Russia/Ucraina. Lettera aperta ad un inviato di un noto quotidiano milanese
Pubblichiamo una nota ricevuta dalla redazione
di Mauro Vezzosi
Gentile collega,
ritengo molto significative le sue esternazioni nei miei confronti a proposito dell’azienda italiana attaccata lo scorso 18 giugno dalle forze ucraine nella regione di Rostov sul Don: significative non soltanto per me o per lei ma soprattutto per i nostri lettori, dal momento che la nostra professione impone a me come a lei di dare loro conto di quanto sosteniamo o neghiamo. Le avevo chiesto di esprimersi pubblicamente sulla vicenda, formulando un invito di cui un giornalista non dovrebbe avrebbe avere bisogno: non avendo il mio invito sortito risultati tangibili ho deciso di rivolgermi a lei con questa lettera aperta. Credo infatti che sia inaccettabile lasciare i nostri lettori all’oscuro di certe posizioni, dal momento che sia io che che lei ci occupiamo della guerra d’Ucraina a titolo professionale. In un primo momento lei ha messo in dubbio la veridicità della notizia, notizia che in Italia sono stato il primo a divulgare. Le verifiche e le critiche sono sempre necessarie e opportune, ma perché non farle tranquillamente e a viso aperto? Nei fatti lei non è stato in grado di smentire una virgola di quello che ho scritto e firmato: credo che sia i miei lettori che i suoi ne debbano essere al corrente. Quanto ho riscontrato nelle sue parole è una sostanziale approvazione di un attacco deliberato nei confronti di un’azienda italiana presente dal 2010 in territorio russo. Lei ha sentenziato che, vista la guerra in Ucraina, gli italiani non devono stare nella Federazione russa e che standoci lo fanno a loro rischio e pericolo. Anche lei ed io – così come i nostri colleghi – quando accettiamo di lavorare in un contesto di guerra – qualunque esso sia – lo facciamo assumendoci i rischi del caso, ma questo non ci rende cittadini italiani con meno diritti degli altri né rende trascurabili la nostra tutela e la nostra rispettabilità.
Pacatamente ho cercato di spiegarle che nessun provvedimento sanzionatorio vieta in assoluto i rapporti commerciali con la Federazione russa, né la presenza di cittadini italiani in territorio russo. Le sue repliche si sono fatte velocemente scomposte, ignorando le mie considerazioni nel merito e travalicando ogni soglia del rispetto. Il fatto che lei abbia accompagnato le sue affermazioni con insulti deliberati nei miei confronti è avvilente: se ne fosse stato capace avrebbe potuto difendere il suo punto di vista mantenendo comunque il rispetto che io – nonostante le evidenti divergenze – non ho mancato di riconoscerle. Con il suo atteggiamento ha gettato discredito anche sulla storica presenza dell’industria italiana nella Federazione russa e sull’impegno quotidiano di tanti italiani che lavorano – oltre che per sé stessi e per le proprie famiglie – anche per l’interesse nazionale. Lei ha avuto persino il cattivo gusto di suggerirmi come farmi assumere da un grande giornale come quello per cui lei lavora: parafrasandola, mi sarebbe sufficiente continuare a fare quello che faccio, ma alla condizione di rinunciare al mio punto di vista e di conformarmi al suo. Una conferma di cui, le assicuro, non avevo alcun bisogno. Quella che lei ha scritto con la sua condotta nei miei confronti è un’altra piccola storia triste nel panorama editoriale del nostro paese: soprattutto per quanto concerne l’attualità internazionale, ambito in cui sono stati sistematici i tentativi di delegittimare chiunque abbia criticato l’approccio oltranzista al di là dei Carpazi così come nel Vicino Oriente. Una delegittimazione che la maggioranza degli italiani non ha affatto accettato e che è incompatibile sia con i precetti deontologici che come giornalisti siamo tenuti a rispettare sia con qualunque forma democratica.
Le ho anche fatto notare che anagraficamente potrebbe essere mio padre, ma nemmeno questo sembra averla fatta ravvedere o aver sortito in lei qualche effetto positivo: avrebbe potuto, ad esempio, chiedere scusa senza aspettare di trovarsi messo alle strette da quello che scrivo. Spero almeno che gli stimoli di queste righe la mettano nella condizione di sostenere pubblicamente quello che ha voluto farmi sapere con tanta spavalderia.
In attesa di essere smentito la saluto con i migliori auguri per il suo pensionamento.
Roma, 17 luglio 2024
Maurizio Vezzosi, analista e reporter freelance. Collabora con RSI Televisione Svizzera, LA7, Rete4, L’Espresso, Limes, l’Atlante geopolitico di Treccani, il centro studi Quadrante Futuro, La Fionda ed altre testate. Ha raccontato il conflitto ucraino dai territori insorti contro il governo di Kiev documentando la situazione sulla linea del fronte. Nel 2016 ha documentato le ripercussioni della crisi siriana sui fragili equilibri del Libano. Si occupa della radicalizzazione islamica nello spazio postsovietico, in particolare nel Caucaso settentrionale, in Uzbekistan e in Kirghizistan. Nel quadro della transizione politica che interessa la Bielorussia, nel 2021 ha seguito da Minsk i lavori dell’Assemblea Nazionale. Tra la primavera e l’estate del 2021 ha documentato il contesto armeno post-bellico, seguendo da Erevan gli sviluppi pre e post elettorali. Nel 2022, dopo aver seguito dalla Bielorussia il referendum costituzionale, le trattative russo-ucraine, e sul campo l’assedio di Mariupol, ha proseguito documentare la nuova fase del conflitto ucraino. Nel 2023 ha continuato a documentare la situazione nelle aree di Lugansk, Donetsk, Zaporozhe e Kherson sotto controllo russo. Durante l’estate si è recato in Georgia approfondendo la situazione sociale e politica della repubblica caucasica. A settembre ha partecipato al’AJB DOC Film Festival (Al Jazeera Balkans) di Sarajevo e al festival Visioni dal Mondo di Milano con il documentario “Primavera a Mariupol” (Spring in Mariupol). È assegnista di ricerca presso l’Istituto di studi politici “S. Pio V”.
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