La falsa indignazione dell’Occidente per le leggi sullo stupro del Califfo

YAZIDE

Quando Cassandra mise piede in Grecia, Clitemnestra capì che quella ragazzina, di stirpe regale, era la schiava del letto di suo marito, Agamennone. Che erano 10 anni che non lo vedeva suo marito, che nel frattempo aveva tirato giù le mura di Troia dopo un assedio sfiancante di equilibri e sacrifici agli Dei. Che lui tornava nel suo palazzo, re e vincitore, con una giovane donna che la leggenda vuole bellissima e maledetta: capace di leggere il futuro ma incapace ad essere creduta.

Cassandra era una schiava e come lei, schiave dei Greci furono tutte le donne troiane: Andromaca, già rapita per dare un erede a Ettore, il figlio del re di Troia, ed Ecuba, che del re di Troia era moglie. Donne che erano regine, finite a compiacere il sesso del vincitore di una guerra. Euripide racconta nel 415 a.C. la vita triste delle prime vittime di ogni guerra: le donne. E nessuno, da che ho memoria, si è mai indignato per il trattamento riservato a queste femmine che, certo, hanno i confini sfumati dal mito, ma restano icone di una violenza di genere che non usa come variabile una religione, ma la forza.

Le donne sono pezzi di carne buoni alla riproduzione, alla cura del maschio e dei suoi figli. Sono schiave per una trama muscolare e un ordito di ossa che le costringe a patire la violenza di un sesso che non desiderano, di un uomo che non amano. Bestie da mercato: ha bei fianchi, farà molti figli. L’indignazione che nelle ultime ore attraversa l’Occidente, suscitata dalla fatwa n.64 del 29 gennaio 2015, che detta le nuove leggi dello stupro nel Daesh, mi suona tanto ipocrita quanto falsa. Come se, con gente pronta a incendiare un altro essere umano, a scaraventare giù dalle rupi un omosessuale, ad abbattere a martellate secoli di storia e civiltà ci fosse da stupirsi che una donna, finita nel carro degli sconfitti, venga stuprata a cadenza quotidiana da un maschio che si serve di Allah per giustificare ogni genere di abominio.

La verità è che abbiamo ogni giorno più bisogno di ingolfarci di orrore verso il Daesh, perché sembra che quanto abbiamo visto fino ad ora non ci sia bastato. La verità è che bastava passare di là dall’Adriatico un paio di decenni fa per contare il numero di figli bastardi degli stupratori della ex Jugoslavia. Che non erano musulmani, ma per niente. Che lo stupro trova infinite e continue legittimazioni nelle menti perverse degli stupratori: si stupra una donna in nome di dio, della specie, dell’etnia, della politica, del piacere. Del potere. Che lo stupro è questo: la perfezione del potere che non si conclude con la morte (finirebbe troppo presto l’orgasmo) ma si ripete ad ogni urlo, ad ogni graffio, ad ogni supplica della vittima. È molto più che un atto sessuale, è un messaggio di onnipotenza che un carnefice lancia alla sua vittima: “Sei mia: farò di te quello che voglio”. E allora, guardiamo bene la realtà, leviamoci le lenti della supremazia culturale che oggi, ancora una volta, ci fa sentire migliori di quei disgraziati che tanto ci fanno paura.

Noi gli uomini non li incendiamo, no: ma le donne le stupriamo senza nasconderci dietro la barba di dio. Non lo facciamo da vincitori di una guerra, non le chiamiamo schiave, non regoliamo la cadenza dei nostri rapporti sessuali con loro, non ci preoccupiamo di capire se la femmina a cui strapperemo la gonna sia o meno mestruata. Noi siamo civili occidentali e lo stupro da noi è un incidente: ammesso che tante, troppe sono le donne al giorno abusate in Italia (ce lo dice l’Istat) possano considerarsi un incidente. La differenza tra “noi” e “loro” sta solo nel metodo: il loro è sistematico, regolato da una logica che noi non conosciamo più. È la logica assurda della guerra che impone ai vinti ogni possibile umiliazione.

Se nel 415 a.C. Euripide raccontò il dolore delle Troiane vestite di nero, vedove e vittime che finivano vendute come vacche da macello e se nel 2015 stiamo ancora qui a rileggere la stessa storia il punto non è il Daesh, non è un Imam, non è dio. Il problema è l’uomo. È la follia del potere, è il piacere della sopraffazione e la presunzione di invincibilità che nasce dal piegare le gambe e la volontà di chi non ha mezzi per reagire. Musulmani, cattolici, induisti, atei e agnostici è il disprezzo della vita che si infila nei pantaloni di un uomo e finisce sotto le mutande di una donna. Dio e i suoi barbuti seguaci non c’entrano niente. Prima lo capiremo, prima comprenderemo che dio è un mezzo e non il fine di tante barbarie, e prima riusciremo ad avvicinarci a quella laicità illuminista e illuminata che, sola, forse, potrà salvarci. Tutte e tutti.

Deborah Dirani

31/12/2015 www.huffingtonpost.it

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