La storia di oggi ha un retroterra. È più che mai attuali le idee di Mario Capanna 

Il libro di Mario Capanna “Verrò da te”, propone un’utopia realizzabile: un parlamento mondiale. Il pretesto per tale disquisizione è il colloquio con quattro ragazzi poco più che ventenni, militanti nei movimenti contrari alla globalizzazione, con i quali lautore affronta una serie di tematiche socio politiche, come la necessità di uno strumento più efficace di democrazia ed una sede formale e sostanziale dove affrontare le problematiche politiche, tramite il coinvolgimento di tutti i cittadini del mondo.

Le preoccupazioni, le angosce dei giovani, oggi, si generano, sostanzialmente, a causa della mancanza di certezze e di punti di riferimento attendibili, stabili ed accreditati, in un mondo in cui aumentano gli elementi di tensione, di conflitto, di rottura. Gran parte di queste conflittualità non sono più ricomponibili nellodierna dimensione statuale, perché leconomia si è organizzata per reti di rapporti che vanno oltre il singolo paese e stato: gli stessi processi di globalizzazione hanno ormai sistematicamente assunto questa dimensione molto più ampia che si colloca oltre le vecchie dimensioni descritte dagli stati nazionali.
Leffetto di una guerra è la mancanza di una stabilità e di un ordine nel mondo, che consenta di ottenere la pace come bene acquisito e diritto fondamentale riconosciuto e garantito e praticato tra i cittadini del pianeta.

Una politica per la pace si otterrà partendo dalla soluzione dei contrasti e dei conflitti contemporanei e puntando alla costruzione di una dimensione efficace nel risolvere le garanzie e le stabilità del futuro. E assente una cultura della pace e mancano gli strumenti in grado di prevenire le guerre. Lo strumento di risoluzione dei conflitti ha preso forma nell’Organizzazione della Nazioni Unite che in tanti episodi recenti è stata o scavalcata oppure ha mostrato tutti i suoi limiti ed afasie, come nel caso dei conflitti nei Balcani e a Gaza: l’incapacità di intervenire di fronte a crisi dichiarate risulta ormai evidente. Non occorre risolvere il tema della sovranità limitata dell’ONU, ma la prima necessità da risolvere è affrontare l’inefficacia delle grandi organizzazioni sovranazionali che sono carenti di un’adeguata legittimazione democratica che le renda efficaci.
Il problema politico è che gli esclusi, al di fuori delle strategie economiche prevalenti, legittimamente non accettano più che sia un regime oligarchico a decidere come risolvere i loro contrasti e contraddizioni, scaricando gli effetti sugli altri.

L’attuale modello di organizzazione economica e istituzionale è in crisi proprio per questi motivi. La risoluzione è riscontrabile nella costruzione difficoltosa di un percorso al di là dell’utopia.
Ogni stato in Europa deve decidere cosa delegherà ad altri, cosa fare, le materie su cui legiferare. Il principio di sovranità e lo stabilire che su alcune materie non si legifera più a livello nazionale, ma si decide altrove, presuppone un’idea di democrazia nuova che si va costruendo e anche una rivisitazione del vecchio modello democratico che cede quote progressivamente verso l’alto”.

Nello specifico il modello di federalismo controverso e discusso è acquisizione da parte di esigue località, di alcuni poteri legislativi, prima afferenti allo stato.
Nel caso dell’Europa addirittura una nuova nazione con proprie definizioni, regole, valori e riferimenti.
E però un’operazione difficilissima, perché si tratta di scegliere modelli uniformi per poter praticare una evoluzione. Il Parlamento Europeo ha ormai una sua dimensione definita ed un proprio carattere. Tuttavia permane irrisolta una grande contraddizione, perché si vota secondo lo schema classico del proporzionale. Mentre molti Parlamenti nazionali sono invece eletti secondo il modello, molto più recente, del maggioritario.

L’Europa avrà bisogno del parlamento che legifera, del governo e di soggetti di rappresentanza sociale che abbiano una dimensione europea. Il sindacato europeo attualmente esiste e si chiama confederazione europea dei sindacati ed è la somma di tutti i sindacati nazionali.

Non esiste una sede europea in cui si contratta nella forma a noi nota del negoziato tra due parti distinte con una loro rappresentanza definita da atti associativi liberamente espressi e non esistono neppure le aziende che si iscrivono a confindustria ed i lavoratori che si tesserano ai sindacati confederati o ad altri. Occorre pensare ad un modello europeo che presenti queste caratteristiche, ma che risolva le contraddizioni emerse, perché in Europa non esistono solo modelli confederati di sindacato. I sindacati italiani nascono come confederazioni, essendo soggetti di rappresentanza generale. Nella Camera del lavoro sono organizzati insieme le categorie e i territori. Il primato è della confederazione.

Il sindacato italiano nasce alla fine del 1800 con le camere del lavoro, ossia luoghi in cui le tante diverse attività stanno insieme sulla base di regole stabilite, specifiche, condivise e vengono rappresentate nella loro complessità. Il soggetto che interloquisce con il governo è proprio la confederazione. Allora un sindacato europeo quale modello sceglie? Quello confederativo? Che rappresenti tutte le categorie e i territori su scala più grande? Occorre trovare una sintesi tra i vari modelli di sindacato: quello mediterraneo, e italiano, quello inglese e tedesco.

Ognuno di questi modelli è un organizzazione sindacale in senso compiuto e racchiude in sé gli elementi della democrazia sindacale, con regole sperimentate per oltre un secolo, ma sono tre ipotesi di sindacato ben distinte.

I temi riguardanti gli effetti della globalizzazione necessitano, per essere discussi, di luoghi di rappresentanza, dove comporre conflitti per dare progressivamente maggiore estensione alla democrazia. Se non si crea unEuropa che, allargando i suoi confini, stabilisce, attraverso regole, che la costituzione è la conferma degli antichi valori europei e se invece nasce un’Europa che somiglia all’idea propugnata dalle destre, ossia un mercato più largo, con il permanere di un ruolo forte, addirittura sul monito degli stati nazionali con diritto di veto, non ci si fermerà al punto apparentemente intermedio attuale.

In Italia, i sindacati hanno battuto l’idea del partito della lega di dividere in due il Paese, praticando l’obbiettivo dell’Europa. Dove non esiste il concetto di avanzamento con fatica e gradualità, il pericolo di retrocedere a dimensioni che producono rotture pesanti sul piano dei rapporti sociali e della rappresentanza stessa, è un rischio molto concreto.

Se l’Europa non avesse avuto il vincolo di Maastricht probabilmente non saremmo riusciti a produrre il risanamento degli anni passati, che attualmente le destre stanno fagocitando. Sarebbe stato anche più forte il modello leghista di scissione, senza una dimensione territoriale secondo il modello federale, con una solidarietà riconosciuta e praticata. Quindi occorre procedere verso il progresso anche con il contributo dellutopia. Da una chiara direzione di intenti provengono gli elementi di valore che determinano la coesione. La coesione sociale è determinata da molti fattori, per esempio, il miglioramento delle condizioni materiali di vita delle persone, ma anche dai valori condivisi.

Nella storia del movimento progressista, sia politico che sociale, si trovano sempre gli elementi di equità e giustizia, per far star meglio le persone, con valori e diritti, perché solo attraverso il rispetto di questi ultimi si può raggiungere davvero un’emancipazione efficace dell’umanità. Nella storia del movimento operaio la connessione miglioramento e diritti è una costante, produce emancipazione. Non si può immaginare che le persone siano emancipate quando stanno meglio materialmente, ma non hanno diritti riconosciuti. Ed è vero anche l’opposto. Il riconoscimento di un diritto deve essere funzionale ad un miglioramento delle condizioni di vita delle persone, diversamente, non si traduce in elementi apprezzabili dalle stesse. Alle persone occorre indicare realisticamente obiettivi praticabili in una direzione condivisa e connetterli a dei valori di riferimento.

In Europa non si tratta di creare un superstato unico e mondiale che peraltro si sta quasi sedimentando spontaneamente e rischia di far esplodere delle contraddizioni planetarie, come il pericolo nucleare, l’emergenza ecologica, la manipolazione genetica, le forniture di armi, la guerra, il terrorismo.
Ma occorre un’Europa di culture in cui ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti. Finora sono state le élites a guidare il mondo: è giunto il momento che i popoli si assumano la loro responsabilità. Risulta necessario eleggere un parlamento mondiale, come sostiene e propone Mario Capanna. Le difficoltà sono certo enormi per avere, ad esempio, un parlamentare ogni sei milioni di abitanti e un’assemblea di mille persone che rappresenti il mondo
La cultura laica più dinamica e il pensiero religioso più stabile sono in grado di costruire punti cruciali di convergenza sulle grandi questioni che investono il presente ed il futuro dell’umanità. Giovanni XXIII scriveva: Il bene comune universale pone ora problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti se non ad opera di poteri pubblici, aventi ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni, ossia mondiali. Occorrono poteri pubblici che siano in grado di operare in modo efficiente sul piano mondiale. E lo stesso ordine morale che domanda che tali poteri vengano istituiti.

Non si tratta di creare un superstato! Perché poteri pubblici sovranazionali o mondiali imposti dalle comunità politiche più potenti, non siano strumento di interessi particolaristici: è difficile che siano immuni da ogni sospetto di imparzialità. Si tratta quindi di fissare bene i limiti delle competenze dei singoli stati e delle unioni di stati verso la comunità mondiale e viceversa.

Il mondo ormai si sta unificando: stiamo divenendo tutti una unica famiglia. La maturità dell’umanità, come la maturità di una persona, di un popolo, di una città consiste nel vivere uniti nelle diversità e nella pluralità, senza omologare le culture nazionali. La cultura neoliberista che è poi disumanizzante, veicolando con i suoi diabolici strumenti un pensiero unico piatto ed omologante, non può essere l’univoca cultura dell’umanità! E allora ecco l’importanza di dare un’anima etica all’umanità del parlamento mondiale. Ma occorre andare oltre l’ONU i cui limiti non si possono negare.

Ma allora questa unità mondiale come è possibile?
Non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, ma , al contrario, vi è una logica morale che illumina l’esistenza umana e rende così possibile il dialogo tra tutti gli uomini e tutti i popoli. Se vogliamo che il 900, secolo di costruzione, lasci il passo ad un secolo innovativo, dobbiamo trovare la strada per discutere con un linguaggio comprensibile e comune circa il futuro dell’uomo.

Laura Tussi

10/10/2024 https://www.farodiroma.it/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *