Manifesti “la Russia non è un nemico”: media e Copasir riaprono la caccia ai “putiniani”

Nelle ultime settimane, in decine di città italiane sono comparsi manifesti che chiedono uno stop al coinvolgimento italiano nelle guerre in corso: «La Russia non è un nemico», recita una scritta in nero apposta sopra l’immagine di una stretta di mano. La mano sulla sinistra è dipinta con i colori della bandiera italiana, quella a destra con i colori della bandiera russa. Sotto l’illustrazione, un’altra scritta: «Basta soldi per le armi in Ucraina e Israele. Vogliamo la pace e ripudiamo la guerra (articolo 11 della Costituzione)». La notizia ha subito fatto il giro del mondo, finendo su canali internazionali come la CNN e spingendo due senatori di Italia Viva, Ivan Scalfarotto ed Enrico Borghi (quest’ultimo anche membro del COPASIR), a presentare un’interrogazione parlamentare sulla questione. In tempi rapidi, è stato possibile leggere di dubbi e preoccupazioni riguardanti il fatto che potesse essere arrivato un «sostegno economico da parte di soggetti o enti esteri» ed è stata riaperta la caccia ai presunti finanziamenti di Putin. I promotori hanno tuttavia sottolineato che i fondi per l’iniziativa sono arrivati da una raccolta pubblica, mentre l’affissione è stata «pubblicizzata da varie associazioni apartitiche pacifiste».

Ad esprimere «preoccupazione» per la « propaganda russa» nella Capitale italiana è stata anche l’ambasciata ucraina, che ha chiesto al Comune di Roma di «riesaminare la concessione dei permessi per tali manifesti, che hanno il chiaro scopo di riabilitare l’immagine dello Stato aggressore». Pochi giorni dopo, la CNN ha ripreso la notizia, sottolineando come i «poster di propaganda russa» non hanno causato particolare sconvolgimento tra il pubblico italiano, probabilmente perché «sono apparsi durante l’estate, mentre in molti erano in vacanza». Moltissime testate italiane hanno successivamente ripreso un articolo de Linkiesta, il quale cita come tra i principali promotori della campagna vi fosse Domenico Aglioti, ex M5S e consigliere municipale a Roma, definito «generoso committente della campagna pro-Putin» (che sarebbe costata tra i 30 e i 50 mila euro, secondo «esperti» non meglio specificati citati dalla testata), oltre che «animatore dei movimenti no-Vax, anti 5G e putiniano». Secondo la replica del diretto interessato, tuttavia, la campagna sarebbe costata appena 3 mila euro e sarebbe stata finanziata da oltre 200 cittadini provenienti da tutta Italia, che hanno versato ciascuno una piccola quota a titolo volontario. Tuttavia, lo «scoop» del giornale online avrebbe dato il via a un’ondata di indignazione istituzionale, con interrogazioni presentate persino alla Commissione europea da deputati francesi.

Ancora prima che alle istituzioni stesse, l’idea che gruppi di cittadini possano organizzarsi per andare contro alle posizioni dominanti (che si tratti di vaccini contro il Covid o di critiche a Israele e Ucraina) sembra proprio non andar giù alle testate giornalistiche di orientamento libertario, che si dicono custodi e promotrici della libertà di stampa e di parola. È il caso, nemmeno a dirlo, di Repubblica, che, in un articolo a firma di Tommaso Ciriaco e Giuliano Foschini, scrive come «la campagna sembra troppo organizzata per arrivare da gruppetto di cittadini organizzati», come se l’affissione di cartelli pubblicitari costituisse chissà quale tipo di azione sovversiva di inaudita complessità. C’è da dire che Foschini non è nuovo alle ipotesi complottistiche stiracchiate: solamente pochi mesi fa aveva (nemmeno troppo velatamente) accusato proprio L’Indipendente di essere promotore della campagna di disinformazione di Mosca e i suoi donatori di essere agenti pagati dal Cremlino.

Chiunque esprima posizioni diverse da quelle ufficiali in merito alla guerra tra Russia e Ucraina è tacciato di «filoputinismo» sin dal giorno in cui il conflitto è iniziato. Non sono esenti da tale etichetta nemmeno coloro che si limitano a sostenere posizioni pacifiste, chiedendo che l’Italia rispetti l’articolo 11 della sua stessa Costituzione, che ripudia la guerra in ogni sua forma. Già due anni fa, il COPASIR (Comitato per la Sicurezza della Repubblica) stilò una lista di nomi di personalità della politica e del giornalismo (e non solo) accusati di tali posizioni. Lo schema si ripropone identico oggi, con il senatore Enrico Borghi (membro del COPASIR) che ha presentato una interrogazione parlamentare in merito alle affissioni insieme al senatore Ivan Scalfarotto (Italia Viva). «Perché questa iniziativa?» si chiede preoccupato il senatore. L’idea che i cittadini siano semplicemente contrari alla guerra, evidentemente, non appare plausibile.

Valeria Casolaro

30/9/2024 https://www.lindipendente.online/

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