Verso il Giubileo. Caschi, scudi e manganelli per lo sgombero dell’ex hotel Cinecittà

Intorno alle sei del mattino, il 24 settembre, una imponente, silenziosa, lunghissima sfilata di camionette della polizia intervallata da guardie con caschi scudi manganelli in assetto antisommossa, percorre poco più della metà della breve via Eudo Giulioli in direzione dell’ex hotel Cinecittà. Con l’odore del caffè che si inizia a sprigionare nell’aria, io e molti altri affacciati ai balconi assistiamo a questa ritmata e lugubre marcia di cui conosciamo già l’esito. Inizia lo sgombero dell’ex Hotel occupato, il covo dei latinos, una delle ultime pittoresche definizioni che i media si sono divertiti a dare. La polizia si introduce nell’edificio, lo invade completamente, e la gente inizia a riversarsi per la strada. Molti non hanno la possibilità di prendere subito le proprie cose, molti erano già usciti per andare al lavoro e quando ritornano sono già in corso i lavori di demolizione e muratura, chissà cosa sono riusciti a recuperare. Dal covo, il “fortino della microcriminalità”, escono circa 165 persone, tra cui bambine, bambini, ragazzini, bebè, donne incinte, anziani, invalidi. Alcuni accettano le sistemazioni offerte dal comune che per bocca del presidente del settimo municipio assicura di aver provveduto per chi ha bisogno e diritto ma molti altri non trovano collocazioni, e interi gruppi e famiglie restano per strada con i pochi oggetti personali fino a notte fonda. La zona rimane presidiata da forze dell’ordine e vigilanza privata. Sulle chat di quartiere si susseguono domande perché non tutti hanno i balconi che volgono sulla scena oppure sono già andati al lavoro; girano cronache, video e commenti agghiaccianti dei più agguerriti fautori del ripristino della legalità – “hanno già iniziato a murare?” “li dovrebbero murare dentro”. A un certo punto delle operazioni arriva anche quell’acquazzone che si stava preannunciando da giorni, rendendo la faccenda ancora più penosa.

Finisce così l’occupazione dell’ex Hotel Cinecittà, iniziata a giugno 2023. Finiscono le feste e i bagordi notturni, la musica alta, le risse e gli inseguimenti, le chiacchierate notturne dal ritmo latino e tutto il folklore che ha alimentato l’odio di molti altri abitanti. Finisce o per lo meno è sospeso, il diritto all’abitare, ma questo non è un tema pervenuto sebbene sia il grande protagonista di questa storia. Restano ancora i panni stesi nel retro dell’edificio. La zona adesso è pronta a ospitare le casette per i pellegrini del Giubileo – “speriamo non siano sudamericani!”, scherza qualcuno sulla chat.

Sulla storia di questo luogo, così pieno di vita e quindi di contraddizioni, abbiamo pubblicato un articolo più o meno un anno fa. Lo riproponiamo a seguire. 

*     *    *

Il signor Carlos mi soccorre su una delle due maledette scalinate della metropolitana che da almeno tre anni non hanno più un ascensore per risalire dal binario al piano delle biglietterie e da questo alla strada. Io, il carrozzino, le valigie, la bambina che, ora che cammina, ha imparato ad aspettarmi in cima alla rampa senza muoversi in modo che io possa fare due viaggi con i pesi senza rompermi definitivamente la schiena. Mentre usciamo sulla strada, la scena si fa comica perché in quel punto della Tuscolana battono tutti i venti della terra che ti spingono indietro sugli scalini e il trasporto pesi diventa una sfida ancora più interessante. Sbuchiamo all’aria aperta e ci accoglie una meravigliosa serata romana con un cielo che sfuma dietro il filare dei pini degli acquedotti. Sulla sinistra, l’ingresso agli studios di Cinecittà, che a quell’ora è chiuso. Ci avviamo con il signor Carlos verso l’ultimo blocco di supercondomini prima di un’enorme distesa di terreni non edificati e dei grandi assi viari, raccordo anulare, pontina, la strada per Frascati e i castelli romani. Siamo nella periferia della capitale, verso l’ultraperiferia ho imparato a dire perché qui a Roma non la riesci a vedere la fine della città.

Camminiamo, in spagnolo mi chiede dove abito, in spagnolo gli rispondo che andiamo nella stessa direzione, e lui si dichiara ben felice di continuare a darmi una mano, sebbene a sua volta trasporti buste pesantissime. Lo riconosco, ma aspetto che sia lui, dopo essersi meravigliato delle mie abilità linguistiche, a dirmi che è un abitante dell’ex Hotel Cinecittà. Gli chiedo da dove viene, per curiosità, da quale città del Perù, dove mi piacerebbe andare un giorno prima o poi, lui mi sembra contento di pensare alla sua terra e mi fa la fatidica domanda del perché non ci sia il mio esposo ad accompagnarmi con la bambina a quell’ora di sera. Vorrei dirgli che non penso ci sia per forza bisogno degli uomini, ma mi limito a dire che è a lavoro, oltretutto sarei poco onesta: in quella circostanza, sono ben contenta che lui mi stia dando una mano. Scherza con la bambina, si ricorda di una sua fidanzatina nel lontano paese che si chiamava come lei, e io resto in argomento chiedendogli se nell’Hotel vivono anche bambini. Lui mi dice di sì e si affretta a dire che vanno a scuola, perché in Italia sono piuttosto severi in merito, e io mi sento un’assistente sociale. Mentre attraversiamo i giardinetti ben curati del nuovo albergo aperto in epoca Covid, adiacente al blocco dei condomini, prendo coraggio e gli dico, signor Carlos, ma lei lo sa che la notte fate un casino tremendo? Se continuate così ci sarà una rivolta popolare contro l’occupazione, la gente non ce la fa più. Sospira, per un secondo smette di sorridere, ma non mi dice tutta la verità. È colpa dell’alcol, la gente beve, fa festa e non si controlla. Non insisto, siamo entrambi troppo stanchi per la giornata, ci salutiamo, un gusto Emma, un gusto Carlos.

L’occupazione dell’ex Hotel Cinecittà è iniziata lo scorso giugno. Ormai è entrata nell’immaginario collettivo come una situazione sudamericana, qualunque cosa significhi, anche in seguito a un servizio su Striscia la notizia, che ne riporta qualche dettaglio più esotico diffondendo immagini di degrado negli ambienti interni e un video amatoriale in cui due gruppi contrapposti di occupanti e residenti si azzuffano in pieno giorno forse per questioni di debiti, donne, rivalità, chissà.

Nei mesi è cresciuta l’insofferenza degli abitanti della zona che subiscono soprattutto le molestie acustiche notturne dei periodici festini che si svolgono in tutti gli spazi esterni dell’Hotel, sui balconi, sul terrazzo di copertura, sul marciapiede giù in cui il desolato baretto della strada si trova improvvisamente a essere un punto ad alta frequentazione. Diciamo che lo spazio pubblico viene d’improvviso vissuto intensamente in un quartiere di edilizia residenziale di classe media che ha sempre avuto il pregio e la caratteristica di essere un’oasi di silenzio. D’estate poi, fuori si sta benissimo, perché la zona è molto fresca essendo a ridosso del grande polmone degli acquedotti e giustamente i nuovi arrivati si prendono il loro spazio. Ma il malumore monta nelle chat di quartiere, i figli piccoli non riescono a dormire, non tutti si possono chiudere dentro con il condizionatore,  la gente va a lavorare – anche tra gli occupanti ci sono quelli che si incontrano alle sette del mattino e rincasano alle nove di sera, come il signor Carlos – e iniziano a circolare messaggi di rabbia e sfogo che in alcuni casi sfociano in considerazioni d’altri tempi – bestie senza dio – o, se non esplicitamente razziste, chiaramente addebitando alle differenze culturali questo tipo di atteggiamento irrispettoso. Nel frattempo, aumenta l’incuria degli spazi intorno all’ex Hotel, un po’ perché nelle scorribande notturne cade di tutto dai balconi, un po’ perché la gente ormai evita di passarci cambiando marciapiede e forse non ci passano più nemmeno gli spazzini. Alcuni appartamenti nelle palazzine sul marciapiede di fronte vengono occupate, probabilmente da persone di diversa nazionalità, come testimonia la colonna sonora che si diffonde dai balconi. Passeggiare diventa sempre più problematico anche a causa della imprevedibilità degli eventi e l’episodio della rissa alle 13:30 di una giornata qualunque, con molti di noi affacciati al balcone richiamati dalle urla, conferma il fatto che non è solo un problema notturno. È in realtà almeno il terzo episodio di violenza esplicita a cui assistiamo, alcune persone si rivolgono ossessivamente alle forze dell’ordine che ricevono centinaia di chiamate senza mai intervenire. La beffa poi viene raggiunta quando i vigili, che raramente si intravedono nei paraggi, un giorno multano tutte le macchine di quelli che ormai non parcheggiano più nelle strisce bianche adiacenti all’ex Hotel, per il rischio del lancio di oggetti sui parabrezza.

Proviamo allora a prendere in mano la situazione con il comitato di salute pubblica costituito in epoca Covid, che fece una battaglia per la tutela dei residenti quando l’azienda per la raccolta rifiuti, in un principio d’estate, decise di spostare i cassonetti sotto gli appartamenti per consentire al nuovo albergo appena inaugurato di dare ai turisti un’immagine più patinata di sé. Quando iniziamo a riunirci, la prima cosa da fare è tenere a bada le istanze razziste, cercando di ribadire che il problema non è il fatto che la gente abbia occupato, né che gli occupanti siano stranieri, affermando l’importanza del diritto all’abitare per tutti, ma semmai l’abbandono istituzionale che coinvolge tutti, occupanti inclusi. Nel frattempo, emerge chiaramente che l’occupazione sia stata pilotata da chi da decenni, tutto sommato alla luce del sole, conduce nell’Hotel traffici di vario genere, anche quando aveva ancora la sua funzione originaria, il più evidente quello della prostituzione. Per qualche tempo, con i più intimi del comitato, provo a insistere sul fatto di poter trovare con gli occupanti un accordo di convivenza rispettosa attraverso il dialogo – colpa senza dubbio della mia natura di mediatrice naturale, più che culturale. Quante relazioni, d’altra parte, esistono già tra tutti i vecchi abitanti che si incrociano da sempre con gli altrettanto vecchi personaggi che gestiscono i loro piccoli malaffari. Quante volte sono passata lì sotto per andare al supermercato con la bambina e ci sono scappate due chiacchiere con il giovanotto di turno che si faceva una birra con al guinzaglio un simpatico cagnolino con cui giocare? Quante volte avrei voluto parlare soprattutto con le donne per cercare una sorta di solidarietà femminile e per dirci con franchezza che le ostilità nascono se non si considerano i bisogni di una collettività che è molto più grande del solo ex Hotel? Ma queste tessiture necessitano di tempo e non sono riuscita a farlo perché nel frattempo la situazione si è esasperata, ed è risultato evidente che questa non è un’occupazione organizzata da movimenti di lotta per la casa, ma più probabilmente da gruppi presi e portati lì da chi controlla la zona. Raggiunta questa nuova consapevolezza, anche in seguito al confronto con le istituzioni municipali, che hanno chiarito il percorso delle due aste fallite a cui l’ex Hotel è andato soggetto, lo sforzo nel comitato è stato (ed è tuttora) quello di cercare parole d’ordine condivise e una visione delle cose che vada più che sul breve termine (la cacciata degli occupanti) anche sul lungo: la gestione onesta, cioè priva di speculazioni, di una palazzina che è al momento nelle mani di chi ha interessi privati che vanno ben oltre la problematica del vivere civile di comunità.

Lo stato dell’arte a oggi è che dopo alcune assemblee – non molto partecipate rispetto a quanto invece accade sulle chat, che sembrano un bollettino di guerra, anzi guerrilla – è stata presa la decisione di inviare alle istituzioni un documento condiviso, con raccolta firme annessa, un dossier che provi a essere equilibrato ma contemporaneamente a non ignorare il malessere diffuso, lanciando addirittura spunti di riflessioni per il futuro, da parte di una comunità composta di persone assai diverse tra loro – non si riconosce nessun altro attivista tra le sue file, e si sprecano le battute sugli zingari che per una volta però non sono il capro espiatorio – che non si sono unite per una visione politica comune ma per risolvere un problema fastidioso, cercando a modo loro anche un nuovo significato alle parole spazio pubblico e partecipazione. È stato anche deciso di tentare di frenare l’interesse morboso dei media, sebbene a questo contenimento sia sfuggita la giornalista di Striscia la notizia che ha fatto quasi tutto da sola. E poi c’è chi dice di sopportare ancora un po’ perché tanto lo sgombero si approssima.

E dopo, che cosa succederebbe? Il sospetto, o la conferma di un processo in atto di gentrification inizia a farsi strada con altrettanta prepotenza. La strada è infatti adiacente agli studios di Cinecittàrecentemente acquisiti. Tre giorni di concerto fino alle tre del mattino (le concitate notti di Cinecittà) hanno sancito il cambiamento di passo avvenuto nella gestione. L’altro albergo ha un certo flusso di turisti; la zona è servita da una fermata della linea A che, se tutto va bene, nel luglio 2025 dovrebbe avere ascensori funzionanti; affaccia sugli splendidi acquedotti, ha un ampio e comodo parcheggio sotterraneo, insomma è una zona non troppo lontana dal centro e con vari requisiti di comodità. Anche solo per questo è molto probabile che prima o poi qualcuno intervenga. (emma ferulano)

26/9/2024 https://www.monitor-italia.it/

Imamgine: disegno di dalila amendola

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