donna. È stata la prima volta che una donna palestinese ha guidato una lista per il consiglio comunale di Haifa. La lista comprendeva anche il candidato Orwa Adam, un attivista palestinese apertamente gay, una novità assoluta nella storia elettorale israeliana.
Entrambe le liste erano movimenti congiunti ebraico-arabi e, sebbene indipendenti dal punto di vista organizzativo, legale e finanziario da Standing Together – come richiesto dalle leggi elettorali – sono state pubblicamente riconosciute come in linea con il nostro “marchio” politico.
Queste esperienze di successo di movimenti elettorali organizzati dal basso sono importanti per la costruzione di una nuova sinistra popolare e vitale in Israele, radicata nelle nostre comunità, con un orientamento internazionalista e fondata su valori socialisti.
Nei prossimi anni, questa è la sfida principale per tutti noi che speriamo di vedere una sinistra combattiva in Israele, capace di confrontarsi con l’egemonia istituzionale dominante e di costruire il potere attorno a un progetto politico alternativo.
(*)
11/6/2024 https://pungolorosso.com/
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