Deforma dell’istruzione: il governo mette gli istituti tecnici al servizio del mercato
La riforma dell’istruzione tecnico-professionale è ufficialmente legge dello Stato. La scorsa settimana, la Camera dei Deputati ha infatti approvato con 127 voti a favore, 97 contrari e 19 astenuti il provvedimento promosso dal ministro Valditara, che si propone di formare in maniera organica gli alunni alle professioni richieste dal tessuto economico locale e di inserire nel corpo docenti profili che provengono dall’universo del lavoro e dell’impresa. Il cuore della riforma è il modello “4+2”, che prevede un ciclo di studi di quattro anni per ottenere un diploma con lo stesso valore legale del quinquennale tradizionale, seguito da due anni di specializzazione presso gli ITS Academy o altre istituzioni di formazione superiore non accademica. La riforma ha suscitato molte critiche da parte delle forze di opposizione e di numerose associazioni e sigle sindacali, che la ritengono l’ultimo tassello della deriva della scuola italiana verso la subalternità alle imprese e a un’eccessiva dipendenza da finanziamenti privati.
Il provvedimento prevede, nello specifico, che gli studenti abbiano la possibilità di completare il ciclo di studi superiori in quattro anni, al posto dei 5 tradizionali, potendo ottenere alla fine del percorso un diploma dall’equivalente valore legale. Vengono inoltre resi più solidi i collegamenti tra l’universo scolastico e il mondo dell’impresa attraverso l’inserimento di insegnanti provenienti dal settore industriale e l’aumento del monte orario specificamente dedicato all’alternanza scuola-lavoro e all’apprendistato. Si istituiscono inoltre i “campus”, network che collegano l’offerta didattica degli Istituti tecnici e professionali, degli ITS Academy e dei centri di formazione professionale. Sulla carta – come peraltro si denota dalla particolare attenzione riservata alle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) e alle lingue – il fine è quello di allineare il percorso scolastico dei giovani alle esigenze del mercato, ma nella pratica sono in molti a vedere un vero e proprio “appalto” di un pezzo di mondo scolastico alle imprese. Con l’ok alla riforma è stato formalmente dato il via libera a veri e propri contratti con «soggetti del sistema delle imprese e delle professioni» chiamati a svolgere attività «di insegnamento e di formazione nonché di addestramento nell’ambito delle attività laboratoriali e del Pcto», come viene ora chiamata l’alternanza scuola-lavoro. Prima del voto in Aula, proprio la parola «addestramento» aveva scatenato l’ira delle opposizioni, che hanno protestato contro il governo. È importante ricordare come la sperimentazione della nuova istruzione tecnico-professionale sia già avviata, ma con numeri estremamente ridotti: nell’anno scolastico 2023-2024, infatti, su circa 3mila istituti tecnici e professionali hanno aderito al nuovo sistema soltanto 171 scuole. E a scegliere i nuovi istituti sperimentali tecnici professionali sono stati solo 1669 studenti.
Il progressivo allineamento della scuola pubblica agli schemi più classici della privatizzazione è in corso ormai da decenni. Se negli anni Novanta leggi di governi di destra e sinistra spinsero il mondo scolastico e accademico verso l’autonomia statutaria e l’approdo al numero programmato nelle facoltà, con la riforma Moratti del 2003 fu introdotta per la prima volta la cosiddetta alternanza scuola – lavoro, con il parallelo incremento delle ore da dedicare alle materie ritenute indispensabili per accedere all’ambito professionale, designate con l’espressione “tre i”: inglese, informatica e impresa. La stessa ottica venne seguita dalla riforma Gelmini del 2010, con cui si mise peraltro mano a un drastico taglio ai finanziamenti di tutto il comparto dell’istruzione pubblica. In ultimo, con la riforma denominata “Buona Scuola” del 2015, voluta dall’allora premier Matteo Renzi, si è verificato il consolidamento dell’alternanza scuola–lavoro, stabilendo che le scuole superiori debbano sacrificare centinaia di ore di apprendimento di quello che ormai viene considerato il “sapere inutile” – matematica, latino, filosofia e così via -, lasciando spazio a esperienze lavorative. È stata inoltre potenziata l’autonomia scolastica, che ha portato gli istituti a fare a gara per “accaparrarsi” fondi privati, creando di fatto, secondo i critici, scuole di serie A e di serie B. In ultimo, nel 2022 è stata inserita all’interno del PNRR è stata inserita una riforma che trova il suo perno nell’introduzione dei nuovi Licei TED (Transizione Ecologica e Digitale), che costituiranno il primo esempio italiano di superamento della scuola pubblica come la conosciamo. Programmi e funzionamento si avvalgono infatti “della rete di grandi gruppi e imprese che aderiscono al Consorzio di aziende CONSEL“, fra cui Microsoft, Eni, Atlantia, Huawei, BNL, Enel, Generali, IBM, Leonardo, Cisco, Nokia, Oracle, Sky, Vodafone e Snam.
Stefano Baudino
5/8/2024 https://www.lindipendente.online/
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