Racconti da Gaza: vita sotto assedio di un operatore umanitario
Negli ultimi giorni, la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza sta peggiorando considerevolmente. I morti accertati hanno superato le 40.000 persone, i bombardamenti si stanno moltiplicando, la consegna e la distribuzione degli aiuti risulta sempre più difficoltosa, e l’emanazione di ordini di evacuazione appare ormai un fatto quotidiano. Le condizioni dei campi risultano disastrose, e quelle sanitarie ogni giorno più critiche. Eppure, nonostante si leggano giornalmente notizie sul peggioramento delle condizioni di vita dei palestinesi, gli aspetti concreti della quotidianità a Gaza non possono che apparirci in un certo senso astratti: cosa comporta davvero un ordine di evacuazione? Quali sono, all’atto pratico, le difficoltà quotidiane che devono affrontare i palestinesi? In che misura mancano loro servizi da noi considerati essenziali? Tutte domande scontate, a cui a molti di noi risulterebbe complicato fornire una risposta. La comodità di informarsi a migliaia di chilometri di distanza dalla Palestina, comporta anche questo: è difficile, se non impossibile, capire cosa si stia davvero vivendo a Gaza. L’Indipendente ha provato a farselo raccontare da Mohamed, palestinese che vive nella Striscia e fornisce aiuti umanitari.
Mohamed Al-Amarin, e i continui ordini di evacuazione
«Io sono chef Mohamed Al-Amarin, della Striscia di Gaza assediata». Così si presenta il giovane cuoco palestinese in un breve testo redatto all’indomani dell’escalation del 7 ottobre. Mohamed è sposato, ha quattro figli, e lavora come cuoco da ormai 12 anni. Dal 2022 al 2023 è stato in Italia, e precisamente nel piccolo paese di Cammarata in provincia di Agrigento, per affinare le proprie doti di cuoco; è poi tornato nella Striscia con il sogno di aprire un suo ristorante. Oggi opera per ACS Italia, ONG che collabora con World Central Kitchen. ACS e WCK hanno dato luce alla prima stazione culinaria fissa di Rafah, che tuttavia dopo l’avvio dell’operazione “Spade di Ferro” si è dovuta tramutare in una cucina mobile.
«Tra le sfide più impegnative che dobbiamo affrontare», ci dice Mohamed, c’è proprio il dovere rispondere ai frequenti ordini di evacuazione, che costringono la cucina a un continuo spostamento; questi sono emanati prevalentemente per mezzo di volantini che vengono lanciati dagli aeroplani, e spesso e volentieri «ci impongono di evacuare immediatamente il sito e di raggiungere l’area designata». Gli ordini, tuttavia, sono imposti «senza fornire alcuna direzione», in assenza dunque di un percorso umanitario prestabilito, e non vi sono mezzi o modalità che facilitino l’esodo. Le evacuazioni risultano soffocanti anche nei tempi: quello che Mohamed chiama «periodo di evacuazione» non concede alla cucina di «trovare posti alternativi che le permettano di fornire il suo servizio adeguatamente», e finisce solo per complicarle il lavoro. Le strade che dovrebbero venire utilizzate per gli spostamenti sono le stesse che vengono periodicamente prese di mira dagli attacchi dell’aviazione israeliana, e, «spesso», anche gli stessi «campi vengono bombardati durante l’emanazione degli ordini».
Consegna e distribuzione degli aiuti umanitari
Il continuo spostamento a cui sono costretti i palestinesi senza indicazioni, sostegno, e tempo, rappresenta solo una delle tante difficoltà che i gazavi devono quotidianamente fronteggiare. E anche per coloro che come Mohamed provano a fornire aiuti umanitari, la situazione non è tanto diversa. La cucina mobile conta 8 operatori ed è attrezzata per produrre un totale di 2.500 pasti per 5.000 persone al giorno. Essa però deve quotidianamente superare quelli che a noi potrebbero sembrare i più banali ostacoli di percorso: dalla difficoltà di cucinare un numero tanto ingente di pasti, alla mancanza di carburante, per arrivare fino all’approvvigionamento del cibo, che passa per negozi spesso vuoti, e materie prime assenti; può sembrare ridicolo rimarcarlo, ma per cucinare, serve il cibo, e per avere il cibo, esso deve venire distribuito.
È giusto degli ultimi giorni la notizia che le agenzie dell’ONU non avrebbero più consegnato aiuti nella Striscia, annuncio a cui è seguito a ruota quello del Programma Alimentare Mondiale: «il PAM annuncia oggi che sospenderà il movimento dei suoi dipendenti a Gaza fino a nuovo avviso», ha dichiarato senza mezzi termini il programma, che a fronte dell’ennesimo assalto a un convoglio di aiuti alimentari ha deciso di interrompere temporaneamente gli spostamenti dei propri operatori. «Nonostante fosse chiaramente segnalato e avesse ricevuto molteplici autorizzazioni da parte delle autorità israeliane per avvicinarsi, il veicolo è stato colpito direttamente da colpi di arma da fuoco mentre si stava dirigendo verso un posto di blocco delle IDF». Una dichiarazione che avrebbe dell’assurdo, se solo fosse isolata: già a maggio l’International Crisis Group, aveva infatti definito Gaza «il posto più mortale per gli operatori umanitari», e periodicamente si sentono nuove notizie di attacchi agli operatori in giro per la Striscia.
Vita nei campi: salute, igiene, e servizi
I problemi non stanno solo negli spostamenti, ma anche nello stazionamento: i campi faticano infatti ad assicurare quelli che a noi parrebbero scontati servizi di base. Si pensi al fatto che la stessa intervista con Mohamed sia stata condotta – su sua esplicita richiesta – esclusivamente tramite messaggi sull’applicazione di messaggistica Telegram, a causa dell’altalenante copertura internet a cui il cuoco aveva accesso. Alle volte, tra un messaggio e l’altro, passavano ore, se non intere giornate, tanto che la conversazione nella sua totalità è durata circa 25 giorni. Internet non è certamente un elemento imprescindibile della quotidianità; vivere in condizioni igienico-sanitarie sicure, però, sì. E proprio sul fronte sanitario, i campi sono privi di servizi essenziali, quali lo smaltimento di rifiuti e l’accesso ad acqua pulita e sicura. A risentirne finisce per essere anche la qualità del cibo, che non solo scarseggia, ma rischia di risultare nocivo: dei 25 giorni di intervista, per almeno una dozzina Mohamed si trovava infatti in ospedale a causa di una intossicazione alimentare, che gli ha causato una infezione al torace. Al momento dell’uscita dalla struttura medica, l’infezione, durata almeno una quindicina di giorni, non gli era ancora passata.
Gaza tra presente e passato: come (provare a) aiutare
Molte delle difficoltà che stanno oggi vivendo i palestinesi erano già presenti, seppur in diversa misura, già prima dell’escalation del 7 ottobre. «La Striscia di Gaza, è assediata da 18 anni», ci tiene a precisare Mohamed. Ne abbiamo parlato anche con Giuseppe, attivista di ACS che è stato a Gaza due volte, nel 2022 e nel 2023. Durante il suo periodo di permanenza a Gaza City, ci racconta Giuseppe, la corrente veniva erogata solamente durante determinate fasce orarie, e nei lavandini scorreva «solo acqua salata». Anche i problemi relativi all’invio di aiuti e denaro sono sempre stati presenti: la Palestina è infatti fuori dal circuito SEPA, e pagamenti come i bonifici richiedono giorni per venire recapitati, spesso per giunta con alte commissioni. Per questo, molti palestinesi facevano ricorso a servizi di trasferimento di denaro come Western Union, oggi tuttavia inutilizzabili a causa dei massicci bombardamenti che hanno colpito la Striscia nella sua interezza. ONG come ACS Italia hanno conti palestinesi, e per questo risultano più semplici da finanziare; tuttavia alcune di esse erogano stipendi ai propri operatori in maniera sostanzialmente iniqua: «parliamo di differenze di stipendio pari a uno a cinque, o, in certi casi, a uno a dieci» tra funzionari palestinesi e omologhi europei. A oggi, insomma, anche fare beneficenza, risulta difficile: come nel caso di Mohamed, qualche famiglia ha un fondo aperto sulla piattaforma gofund, mentre in generale la cosa migliore parrebbe essere quella di affidarsi a ONG del luogo gestite dai palestinesi, come nel caso della Mezzaluna Rossa Palestinese.
Dario Lucisano
1/9/2024 https://www.lindipendente.online/
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