Niente paura, lotta di classe

Il Festiwalla di Berlino, rassegna di teatro, arte, lotta e cultura, ha creato un ponte con il Festival di letteratura working class. Tra Berlino e Campi Bisenzio, tra letteratura e teatro, tra cultura e conflitto sociale

«Gli attori di teatro sono quasi tutti middle class, gli spettatori dei teatri sono quasi tutti middle class, i registi sono quasi tutti middle class». Con queste parole – che ha chiesto al pubblico di ripetere insieme più di una volta – il fondatore dell’Associazione Theater X Ahmed Shah ha sintetizzato il problema che si è posto quest’anno il Festiwalla, Festival di teatro, arte, lotta politica e cultura organizzato a Berlino dal 10 al 14 luglio scorsi dal collettivo della sua associazione.

Alcune delle organizzatrici erano venute ad aprile a Campi Bisenzio a seguire il nostro Festival di letteratura working class, proponendoci di creare un ponte tra la nostra esperienza e la loro, tra Berlino e Campi Bisenzio, tra letteratura e teatro di classe.

Il teatro del popolo

Il Theater X è un «collettivo di collettivi», composto di giovani, attiviste, lavoratori e lavoratrici – in larga parte migranti e seconde generazioni – che praticano «teatro di comunità», applicando le pratiche di comunicazione teatrale ai movimenti sociali e intervenendo in vari contesti territoriali berlinesi tramite il teatro autorganizzato. Da alcuni anni Theater X ha contribuito a creare il network «Culture of Resistance», che unisce diversi gruppi e attivisti della cultura comunitaria provenienti da varie parti del mondo (Cile, Nigeria, Bolivia, Palestina, Italia, Germania e Stati uniti) per costruire una rete basata sulla cura, l’attivismo e la comunità. 

Molti di questi gruppi erano presenti anche al Festiwalla di quest’anno – giunto alla sesta edizione – intitolato «Keine Angst! Klassenk*mpf!» («Niente paura! Lotta di classe!»). L’idea di incentrare questa edizione del Festival sulla lotta di classe è nata dopo essere riusciti, attraverso un bando finanziato dal Lotto tedesco, a riprendersi per una settimana il Volksbühne (Teatro del popolo). Si tratta di un teatro bellissimo, il più grande di Berlino, voluto negli anni Dieci del Novecento dal movimento operaio tedesco, finanziato con i contributi dei lavoratori e delle lavoratrici che perseguivano l’idea di promuovere opere teatrali a prezzi accessibili alla working class. Oggi il Volksbühne ha una gestione istituzionale, con una programmazione che di fatto esclude dall’accesso chi abita nei quartieri più popolari e difficili della città. Theater X è rientrata in questo luogo per riportare la classe nel cuore della rappresentazione culturale tedesca: «Non ci basta però entrare noi in questo teatro – ha detto ancora Ahmed – Vogliamo portare questo teatro in ogni quartiere, in ogni comunità».

Yalla Yalla Festiwalla

Lo slogan continuamente ripetuto del Festival – «Yalla Yalla Festiwalla» – gioca esplicitamente con lo slang arabo sempre più diffuso anche nelle periferie delle metropoli occidentali. Il fittissimo programma del Festival, ricco di eventi dalla mattina fino a mezzanotte con una partecipazione di oltre 500 persone ogni giorno, era infatti concentrato sulle prospettive giovanili emarginate e sulla loro arte. Con un succedersi di spettacoli teatrali, monologhi, dibattiti, musical, workshop e concerti. 

Ad aprire la prima serata del mercoledì sera è stato il musical di Next Generation, uno dei collettivi di Theater X, con al centro gli scioperi dei rider tedeschi e le loro storie di lavoro, solidarietà e resistenza. Lo spettacolo di apertura del giovedì, curato dal club al Hakawati (sempre parte di Theater X), ha invece messo in scena il tema centrale del Festival, ossia il modo in cui viene utilizzata la paura per creare il mercato della «sicurezza» e fomentare la guerra tra poveri. La paura della solitudine, della povertà, di perdere il lavoro, di non essere all’altezza degli standard richiesti. La paura della repressione della polizia, di essere seguite di notte, di subire violenza di genere o di morire soffocati sotto le bombe e le macerie. Paure che producono la «classe contro sé». Subito dopo un altro musical ha messo in scena come funziona la Rheinmetall, la principale industria bellica tedesca, e la «storia d’amore tra Stato e capitale» che crea le guerre in giro per il mondo. 

Il palco centrale del venerdì sera è stato invece occupato dalla performance multimediale del collettivo nigeriano di teatro danza Illumanitetheatre, sulle esperienze di migrazione e il loro intreccio con le oppressioni di genere, razza e classe. A seguire si sono alternati al microfono vari gruppi giovanili rap con protagoniste le voci dalla diaspora e dalle strade di Berlino. 

Il sabato c’è stato il momento più difficile e toccante. Nel palco centrale, la sera alle 20, avrebbe dovuto andare in scena l’ensemble giovanile del Freedom Theatre di Jenin con lo spettacolo My age 14/15, in cui alcuni giovanissimi ragazzi del campo profughi di Jenin in Cisgiordania raccontano storie sulla propria vita e su come si cresce in un territorio occupato. A causa di vari ostacoli burocratici, i giovani non sono riusciti a ottenere il visto in tempo per arrivare a Berlino ed esibirsi, in un paese come la Germania attraversato da continui casi di panico morale caratterizzati da accuse di antisemitesmo rivolte a chiunque solidarizzi con il popolo palestinese. È stato però proiettato un film sul loro spettacolo, discusso poi direttamente con loro in un collegamento online davvero emozionante.


La domenica abbiamo lasciato il Volksbühne per spostarci a Berlino nord dove, per strada e fin dentro la chiesa adiacente alla sede di Theater X, i partecipanti ai workshop mattutini dei giorni precedenti – animati da gruppi provenienti da diversi paesi, tra cui due gruppi italiani: Tra i binari di San Miniato (Pisa) e Kabobo di Milano – hanno messo in scena modalità creative e artistiche con cui intervenire nelle situazioni conflittuali di piazza. 

Cultura e lotta di classe

Il sabato pomeriggio il Festiwalla si è fermato a discutere. Uno dei due dibattiti –  in una Germania che è appena arrivata a spendere 100 miliardi all’anno in spese militari – era incentrato sull’attuale fase di guerra e ha ruotato attorno a queste domande: «Quale classe deve andare in guerra e quale classe ne trae vantaggio? Possiamo fermare la guerra con la lotta di classe?». Le esperienze tedesche a intervenire sono state la rete Rheinmetall Disarmen – che da anni organizza azioni contro l’industria degli armamenti tedesca – e la Coalizione studentesca di Berlino protagonista delle accampate universitarie degli ultimi mesi. Con loro si è confrontata l’esperienza italiana del Collettivo dei lavoratori portuali di Genova (Calp) protagonisti dello sciopero per bloccare la logistica delle armi nei porti italiani. Esperienza seguita con attenzione anche perché l’utilizzo degli strumenti della lotta di classe per fermare la guerra è un tema particolarmente difficile in Germania, dove il diritto di sciopero è molto più limitato rispetto ad altri paesi europei, tanto da vietare lo sciopero politico e lo stesso sciopero generale. 

L’altro dibattito ha avuto al centro il nostro Festival di letteratura working class e la capacità del Collettivo di fabbrica Gkn di utilizzare la cultura come uno degli strumenti della propria lotta. Oltre ai libri e al Festival di letteratura, i lavoratori e le lavoratrici di Campi Bisenzio hanno infatti saputo utilizzare anche il teatro, con il bellissimo spettacolo ideato dalla compagnia teatrale Kepler 452 che ha girato l’Italia e non solo, andando in scena anche a Berlino lo scorso 20 aprile. 

Il dibattito tra noi, il Theater X e l’Inti Phajsi – un’istituzione educativa che utilizza mezzi pedagogici teatrali a El Alto, in Bolivia – aveva in primo luogo l’intento di smascherare chi gestisce davvero la cultura nelle grandi istituzioni e analizzare dal punto di vista sociale chi effettivamente guarda gli spettacoli. Ma l’obiettivo di un festival come questo non è fermarsi alla denuncia, ma cercare nuove possibili e inaspettate pratiche di lotta: «Lo sappiamo tutti – ha detto Mayada Darwiche di Theater X durante il dibattito – gli spazi culturali hanno un problema di classe da diversi punti di vista, anche direttamente per chi come noi fa teatro. Per esempio alle donne con il velo, come me, vengono proposti solo alcuni specifici ruoli, svilendo di fatto le capacità professionali di alcuni soggetti sociali. Ma non è sufficiente denunciare queste differenze di classe. Dobbiamo capire in che modo possiamo fare lotta di classe nella cultura e in che modo la cultura può alimentare la lotta di classe».

In quest’ottica ha suscitato grande interesse il racconto del nostro Festival di letteratura working class organizzato non per gli operai ma insieme agli operai di Campi Bisenzio, direttamente nel loro presidio di fabbrica, sperimentando un modo inaspettato in cui fare – attraverso i libri, la poesia e la letteratura – un picchetto, un blocco stradale e un corteo. Un modo di alimentare la lotta di classe con la cultura che non a caso ha particolarmente innervosito l’attuale proprietà dell’ex Gkn, rivelandosi la pratica più efficace per allargare oltre alla consueta area di riferimento il consenso e l’attenzione intorno a questa lotta, senza per questo rinunciare a nessuna delle forme più radicali della tradizione dei conflitti operai. 

Del resto, come sottolineato dallo stesso Collettivo di fabbrica nei nostri Festival e uscito ripetutamente anche dentro al Festiwalla, la cultura e la lotta di classe si incontrano perché se si riesce a rientrare nell’immaginario collettivo si è più forti nel rivendicare i propri diritti. E perché la lotta per il salario è in fondo una lotta per il valore del proprio tempo, della propria vita. E saper raccontare con la letteratura, il cinema e il teatro, la propria vita aumenta il valore e la forza della working class.  

Per chiudere questo ponte tra Berlino e Campi Bisenzio – che speriamo di proseguire in futuro – ci hanno chiesto di leggere un brano dal libro Insorgiamo, che guarda caso riprende proprio le parole chiave del titolo del Festiwalla: 

Noi da quel 9 luglio non abbiamo paura di fallire, di cadere. Noi da quel 9 luglio diciamo solo cosa sarebbe necessario fare. E facciamo tutto il possibile per farlo. Noi da quel 9 luglio abbiamo deciso di non ammalarci più della loro paura, ma di mettere paura.

Giulio Calella, cofondatore e presidente della cooperativa Edizioni Alegre, è editor di Jacobin Italia.

19/7/2024 https://jacobinitalia.it/

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