Intelligenza Artificiale: una rete impalpabile o una insostenibile ragnatela?

Si moltiplicano le ricerche e le applicazioni pratiche dell’Intelligenza Artificiale (IA), accompagnate da innumerevoli commenti da parte della stampa: risultati scientifici, libri divulgativi, articoli a favore oppure contro… un aspetto che colpisce molto l’opinione pubblica è la vastità di tematiche e di problemi che vede sempre più l’IA protagonista di cambiamenti radicali dei nostri modi di vivere, di spostarci, di interagire tra noi, di interpretare il mondo.

Per i comuni cittadini è impossibile restare aggiornati sugli sviluppi di questo nuovo strumento informatico, quindi è anche difficile fare delle scelte consapevoli sugli usi in cui si può essere coinvolti. Inoltre, tali e tante sono le applicazioni dell’IA che anche gli specialisti finiscono per approfondire singoli ambiti, e ignorano o perdono di vista le implicazioni che ogni settore può esercitare sugli altri.

L’IA può contribuire a dare significato a frammenti di lingue antiche finora indecifrabili, o a facilitare la classificazione e la messa a disposizione del pubblico dei cataloghi di grandi biblioteche; può fornire un supporto straordinario in molti campi della medicina e della chirurgia, e coordinare la logistica di vaste reti di trasporti. Ma l’IA trova anche vasta applicazione nel settore militare, nella ricerca, nella produzione e nell’uso di armi sempre più sofisticate, dai missili teleguidati ai droni.

Alcune istituzioni internazionali da decenni stanno cercando di stabilire delle regole, di fissare dei limiti all’esplorazione e all’applicazione dell’IA: particolarmente inquietante è la possibilità di lasciare a una ‘macchina’ la possibilità di agire in modo autonomo, per esempio colpire un ‘nemico’, senza che sia un essere umano a prendere l’estrema decisione.

Evidenziare la rete

Si affollano intorno alla Terra

Se da un lato è vero che cittadinǝ e studiosǝ non sono in grado di cogliere la molteplicità di aspetti e manifestazioni con cui l’IA ha cambiato il nostro mondo, dall’altro possiamo cercare di elaborare almeno una visione di insieme della rete degli ‘oggetti’ – realtà materiali e immateriali – che ne costituiscono la base: realtà nelle quali siamo ormai immersi.

Secondo le Nazioni Unite, nel 2022 il numero di satelliti individuali intorno alla Terra era 8.261, di cui 4.852 attivi (United Nations Office for Outer Space Affairs, UNOOSA), ma stanno rapidamente aumentando di numero, anche per l’intervento di privati.  A giugno 2024 è stata comunicata la riuscita del lancio di altri 22 satelliti della società di Elon Musk: Starlink ha ora oltre seimila satelliti che permettono il collegamento a Internet a milioni di persone in tutto il mondo (Euronews).

I satelliti in orbita attorno alla Terra servono a molti scopi. Più della metà dei satelliti terrestri sono destinati alle comunicazioni, come televisione, telefoni, radio, Internet, e sono numerosissime le applicazioni militari (esplorazione, comando, controllo), sempre più coordinate e gestite dall’IA.

Inseparabili e invisibili

Un recente articolo pubblicato da Juan Carlos De Martin su Il Manifesto ci fa notare che “gli esseri umani si stanno computerizzando – volontariamente, ma in larga parte senza essere pienamente consapevoli delle implicazioni – innanzitutto tramite l’adozione e l’uso molto intenso dello smartphone, ormai posseduto da oltre quattro miliardi di persone” e allo stesso tempo si prestano a una raccolta dati, anche estremamente sensibili, su di loro e sull’ambiente in cui si trovano, assolutamente senza precedenti per vastità e capillarità, e con conseguenze – per gli individui e per la società – ancora tutte da mettere a fuoco.

Anche gli spazi esterni delle città sono interconnessi: migliaia di telecamere ‘smart’ stanno presidiando le strade e le piazze delle nostre città (oltre che scuole, università, ospedali, uffici pubblici…), ma anche computer (dotati di sensori, ovvero, microfoni, telecamere, geolocalizzatori…) sui mezzi di trasporto (sia pubblici, sia quelli gestiti da privati come auto, scooter, biciclette e monopattini in condivisione); computer nei cassonetti dell’immondizia per controllare la raccolta differenziata, computer ai semafori e agli attraversamenti pedonali, e molto altro ancora. L’IA svolge un ruolo sempre più importante nel coordinare e gestire questa abbondanza e molteplicità di informazioni.

Le interconnessioni ‘smart’ hanno una componente visibile (ripetitori, antenne, cordless, telefonini…) e una invisibile: sono i campi elettromagnetici artificiali a radiofrequenza a cui noi tutti siamo esposti. Come segnala l’Autore di questo articolo, in Italia, nel 2022, a fronte di circa 60 milioni di abitanti squillano ben 78 milioni e 220 mila telefonini: pari a 1 e 1/3 a testa! Inoltre, il 17% dei bambini di età compresa tra i 4 e i 10 anni utilizza già gli smartphone.

Chi controlla chi?

Gli oggetti smart non svolgono solo preziosi servizi agli utenti: a loro volta ascoltano (e talvolta vedono). Da ciò emergono problemi di privacy sempre più difficili da gestire. Nel suo articolo Juan Carlos de Martin ci fa notare che, per esempio, gli assistenti personali (tipo Alexa o certe televisioni smart), rendono sempre più difficile passare del tempo in spazi non computerizzati, ovvero, spazi che non ci spiano. […]

Questi oggetti sono diventati – quasi sempre all’insaputa di chi ingenuamente pensa di esserne il padrone – da una parte, oggetti che posso spiare il comportamento di chi li utilizza (eventualmente anche tramite microfoni o telecamere) e, dall’altra, oggetti che possono in linea di principio essere comandati dall’esterno per mutarne le funzionalità (per esempio rallentando o fermando un’automobile in corsa), fino al caso estremo – ma purtroppo di tragica attualità – della deliberata attivazione di una carica esplosiva nascosta come è avvenuto in Libano.

Onde radio e salute

La crescente esposizione ai campi elettromagnetici prodotti negli spazi in cui viviamo ha suscitato inquietudini e domande, alle quali numerosi studi scientifici da tempo provano a dare risposte. Gli enormi interessi economici e politici connessi alla rivoluzione informatica influenzano i risultati delle ricerche – come già era successo, e continua a succedere quando viene immesso nell’ambiente un nuovo prodotto: si pensi al caso del tabacco, i cui danni sulla salute umana sono stati negati per decenni, o all’esposizione a sostanze come l’amianto, che hanno causato, e stanno ancora causando, innumerevoli vittime (Late lessons from early warnings).

Per quel che riguarda gli effetti delle onde elettromagnetiche in radiofrequenza, la situazione è attualmente molto controversa.  Un recente articolo, pubblicato da una prestigiosa Organizzazione no-profit, la International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP), incaricata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) di studiare gli eventuali effetti delle onde EM connesse con gli smartphones), comunica con enfasi che i telefoni cellulari non sono collegati a tumori cerebrali, basandosi su una importante revisione di 28 anni di ricerca: Mobile Phones Are Not Linked to Brain Cancer According to a Major Review of 28 Years of Research).

Questi risultati sono stati prontamente diffusi sulle maggiori testate divulgative mondiali.  Questa affermazione è stata decisamente contestata da altri Autori, che hanno criticato sia la modalità di raccolta-dati, sia l’esclusione di risultati scientifici ottenuti da studi su animali.  Tra questi lo IARC (International Agency for Research on Cancer (IARC), il National Toxicology Program (NTP, in USA), il prestigioso Centro di Ricerca Italiano Ramazzini.

La complessità dei problemi scientifici da affrontare, e lo squilibrio tra i finanziamenti ricevuti da gruppi coinvolti nelle applicazioni industriali e quelli che svolgono ricerca di base, rende difficile una comparazione equilibrata tra le ricerche pubblicate.

Un soggetto nascosto

L’invisibilità di una parte della rete informatica globale favorisce la mancanza di adeguata consapevolezza del fatto che questa enorme rete che ci avvolge – dallo spazio intorno alla Terra fino ai luoghi più intimi delle nostre vite individuali – per funzionare ha bisogno di energia. Come sottolinea Luca Celada nel suo recente articolo ‘La sindrome big tech’, entro il 2030 le proiezioni prevedono un aumento del fabbisogno mondiale di elettricità del 1050%.

Questa smisurata sete di elettricità del comparto digitale dipende in particolare dei nuovi Data Center necessari a produrre il volume di calcolo richiesto dall’intelligenza artificiale. Secondo i dati pubblicati dalla Morgan Stanley (una banca d’affari con sede a New York), entro il 2030 i data center produrranno tre volte le emissioni atmosferiche di quelle che sarebbero prevedibili senza IA.  A questo si aggiungono i problemi idrici: per il raffreddamento dei server, i centri di calcolo utilizzano anche enormi volumi di acqua.

Three Mile Island

E stata annunciata per il 2028 la riattivazione, nella centrale nucleare di Three Mile Island, del reattore 1, in base ad un contratto esclusivo che destinerebbe l’intera produzione energetica di 835MW all’anno alla sola Microsoft. Uno dei reattori della centrale di Three Mile Island (il reattore 2) subì nel 1979 un grave incidente, provocando la fuoriuscita di vapore radioattivo.  Solo un miracolo evitò allora uno scenario più catastrofico. Questo incidente rimane ad oggi il peggiore sinistro nucleare civile degli Stati uniti. La centrale fu allora chiusa definitivamente, e la riapertura oggi di uno dei reattori suscita scalpore e inquietudine.

Foto United States Department of Energy, Pubblico dominio, Collegamento

Da un lato torna alla memoria la fallibilità degli impianti nucleari, dall’altro emerge una nuova minaccia: il rifiuto dell’attuale classe dirigente mondiale e delle imprese multinazionali operanti nel settore informatico (con il contributo, spesso entusiasta, di milioni di utilizzatori…), a limitare e a ridurre lo sviluppo esponenziale delle applicazioni informatiche, contribuisce ad aumentare la produzione di gas serra in modo irreversibile.

In ricordo di un economista gandhiano

Sebbene poco nota in Occidente, la figura di Joseph Cornelius Kumarappa spicca come la più autorevole nel campo della scuola gandhiana di economia nonviolenta. Dagli anni ‘30 fu  collaboratore di Gandhi, elaborò una articolata teoria economica (“Economy of Permanence”), sperimentò pratiche di resistenza nonviolenta e trascorse alcuni anni in prigione sotto il dominio inglese. Non solo espose in forma chiara e completa le idee fondamentali dell’economia nonviolenta di ispirazione gandhiana, ma elaborò una sorta di manifesto di “economia verde”.  Sul sito del CSSR sono disponibili varie letture su Kumarappa (articoli e recensioni di libri).

Qui, a conclusione di questo mio articolo, che si proponeva di contribuire ad essere più consapevoli delle implicazioni che ha per ciascuno di noi utilizzare le opportunità di questo mondo informatizzato – rete e insieme ragnatela – riporto alcuni semplici suggerimenti che Kumarappa forniva ai lettori perché potessero praticare una economia che oggi, con il linguaggio moderno, definiremmo ‘sostenibile’ (come il libro Joseph C. Kumarappa, Economia di condivisione.  Potrebbe essere un esercizio interessante aggiornare la lista delle domande…

Mentre studiamo le istituzioni umane, non dovremmo mai perdere di vista la grande maestra, madre natura. Qualsiasi cosa possiamo escogitare se è contraria ai suoi modi di operare, essa li annichilerà spietatamente prima o poi. E ancora:
Le ripercussioni delle nostre operazioni di compra-vendita ci inducono a porci una serie di domande:

  1. da dove viene l’articolo?
  2. chi lo ha prodotto?
  3. con quale materiale?
  4. in quali condizioni i lavoratori vivono e lavorano?
  5. quale percentuale del prezzo finale va nel salario di chi lo ha prodotto?
  6. come si distribuisce il resto del denaro dell’acquisto?
  7. con che tecniche si produce l’articolo?
  8. che relazioni ha l’industria che lo produce con l’economia nazionale?
  9. quali relazioni ha con le ditte produttrici di altre nazioni?

Elena Camino

30/9/2024 https://serenoregis.org

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