Le condizioni del nostro vivere

Capita sempre più di rado di incontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si deve: e l’imbarazzo si diffonde sempre più spesso quando, in una compagnia, c’è chi esprime il desiderio di sentir raccontare una storia. È come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di scambiare esperienze

W. Benjamin, Il Narratore[1]

Pur nel vortice dell’incertezza presente, siamo sicuri che nel corso di questa estate vi sarete posti alcune domande. Durante le fatidiche “vacanze” quasi la metà degli italiani sono rimasti a casa (44 per cento). Liberi, però, poco o niente, poiché molti e molte, tra loro, hanno continuato a lavorare, nelle città o nelle località turistiche, impegnati nei servizi come cameriere, baristi, cuochi, lavapiatti. Chi si è mosso lo ha fatto per otto giorni in media, nel 28,5 per cento dei casi facendosi ospitare da amici e parenti e nel 12,8 sfruttando una casa di proprietà. Alberghi tutt’altro che stracolmi mentre solo minoranze di viaggiatori si sono avvalsi di affitti brevi come Airbnb (5,6 per cento) o bed&breakfast (6,9). Il costo medio della vacanza tipo di un italiano è stimato in circa 800 euro a persona, tutto compreso (viaggio, alloggio, vitto, divertimenti) (Fonte: Federalberghi, dati sul turismo italiano 2024).

Partiamo da questi numeri perché è da qui che è nata la nostra prima, banale e intuitiva, riflessione: in Italia c’è un problema evidente di mancanza di soldi. Vi sarete anche voi interrogati sui salari, i contratti precari, sull’inflazione che sale. Sui risparmi che diventano obbligatori addirittura per i generi di prima necessità, figuriamoci il resto. Sui costi degli affitti che si mangiano la gran parte di stipendi inadeguati. Scuola e sanità, nel frattempo, sono costi vivi di cui tenere conto, servizi pubblici tutt’altro che completamente gratuiti, entrambi progressivamente erosi dalla privatizzazione, che si presenti sotto la forma del business della formazione oppure sotto quella, ancor più insostenibile ed odiosa, delle visite mediche, degli esami clinici, addirittura degli interventi chirurgici a pagamento. Avrete osservato l’aspetto che hanno assunto le nostre città, disegnate come vetrine adatte all’attraversamento, anemici dispositivi privi di anima preposti all’espulsione dei “poveri”, dei “fragili”, di chi non compra, di chi non guadagna e non consuma abbastanza. La città del lavoro operaio salariato si è trasformata in luogo che domanda lavoro servile, lavoro migrante, lavoro nero, lavoro invisibile. La gratuità spesso prevale sulla stessa precarizzazione e le condizioni di ricatto si sono fatte estreme.

Questa prima riflessione già svela la profondità dell’impatto del capitalismo sui corpi-mente, fa trasparire una possibile,  inquietante, trasformazione antropologica. Ciò ci ha spinti a ragionare sulle condizioni del vivere attuale – in questo paese perché è quello in cui siamo ora – in termini più ispirati e più ribelli. Troppo breve è il tempo che l’essere umano passa sulla Terra per accontentarsi solo di sopravvivere, tra ingiustizie e paura. Il desiderio e il piacere, come l’accesso alla cultura, alla natura e alla bellezza sono un diritto. Il potere si manifesta da sempre come controllo del piacere. La negazione del piacere e di ogni tensione verso la felicità è strumento di grande potenza per esprimere forme di controllo sociale e politico. La potenza del desiderio non ha a che vedere – nella visione trasformativa che proviamo ad alimentare da tanto di quel tempo che il ricordo quasi si perde nella memoria – con il possesso di merci, ma resta vero che la repressione di voglie e fantasie si accompagna a una narrazione di scarsità e ristrettezze completamente bugiarda, con l’eccezione palese delle compatibilità ambientali, viceversa omesse. Tutto il vivente è sottoposto alle stesse costrizioni, rapine e disconoscimenti. I cervi ostili di Leave the world behind ce l’hanno sussurrato. Possiamo vederli calare a valle e ritrovarli nei nostri sogni, sentirne la presenza, scambiarci di ruolo. Siamo tutte e tutti, animali e uomini, corpi e anime che subiscono la violenza del presente. L’accumulazione nasce dal sopruso e oggi i profitti toccano apici mai visti. L’aria e l’acqua mancano ma la conoscenza che fa girare gli universi finanziari contemporanei non conosce scarsità. I corpi cadono, la mente rischia di trovarsi modificata dal contatto permanente con tante protesi digitali. La riproduzione sociale è fulcro di innovative forme di sfruttamento. La cura del pianeta e la distribuzione di reddito vengono negate, mentre si impongono immaginari asfitici e ideologie della prostrazione. Il mondo ci viene sottratto, diventa nemico, in guerra, irreparabilmente estraneo. Non ci sottraiamo, invece, a una libertà concessa solo per essere più raffinatamente “lavorati/e”. Siamo costretti a nuove forme di schiavismo e a essere “abulici rinunciatari”. Come scrive Mark Fisher dobbiamo allora fare in modo di “disidentificarci dai piani del controllo” in modo tale da tradurre la situazione in “qualcosa di diverso da un’apatia inflitta”[2].

Se in un passato recente abbiamo affermato che per definire degna una vita erano necessarie anche “le rose”, se la rivendicazione del “vogliamo tutto” ha rappresentato l’idea che il mondo che ci sta intorno è già nostro e pretendiamo che questo venga riconosciuto, puntando al ribaltamento di un folle sistema di produzione, oggi il lavoro vivo sembra costretto ad accettare la propria totale mortificazione, immerso in una dimensione bellica totale che mette casualmente a repentaglio chiunque. Nessuno si senta al riparo. Eppure sembra mancare la reale cognizione di questa condizione. Non ce n’è reale coscienza.

Con tutto questo discorso, che assume toni cupi, rischiamo di allargarci troppo, perciò cerchiamo di stringere: da un punto di vista politico, per cominciare a darci qualche obiettivo per l’anno che con l’autunno si riapre, sarebbe importante, a nostro parere, cominciare a raccontarci come stanno davvero le cose: come si vive in Italia? Come si ripercuote sulle nostre esistenze il capitalismo attuale? Quali capitoli della nostra vita sono risultati più scossi dalla crisi infinita che si incrocia con la guerra? Salario, casa, salute, benessere mentale, scelte di autonomia: quali sono le condizioni del nostro vivere? Qual è la condizione sociale nell’Italia contemporanea? Che esperienza stiamo vivendo?

Il collasso è possibile. È un presagio, fortemente depressivo, che si agita nell’ombra. Tanto più ci sembra necessario opporgli un esercizio collettivo di verità sulle politiche neoliberiste: la logica dei tagli per riparare il debito pubblico che sovrasta ogni altro diritto universale, il “sogno del prigioniero” che siamo costretti a vivere, il peso della continua responsabilizzazione individuale, ci portano a pensare che sia fondamentale dare avvio a un’inchiesta corale per ricostruire e finalmente dichiarare, nominare, le condizioni materiali e simboliche del nostro vivere. Vogliamo chiedervi di  costruire insieme una mappa, vogliamo domandarvi di aiutarci a metterla a punto, suddividendola, ordinandola in vari e distinti ambiti (lavoro, abitazione, servizi sociali, spese, debito, rapporto con la città, violenza economica, immaginari, paure…). Racconti concreti, reali, i capitoli di una vita. Questo genere di processo può molto servire per decostruire l’apparato ideologico che è stato fabbricato dal “realismo capitalista” e le sue endorfine dopanti. Pensiamo che l’assenza di parole di verità rappresenti un blocco terribile e che esso vada rimosso. Ci siamo troppo abituati a tacere.

Lanciamo, dunque, l’idea di fare inchiesta sulla situazione sociale contemporanea chiedendovi di contribuire a comporla: scriveteci una lettera (a effimera2020@gmail.com) su un problema, il più grande che state affrontando a causa della attuale congiuntura. Qual è? Com’è? Da quanto tempo lo vivete? È peggiorato e, se sì, come?

Non una precisa indagine sociologica, non ci interessano raccolte di dati che, del resto, non saremmo in grado di portare a termine, né vogliamo individuare target precisi. Pensiamo che sia meglio procedere per argomenti senza darci limiti precisi di età, di provenienza, di status lavorativo. Pensiamo che la condizione di disagio sia comune a tutti e che essa assuma forme distinte, a seconda del tema. Cercheremo di cogliere, tracciare e  provare a “leggere” questi aspetti.

Dall’altro lato, vorremmo indagare anche le alternative, le vie di fuga, le connessioni, quello che sfugge alla dinamica ventriloqua della bacheca o dei reel che ci cattura, incolpevoli, in tempi tristi. Quello che comunque vale, quello che resta, quello che ci rende felici di essere parte di una comunità vivente. Le forme di vita cooperative e autorganizzate. C’è un fare comune che vi/ci riguarda? Dov’è? Com’è? Quali pratiche conoscete e mettete in atto per reagire, per reggere la crisi, per spendere meno soldi, per essere meno soli, per ritrovare l’Altro, gli Altri, non accettando che tutto venga macinato dalle macchine cognitive e, infine, fatto a brandelli? E se ancora un Altrove non c’è, come lo immaginiamo?

Le condizioni del nostro vivere ma anche, insomma, il vivere senza e oltre le condizioni date.

Per costruire questo disegno ambizioso c’è bisogno di tutte e tutti. Vi invitiamo, perciò, a un incontro aperto che si terrà a Milano in Cox18 il 5 ottobre alle ore 15.00.

Non proprio una riunione, non proprio una tavola rotonda, non ancora un gruppo di lavoro ma l’inizio di un confronto. In pochi attimi, dicono, si capisce se può esistere attrazione tra le persone. Dateci un pomeriggio, dateci qualche ora per raccontarci una storia che ci aiuti, reciprocamente, a non compiangerci ma a spingerci avanti, guardandoci. A ritrovare quell’amore per l’incontro e per la vita, in tutte le sue forme, che, da sempre, smuove l’universo.

“Chi è guardato o si crede guardato | leva lo sguardo | risponde con uno sguardo. Fare esperienza dell’aura di un fenomeno o di un essere significa accorgersi della sua capacità di | levare | rispondere con lo sguardo. Questa capacità è piena di poesia. Quando un uomo, un animale o un essere inanimato leva il suo sguardo sotto il nostro, per prima cosa ci attrae lontano; il suo sguardo sogna, ci trascina nel suo sogno”[3].

NOTE

[1] Walter Bejamin, Il narratore in Angelus Novus, Einaudi, Torino 2014, p. 247

[2] Mark Fisher, Realismo capitalista, Nero, Roma 2018, p. 73

[3] Walter Benjamin, Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, a cura di G. Agamben, B. Chitussi e C.-C. Härle, Vicenza, Neri Pozza, 2012, p. 25

Cristina Morini

20/9/2024 https://effimera.org

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