Part-time donne: quando lavorare meno è un obbligo

Sono 4,2 milioni i lavoratori a tempo parziale. Oltre la metà però non lo ha scelto per conciliare vita e lavoro, ma l’ha dovuto accettare. E non può trasformarlo in tempo pieno. Il report del Forum Disuguaglianze Diversità

Oltre la metà dei 4,2 milioni di lavoratori part-time non ha scelto questa forma contrattuale ma l’ha subita, per necessità o assenza di altre possibilità. È quanto emerge dal report “Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta. Proposte per l’equità di genere e la qualità del lavoro” (qui il Pdf) del Forum Disuguaglianze e Diversità che parla di part-time involontario in riferimento alla condizione di questi lavoratori, che in gran parte sono donne.

«Ormai è noto che sempre più lavoro è precario e mal retribuito, e non è sufficiente a uscire da una condizione di povertà. In questo quadro anche il part-time da strumento di conciliazione di vita e di lavoro, rischia di diventare uno strumento di ulteriore precarizzazione, soprattutto quando viene imposto e non è una scelta del lavoratore e in particolare della lavoratrice. Uno dei segni più evidenti di come abbiamo affrontato la sfida della globalizzazione mortificando il lavoro, in particolare quello delle donne», hanno detto Fabrizio Barca e Andrea Morniroli, co-coordinatori del Forum Disuguaglianze e Diversità.

Part-time involontario: più diffuso tra donne, stranieri e al Sud

Una lettura di genere dei dati sulla forza lavoro mostra che le donne sono i tre quarti delle persone occupate a tempo parziale e che sono tra quelle che più spesso sono costrette ad accettare questa forma contrattuale.

Le donne sono le più colpite dal part-time involontario sotto ogni profilo, socio-demografico, territoriale, di tipologia contrattuale o di settore. Nelle professioni non qualificate il part-time è imposto a quasi 4 donne su 10, contro il 14,2%  degli uomini, ed è più frequente tra le donne più giovani: riguarda il 21% delle occupate tra 15 e 34 anni (percentuale che scende al 14% tra le over55).

Il part-time è imposto più di frequente al Sud, tra le persone straniere, tra chi ha un titolo di studio basso e tra le persone con un impiego a tempo determinato.

Leggi anche:
• Femminicidi e altri delitti: le storie tragiche del 2024 
• Gender gap pensioni: cresce il divario tra donne e uomini

part-time donne con figli
Foto: via Pixabay

Donne con figli, paghe basse, precarietà: storie di lavoratrici part-time

Sono cinque le interviste a donne occupate con part-time involontario riportate nel report del Forum Disuguaglianze e Diversità. Alcune di loro hanno raccontato di essere riuscite a passare da 6-7 ore settimanali a 17,5 ore, altre di essere state costrette ad accettare il part-time per conciliare il lavoro con la cura dei figli o perché attratte dal contratto a tempo indeterminato, anche se non hanno nessuna possibilità di ottenere il tempo pieno.

Alcune delle intervistate sono rientrate al lavoro dopo lunghi periodi e hanno raccontato la difficoltà di gestire le ore lavorative e i turni che, in alcuni casi, sono insoddisfacenti e implicano una remunerazione troppo bassa, mentre in altri casi eccedono le ore previste (e quindi riducono il part-time a un finto orario ridotto) senza la possibilità di un recupero adeguato e di tempi di riposo giusto. Alcune lavoratrici hanno detto di non ricevere una paga adeguata per le ore supplementari.

Altre svolgono due lavori e saranno pensionate povere, si spiega nel report, perché oltre a non avere un salario dignitoso, non riescono ad accumulare sufficienti contributi previdenziali per la pensione.

Leggi anche:
• Caporalato: migliora la repressione, ma manca la prevenzione
• Alviero Martini, caporalato e sfruttamento nella filiera

part-time donne italiane
Foto: via Pixabay

Il lavoro part-time in Italia

Nel report si legge che il ricorso al part-time ha registrato una crescita simile a livello europeo negli ultimi vent’anni: nel 2022 in Italia l’aumento è stato del 18,2%, la media europea del 18,5 per cento. Ma nel nostro paese l’imposizione del part-time riguarda più di un lavoratore su due tra quelli impiegati con questa forma contrattuale (il 56,2% contro il 20% della media europea).

I dati sui contratti attivati nel primo semestre del 2022 mostrano una crescita del lavoro femminile all’insegna della precarietà e della debolezza contrattuale. Dei 4,2 milioni di contratti attivati nel periodo, solo il 41,5% riguardano donne e il 35,6% è a part-time, ma con differenze di genere alte: sul totale dei contratti attivati a donne quasi la metà è a tempo parziale mentre la percentuale scende al 26,2% per gli uomini. Tra i contratti attivati a donne, solo il 15% è a tempo indeterminato, di cui la metà è a part-time.

Un’impresa su dieci ne fa un uso strutturale

Nel report vengono analizzati anche i dati sulle imprese che utilizzano il part-time: il 12% delle aziende fa un uso strutturale di questo tipo di contratto, ciò significa che oltre i due terzi dei dipendenti sono a orario ridotto. E in gran parte si tratta di donne: solo nel 17,3% delle aziende i lavoratori part-time superano le lavoratrici.

Le imprese che fanno uso strutturale di questa forma contrattuale hanno maggiori probabilità di operare al Sud e nelle Isole, di utilizzare contratti atipici, di essere microimprese o imprese con oltre 250 addetti, di rientrare tra quelle in cui il grado di tutela e partecipazione dei lavoratori è basso, di avere una bassa propensione all’utilizzo di strumenti di flessibilità a supporto dei lavoratori, di avere un bassa responsabilità verso la conciliazione lavoro-vita privata e di non avere rappresentanze sindacali.

Settore ricettivo e ristorazione sono quelli in cui il ricorso strutturale al part-time è maggiore.

Leggi anche:
• Gender gap pensionistico: donne, eterne svantaggiate
• Lavoro povero: in Italia colpisce (almeno) 12 lavoratori su 100

part-time involontario donne
Foto: via Pixabay

Il lavoro part-time favorisce le imprese, non i lavoratori

Il report evidenzia che la diffusione del part-time in Italia risponde alle esigenze delle imprese e non a quelle dei lavoratori e si può correlare agli interventi normativi che hanno favorito la flessibilizzazione del lavoro.

Il gruppo di ricerca che ha prodotto il report ha individuato alcune aree di azione. A livello di contrattazione, si dovrebbe associare il part-time al tempo indeterminato, migliorare gli strumenti per la tutela contrattuale, prevedere che i contributi previdenziali del part-time costino di più, costruire una gradualità nella quota progressiva del costo contributivo a carico del datore di lavoro.

Poi bisognerebbe disincentivare le forme involontarie di part-time, inserire un sistema di denuncia per il lavoratore e costruire una politica che favorisca la trasformazione del part-time in full-time.

Infine, devono aumentare i controlli sulle clausole contrattuali, sulle ore effettivamente lavorate, sui contributi annui sufficienti a raggiungere la soglia per la pensione.

Laura Pasotti

https://www.osservatoriodiritti.it/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *