Il Governo prepara una norma che consentirà ai padroni di cacciare i lavoratori, facendo apparire il licenziamento come dimissioni volontarie
Nel disegno di legge 1532 bis, intitolato “Disposizioni in materia di lavoro”, presentato da ben otto ministri del governo Meloni, guidati dalla ministra del lavoro Calderone, è contenuta una norma sfacciatamente a sostegno dei padroni. È l’articolo 9 che considera dimissioni volontarie del lavoratore l’assenza ingiustificata di più cinque giorni e che, pur senza che il lavoratore abbia manifestato alcuna volontà esplicita di lasciare il lavoro, consentirà di chiudere il rapporto di lavoro senza corresponsione della Naspi al novello disoccupato.
Per chi vive di lavoro precario e saltuario questa norma, se sarà approvata, rappresenterà un altro colpo alla possibilità di difendersi e metterà i padroni in una condizione di ulteriore vantaggio.
Due sono le situazioni più abituali nelle quali verrebbero a trovarsi i lavoratori sotto gli effetti di questa norma. Da un lato, la possibilità di essere letteralmente cacciati via dal padrone, il quale acquisirebbe di fatto la possibilità di allontanare il dipendente dal posto di lavoro e inviare, passati i cinque giorni di assenza, la comunicazione all’INPS della risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni volontarie del dipendente. Certo, esiste sempre la possibilità di rivolgersi alle vie legali, ma di fatto entrerebbe in vigore una norma che stabilisce che un lavoratore va considerato come dimissionario volontario pur senza averlo dichiarato esplicitamente (che è quanto previsto dalle norme vigenti) e che in realtà è stato licenziato.
Dall’altro, in tutti quei casi in cui i lavoratori decidono effettivamente di lasciare il lavoro perché stanchi dei soprusi, dei maltrattamenti, delle inadempienze contrattuali e via dicendo, si ritroverebbero a dover dimostrare la “giusta causa” delle loro dimissioni, pena la perdita della Naspi.
La logica del provvedimento è semplice: i lavoratori devono accettare le condizioni poste dai padroni, punto e basta. Il ricorso dei lavoratori all’utilizzo delle dimissioni per difendersi va limitato al minimo, per evitare che si trasformi in un’arma che metta in difficoltà la parte datoriale. E al padrone va concessa la massima libertà di poter disporre del lavoro altrui, anche a salari bassi e rispettando solo in parte le condizioni previste dai contratti.
Di fronte al lavoro sottopagato e con scarse tutele, quello che non riconosce alcuna dignità e che si trasforma in una condizione degradante e mortificante, e che sembra essere da diversi anni la caratteristica sempre più diffusa nella quale si presenta il lavoro in Italia, ai lavoratori vanno sottratte tutti gli strumenti che possono garantire un minimo di difesa. Questa è la logica perseguita da questo governo, che poi decanta il falso aumento degli occupati, dimenticando di raccontare che tipo di lavoro sta aumentando nel nostro paese.
L’operazione però non è solo materiale ma ha anche un risvolto ideologico, come spiega bene l’avvocato del lavoro Bartolo Mancuso nell’articolo che pubblichiamo qui sotto. In un mercato del lavoro all’insegna dello sfruttamento, i furbetti sarebbero quei lavoratori che si dimettono perché scansafatiche e che vorrebbero vivere in modo parassitario sfruttando la Naspi.
Per combattere questa ideologia filo-padronale occorre non solo denunciare i bassi salari, il lavoro grigio e nero, il ricatto della precarietà, ecc. ma occorre anche costruire una “politica sindacale” per questa parte, la più debole, del mondo del lavoro. E in questa politica c’è una richiesta di fondo che va avanzata ed è quella dell’indennità di disoccupazione ogni volta che si lascia il lavoro, sia per licenziamento, sia per dimissioni, con o senza giusta causa. Di fronte a un lavoro sempre più precario, poter disporre di un sussidio di protezione tra un lavoro e l’altro, è una rivendicazione minima ma anche un’arma per difendersi dal ricatto padronale. È ora di costruire su questo una risposta all’altezza della sfida che governo e padroni ci stanno portando.
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Con le nuove “Disposizioni in materia di lavoro” torneranno le “dimissioni in bianco” dell’avv. Bartolo Mancuso
L’art. 9 comma 1 del Disegno di legge N. 1532-bis denominato “Disposizioni in materia di lavoro”, contiene una norma che, se approvata, rappresenterebbe un grave balzo indietro della civiltà giuridica.
La disposizione normativa prevede che “All’articolo 26 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, dopo il comma 7 è inserito il seguente: «7-bis. In caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a cinque giorni, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo».”
Il “presente articolo” è l’art. 26 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151 che prevede che “le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche […]” cioè tramite una comunicazione da rendere ai patronati.
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Questa disposizione è stata annunciata dal Governo come antidoto contro i “furbetti della Naspi” ovverosia, lavoratori o lavoratrici che pretenderebbero di essere licenziati dai datori di lavoro appunto per ricevere il sussidio che invece non è previsto – salvo i rigidi casi giusta causa – in caso di dimissioni. Scansafatiche che non hanno voglia di lavorare e vogliono poltrire sul divano pagati dai noi contribuenti.
E questo per proteggere le imprese dal dover pagare il pagamento del ticket previsto in caso di licenziamento.
Ecco la storiella: i poveri imprenditori costretti a pagare 1500 euro ricattati dai soliti fannulloni.
Ma questa storia non è solo falsa, di più, è pericolosa, perché non è che una nuova puntata della efficace costruzione ideologica della destra che per amicarsi i primi, arma i penultimi contro gli ultimi.
Dobbiamo dirlo con forza: è tutto finto.
L’obbligo di comunicazione telematica delle dimissioni – introdotta dalla legge Fornero del 2012 e prevista come detto dall’art. 26 d.lgs. 151/2015– ha posto fine alle dimissioni in bianco, o, rimanendo nella metafora, grigie.
Si trattava di un sistema di soggiogamento del lavoratore.
Nei casi più gravi, il lavoratore al momento dell’assunzione era tenuto a firmare, appunto un foglio bianco, che il datore compilava a tempo debito.
Ma poi vi erano casi in cui il lavoratore veniva mandato via senza le formalità e le garanzie del licenziamento per poi essere ritenuto dimissionario. L’unica possibilità per il lavoratore era la difficile, se non impossibile, prova di essere stato cacciato oralmente.
Come detto, la legge Fornero, prima, e la L. 151/2015, dopo, hanno reso tutto chiaro: chi intende recedere il rapporto di lavoro lo deve comunicare formalmente.
L’obiettivo della disposizione in via di approvazione è quella di tornare alla condizione di confusione e soggiogamento del passato.
Il datore potrà cacciare il lavoratore oralmente, per poi accusarlo dopo 5 giorni di essersi assentato senza giustificazione.
Inoltre, non si fa in maniera limpida, perché appunto l’arretramento civile è notevole, troppo forse anche per questa Destra.
Si imposta un arzigogolo tramite un rovesciamento di senso. L’assenza ingiustificata, che è una giusta causa di licenziamento, cioè un motivo per cui il datore può mandare via il lavoratore – ma solo con tutte le garanzie, comunicazione scritta, contestazione disciplinare, fino all’onere della prova a carico del datore ecc.- si tramuta in Dimissione tacite, cioè nel suo contrario.
Tutto è così contorto che si può sperare che la nostra guerriglia giudiziaria possa arginare, almeno in parte, questo mostro giuridico. Ma questo viene dopo.
Adesso il problema è un altro.
Contro questa disposizione non si è sollevata una protesta all’altezza del rischio.
E questo è molto grave, non solo perché si continuano a lasciare soli i più deboli, che saranno maggiormente colpiti, ma perché si trascura la funzione profonda di scardinamento del sistema che norme come questa realizzano.
Si tratta di Disposizioni di legge – per fortuna per adesso solo di un disegno di legge – che mirano, per così dire, a tarpare le ali della Costituzione.
La Nostra Carta cita la parola “lavoro” e “lavoratori” 28 volte, di cui tre nei principi fondamentali. La parola “imprenditore”, Mai.
Il lavoro è inteso come portatore di interessi generali e i lavoratori gli interpreti dei valori migliori.
La Destra sa che la Costituzione si scardina, non sole con riforme strutturali, come autonomia differenziata e Premierato forte, ma anche lavorando ai fianchi i valori fondanti, come la funzione centrale del lavoro.
Lo dico più chiaramente: nel progetto della Destra è centrale che il lavoratore sia soggiogato e denigrato.
E un intervento che esalta la disonestà dei lavoratori, tanto da dover introdurre una norma generale astratta, che significa una norma che regola infiniti comportamenti, come a dire quanto è diffuso il problema, ecco, e proprio quello che ci vuole per colpire il cuore della civiltà giuridica del lavoro.
Il pericolo quindi è alto.
17/7/2024 https://www.usb.it/
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