Colonialismo verde
L’energia rinnovabile può risolvere molti problemi ambientali ma viene spesso usata dalle lobby del capitalismo verde per occupare territori e privatizzare l’estrazione di valore. Il caso del Sahara occidentale
L’energia verde è vista come la soluzione a molti problemi ambientali che stiamo affrontando. Può rappresentare un cambiamento nel paradigma energetico e un mezzo per democratizzare la produzione di energia e aprire nuovi spazi per l’autonomia di consumo da parte delle comunità locali, ma, nella nostra epoca, viene più spesso usata come pretesto dalle lobby del capitalismo verde per superare la sovranità territoriale e implementare la privatizzazione e l’estrazione di valore.
Il caso del Sahara occidentale è chiaro: due terzi del territorio sono stati occupati dall’esercito marocchino dal 1975 e ora il principale armamentario narrativo del Marocco per continuare l’occupazione è diventato la transizione verde. Questo è ciò che chiamiamo colonialismo verde.
L’invasione degli ex territori coloniali spagnoli di Saguia el Hamra e Rio de Oro iniziò nel novembre 1975, poche settimane prima della morte del dittatore spagnolo Francisco Franco. Nei mesi successivi, l’esercito marocchino usò il napalm e una mole devastante di violenza per conquistare quei territori e costrinse centinaia di migliaia di Saharawi a fuggire e a diventare rifugiati in Algeria e poi in Europa. Il movimento di liberazione saharawi noto come Frente Polisario, attivo dal 1973, proclamò l’indipendenza della Repubblica araba democratica saharawi (Rasd) nel febbraio 1976; nello stesso mese il re del Marocco firmò un trattato con la Spagna e la Mauritania in cui entrambi annunciavano l’annessione delle regioni nei confini marocchini condivisi con la Mauritania. Pochi anni dopo, nel 1979, la Mauritania si arrese al Polisario e ritirò l’esercito; l’esercito marocchino entrò nella zona e la occupò per controllare la costa fino a Guerguerat, una città immediatamente a nord del confine mauritano.
Dagli anni Ottanta, l’esercito marocchino ha iniziato a costruire un enorme muro di sabbia (il Berm) per stabilizzare il fronte con l’area in cui operava il Frente Polisario. Oggi, questo muro è il più lungo del mondo, con oltre 1.700 km di strutture e 7 km quadrati di zone minate tutt’intorno. Il costo della manutenzione e della difesa del muro è di 91 milioni di euro al giorno, pari a 637 milioni di euro alla settimana. Per raccogliere questa enorme quantità di denaro, il Regno del Marocco sfrutta ed esporta le risorse saharawi – pesce e fosfati – ed è ormai divenuto il più grande mercato del mondo per i fosfati e il secondo per il pesce dopo la Cina, venduti illegalmente attraverso imprese marocchine. Le risorse vengono estratte in un territorio riconosciuto dal diritto internazionale come in attesa di autodeterminazione e dove il Regno del Marocco non ha alcuna sovranità giuridica.
Corruzione
Diverse sentenze della Corte di giustizia europea (Cge) hanno reso difficile alle imprese europee l’accesso al commercio delle risorse saharawi. Un trattato sul libero scambio di pesce e sabbia con le imprese europee è stato giudicato illegale dalla Corte europea nel 2015; per il Regno Unito ciò ha significato l’uscita totale dal Sahara occidentale delle imprese britanniche fino al 2021. Per ovviare a ciò, il Marocco ha cambiato la sua strategia di relazioni internazionali, ricorrendo a una diplomazia più aggressiva in Europa e in tutti gli altri spazi internazionali.
Nel novembre 2022 è stato rivelato un enorme scandalo nel Parlamento europeo: il Qatargate (noto anche come Moroccogate). È stato dimostrato che agenti marocchini hanno corrotto i membri del Parlamento europeo utilizzando un politico italiano, Antonio Panzeri, come intermediario. L’ambasciatore marocchino in Polonia, Abderrahim Atmoun, e un complice di Panzeri, Andrea Cozzolino, sono state individuate dagli inquirenti come due figure centrali in questo sistema di corruzione internazionale che ha visto coinvolti i collaboratori di Panzeri nella creazione di una Ong con sedicenti scopi umanitari ma in realtà come uno degli strumenti che permettevano agli indagati, tra i quali l’ex vicepresidente del Parlamento europeo, la greca Eva Kali, di ricevere denaro in cambio della loro attività di lobbyng.
Alcuni risultati ottenuti dal Marocco grazie a questa manovra di corruzione sono stati: la decisione di negare il Premio Sacharov (un premio annuale che l’Ue assegna ad attivisti simbolo dei valori democratici europei) a due attivisti saharawi; l’approvazione di risoluzioni contro l’Algeria, un paese che ha favorito il Polisario e ha ospitato campi profughi saharawi; la modifica di un rapporto europeo sulla violenza e i diritti umani per cancellare i casi marocchini; il tentativo di ribaltare le sentenze contro il trattato sulla pesca, che vietava alle aziende dell’Ue di pescare al largo delle coste di Laayoune. La corruzione degli eurodeputati negli anni 2019-2024 aveva lo scopo di facilitare questi traffici illegali e di iniziare a collegare il colonialismo verde del Marocco con la transizione verde europea.
Seguendo questa strategia, nel 2020 sono stati firmati gli Accordi di Abramo tra Stati uniti, Israele, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Marocco, che consistono nel riconoscimento reciproco delle occupazioni della Palestina da parte di Israele e del Sahara occidentale da parte del Marocco, con la mediazione dell’allora Presidente degli Stati uniti Donald Trump. Da allora Israele ha incrementato il suo commercio con il Marocco, che consiste in armi e nuovi droni utilizzati dal Marocco nella guerra contro i Saharawi e il Fronte Polisario. In presenza di aziende israeliane che sfruttano l’energia solare e la pesca, i saharawi condividono ora con i palestinesi il destino di vivere da vicino l’oppressione sionista. La zona di interesse israeliana è l’area di Dakhla, dove hanno costruito e possiedono un impianto di energia solare e utilizzano il porto per le attività commerciali.
Estrattivismo
La risorsa più facile da estrarre dal Sahara occidentale è la sabbia. A causa dell’erosione costiera, la domanda per il suo utilizzo nella ricostruzione delle spiagge è enorme, inoltre la sabbia è fondamentale anche per la produzione di cemento. Nel territorio occupato del Sahara Occidentale, in particolare a Laayoune, ci sono due stabilimenti chiave per questo scopo: Ciments du Maroc, che fa parte del Gruppo Italcementi (quinto produttore mondiale), e Lafarge Holcim Maroc, associata alla francese Lafarge Holcim Ltd. Lafarge Holcim è il più grande produttore di cemento al mondo e la società francese ha collaborato per anni con l’Isis in Siria, pagando le tasse allo Stato Islamico.
L’esercito marocchino e la relativa amministrazione coloniale dei territori occupati del Sahara occidentale occultano attivamente informazioni e dati sullo sfruttamento delle risorse naturali. Non conosciamo l’entità delle risorse che vengono estratte e sequestrate dal Regno del Marocco e svendute sul mercato globale, perché il pesce pescato nelle acque del Sahara Occidentale viene mescolato nei calcoli con le acque nazionali marocchine, mentre i fosfati vengono venduti a compagnie internazionali, che normalizzano la colonizzazione fin dall’inizio; l’Osservatorio delle Risorse del Sahara Occidentale (Western Sahara Resources Watch) monitora lo sfruttamento e redige rapporti dettagliati su di esso. La più grande miniera di fosfati del Sahara Occidentale è quella di Phosboucraa, ma le istituzioni marocchine non pubblicano la quantità di fosfati estratti. Al contrario, pubblicizzano molto l’energia rinnovabile utilizzata per l’estrazione e la lavorazione dei fosfati. La priorità del Regno nella sua transizione verde è fornire energia stabile alla sua più grande risorsa, l’industria mineraria dei fosfati. Per questo motivo, la miniera riceve più del 90% del consumo di elettricità da impianti solari ed eolici.
Questa condizione di vessazione è stata definita dallo studioso Dominic Boyer «Energopolitica»: si tratta dell’oppressione derivante dalla privatizzazione della terra e delle risorse naturali da parte del settore energetico. L’esportazione delle risorse priva gli abitanti nativi e razzializzati dell’elettricità.
Dal 2017, il Regno del Marocco sta rapidamente investendo nel settore dell’energia verde, dopo essersi reso conto che non dispone di riserve di combustibili fossili e ha bisogno di più energia. In occasione delle riunioni della Cop, la conferenze sul clima delle Nazioni unite, si è astutamente presentato come il paese più proattivo nelle energie rinnovabili in Africa: Marrakech ha ospitato due edizioni della Cop e l’ultima è stata nel 2017. Da allora, i progetti di energia rinnovabile si sono moltiplicati e sono state costruite molte altre centrali elettriche a energia rinnovabile. Il Marocco sfrutta la terra, l’aria e il mare del Sahara occidentale, nonostante non ne abbia la sovranità.
Nell’ultimo anno Spagna e Francia hanno riconosciuto il piano istituzionale marocchino per legittimare l’occupazione all’interno del «piano di autonomia» ideato a Rabat; la Spagna si è dimostrata sensibile alla volontà marocchina a causa della pressione migratoria che il Marocco sta esercitando sui confini spagnoli.
I saharawi sono 500.000: circa 30-40.000 vivono sotto l’occupazione militare marocchina e il resto vive nel campo profughi di Tindouf (la capitale della Sadr in esilio) in Algeria e alcune decine di migliaia sono rifugiati in Europa.
Il Sahara occidentale è collegato alla rete marocchina attraverso la capitale Laayoune. È previsto un nuovo collegamento elettrico a 400kV tra Laayoune e Dakhla e oltre, verso la Mauritania. Attraverso questa linea elettrica, il Marocco intende esportare energia rinnovabile in Africa occidentale. Le esportazioni verso l’Ue avverranno attraverso le connessioni sottomarine esistenti e previste con Spagna, Portogallo e Regno Unito. Il progetto britannico prevede un interconnettore sottomarino ad alta tensione in corrente continua da 3,6 GW tra il Regno Unito e i Territori Occupati, che genererebbe energia per soddisfare il 6% della domanda del Regno Unito. Tutti questi piani sono particolarmente mirati a tagliare il commercio energetico del primo concorrente e nemico geopolitico del Marocco nella regione del Mediterraneo, l’Algeria. Infatti, i paesi dell’Ue stanno progettando un nuovo gasdotto dall’Algeria all’Italia, ma, in ottica transizione verde, potrebbero preferire le energie rinnovabili provenienti dal Marocco.
Le implicazioni per il diritto all’autodeterminazione dei Saharawi sono enormi. Queste esportazioni di energia previste, renderebbero i mercati energetici europei e dell’Africa occidentale parzialmente dipendenti dall’energia prodotta nel Sahara occidentale occupato. L’Energopolitica si attua attraverso le operazioni condotte dall’esercito marocchino contro i Saharawi rimasti nei territori occupati, in quanto l’esercito minaccia di tagliare l’elettricità quando vuole nel quartiere di Laayoune, dove vive la maggior parte dei Saharawi, per rendere impossibile la registrazione di violenze contro la comunità.
L’Ufficio Nazionale dell’Elettricità (Onee), l’azienda statale marocchina per l’elettricità e l’acqua, svolge un ruolo centrale nella fusione degli interessi della famiglia del Re, con gli interessi europei e delle lobby finanziarie e del capitale globale. Per quanto riguarda i progetti eolici avviati nel 2010, il governo marocchino ha annunciato un progetto per raddoppiare la produzione nazionale di energia eolica sviluppando 1 GW entro il 2020. Secondo l’Ong Western Sahara Resource Watch, il governo prevede di sviluppare il 40% di questa capacità aggiuntiva all’interno dell’area occupata. Un consorzio di tre società – Enel Green Power, Siemens-Gamesa e Nareva Holding (di proprietà della famiglia reale marocchina) – ha vinto la gara d’appalto per lo sviluppo, la progettazione, il finanziamento, la costruzione, il funzionamento e la manutenzione delle nuove cinque centrali di energie rinnovabili. Due si trovano nel Sahara occidentale: il parco eolico di Tiskrad (300 MW), vicino a Laayoune, e un parco eolico da 300 MW a Boujdour. A completamento del progetto eolico del Marocco, l’Onee ha commissionato il parco eolico di Aftissat (200 MW), costruito nel 2018, che è stato ampliato ed è attualmente in una terza fase di espansione.
Il Marocco ha un discreto successo nell’attrarre progetti di cooperazione internazionale nel campo delle energie rinnovabili. L’Ue vede il paese come un partner affidabile in Nord Africa, non da ultimo per il suo presunto ruolo nella lotta al terrorismo internazionale e nella prevenzione dei movimenti migratori. In dettaglio, l’accordo di partenariato verde Ue-Marocco, firmato alla fine del 2022, apre nuove opportunità per le imprese europee del settore delle energie rinnovabili. Ne è un esempio un progetto di ricerca condotto dall’Onee e da istituti tedeschi in Marocco per studiare la produzione di idrogeno e ammoniaca verde.
La strategia del Marocco insiste sul ruolo dell’energia nella realizzazione degli sforzi diplomatici del Regno per garantire il sostegno alla sua occupazione nell’Africa sub-sahariana (in particolare in Nigeria), tradizionalmente favorevole all’indipendenza dei Saharawi e al Polisario. Lo scopo finale di questa strategia è quello di rafforzare le relazioni economiche ed energetiche con i paesi africani in cambio del riconoscimento della sua occupazione illegale.
Sono centinaia le imprese straniere coinvolte nello sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale occupato. Una delle più attive è Siemens Gamesa, poiché è coinvolta in tutti i parchi eolici del Sahara occidentale occupato. Siemens Gamesa Renewable Energy (Siemens Gamesa) è il risultato della fusione, avvenuta nel 2017, delle spagnole Gamesa Corporación Tecnológica e Grupo Auxiliar Metalúrgico, inc. nel 1976, e della tedesca Siemens Wind Power, la loro divisione «verde»; il fatturato annuale nel 2018 è stato di oltre 10 miliardi di euro. L’azienda di energie rinnovabili sviluppa, produce, installa e mantiene turbine eoliche onshore e offshore in più di 90 paesi; ma la criticità maggiore è la sua partecipazione a 5 parchi eolici nei territori occupati, uno dei quali fornisce il 99% dell’energia necessaria al funzionamento della miniera di fosfati di Phosboucraa.
Gli interessi dell’Ue per l’idrogeno verde stanno entrando in una nuova fase per il colonialismo verde marocchino, il fatto che il Marocco possa sfruttare le risorse del Sahara Occidentale così facilmente si ripercuote sui costi più bassi per le imprese che vogliono investire lì. Ciò si riflette anche nei costi previsti per la produzione di idrogeno: in uno studio pubblicato nel marzo 2023, gli scienziati marocchini hanno ipotizzato che i costi nel Sahara occidentale siano circa tre volte inferiori a quelli del Marocco. Allo stesso modo, la maggior parte degli impianti eolici e solari esistenti e in progetto sono situati in territori occupati, in violazione del diritto internazionale. I parallelismi con i piani per l’idrogeno sono evidenti: anche in questo caso, sono soprattutto le aziende europee come Siemens ed Enel a costruire infrastrutture energetiche nei territori occupati in collaborazione con la potenza occupante, traendo così profitto dallo sfruttamento in violazione del diritto internazionale.
Tra gli obiettivi del progetto di idrogeno verde del parco eolico di Dakhla ci sarebbe anche quello di creare criptovalute e gestire metadati utilizzando energia pulita, superando così il grave problema ambientale dell’estrazione delle criptovalute, ovvero la loro enorme impronta di carbonio. Il progetto prevede la costruzione di un parco eolico da 900 MW su una superficie di oltre 10.000 ettari e sarà realizzato in più fasi nell’arco di 6 anni, con un prezzo previsto di 2,5 miliardi di dollari. L’altro progetto di idrogeno verde nella regione di Dakhla è il progetto White Dunes. L’area del progetto può raggiungere i 150.000 ettari e punta a produrre idrogeno verde in modo competitivo su scala globale. Il progetto conta di raggiungere una capacità di 10 GW di energia eolica, 7 GW di energia fotovoltaica e 8 GW di elettrolizzatori.
Il 27 luglio 2023, il governo marocchino ha annunciato che il parco eolico di Boujdour (300 MW), di proprietà di Enel e realizzato da Siemens Gamesa, era in funzione a pieno regime. Allo stesso tempo, è stata attivata la stazione di trasformazione Boujdour II (400/225 MW). Questo parco eolico fa parte del già citato contratto vinto dal consorzio Enel Green Power, Siemens Wind Power e Nareva. Boujdour II è il quarto parco eolico a entrare in funzione nel Sahara occidentale occupato. Tutti e quattro i parchi eolici sono collegati alla filiera Siemens. I tre già esistenti sono: il parco eolico privato Cimar da 5 MW inaugurato nel 2011, che fornisce energia alla fabbrica di cemento Heidelberg, il parco eolico Foum El Oued da 50 MW, operativo dal 2013, e il parco eolico Aftissat da 200 MW in funzione dal 2023, tutti costituiti da turbine eoliche fornite da Siemens.
Il 19 dicembre 2023, a Bruxelles, è stato firmato il cosiddetto Piano d’azione europeo per l’energia eolica, che propone 15 interventi chiave per rafforzare la competitività della catena di valore dell’energia eolica europea. La Carta è stata ratificata dai membri dell’Ue e da 300 tra le maggiori aziende europee del settore eolico, tra cui Siemens Gamesa ed Enel-Endesa e i governi spagnolo, italiano e tedesco. A seguito di questa iniziativa, la Commissione ha lanciato un bando per la concessione di sovvenzioni per un valore di 4 miliardi di euro (Fondo per l’innovazione) con risorse destinate a stimolare gli investimenti in progetti di «produzione di tecnologie pulite».
L’Unione europea continua a promuovere il settore e a stringere accordi con Simens Gamesa, pur sapendo che l’azienda opera in territorio occupato, violando così il diritto internazionale. Secondo la posizione del governo tedesco, così come quella dell’Unione europea e delle Nazioni unite, la situazione nel Sahara occidentale occupato non è risolta. Le azioni di Siemens Gamesa nel territorio occupato, come quelle di altre aziende, contribuiscono al consolidamento dell’occupazione marocchina del territorio. L’attività commerciale nel territorio saharawi occupato è stata affrontata da molteplici risoluzioni delle Nazioni unite sul diritto all’autodeterminazione del Sahara occidentale occupato e sul diritto dei suoi cittadini di disporre delle sue risorse.
Sul campo, a beneficiare dei progetti è pressoché esclusivamente un’élite esterna: l’operatore dei parchi energetici nel Sahara occidentale e partner commerciale diretto di Siemens Energy ed Enel è la società Nareva (di proprietà del re). I saharawi stessi non hanno accesso ai progetti sul loro territorio legittimo, soprattutto quelli che vivono nei campi profughi in Algeria da quando sono fuggiti dall’invasione marocchina. I saharawi che continuano a vivere sotto occupazione nel Sahara Occidentale devono invece affrontare massicce violazioni dei diritti umani da parte della potenza occupante.
I Saharawi che vivono nel territorio occupato sono consapevoli che le infrastrutture energetiche – la loro proprietà, la loro gestione, la loro portata, le condizioni di accesso, il lavoro politico e diplomatico che svolgono – sono il tramite del potere coloniale dell’occupazione marocchina e dei suoi partner aziendali. L’occupazione marocchina irrompe e plasma le possibilità della vita quotidiana Saharawi attraverso (la mancanza di) cavi elettrici. I saharawi comprendono le interruzioni di corrente come un meccanismo attraverso il quale il regime di occupazione li punisce come comunità, alimenta l’ignoranza delle manovre militari marocchine, ostacola le celebrazioni dell’identità nazionale saharawi, impone un blocco mediatico in modo che le notizie dal Sahara Occidentale non raggiungano «il mondo esterno» e crea regolarmente pericoli nelle loro case. Sono consapevoli che le energie rinnovabili non costituiscono il problema in sé e per sé, ma fungono da strumento del regno colonialista per rinnovare l’oppressione in una nuova forma e con nuove legittimazioni da parte di paesi stranieri. I nuovi progetti vengono costruiti così velocemente che l’opposizione locale è inefficace, la lotta decoloniale saharawi è più profonda e l’obiettivo finale è la liberazione e l’autodeterminazione; riconoscono che le centrali elettriche rinnovabili potranno essere gestite bene per il benessere e l’autonomia energetica dei saharawi in una Rasd libera. Come ha detto in un’intervista un pescatore di Laayoune a proposito dei generatori eolici offshore: «Non rappresentano altro che una scenetta del vento della tua terra sfruttato illegalmente dagli invasori senza alcun beneficio per la popolazione».
Tommaso Marconi, classe 1999, è studente di ecologia politica a Barcellona partecipa ai gruppi anarchici catalani e al movimento internazionale End Fossil Occupy.
28/9/2024 https://jacobinitalia.it
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