Una legge del ventennio, un giro di vite. Perché nei romanzi non possiamo più citare altre opere. Un contributo di Loredana Lipperini

[WM: Pubblichiamo questo contributo della collega e amica Loredana Lipperini, scritto appositamente per Giap, perché abbiamo esperienza diretta, e frustrante, di quanto descrive.
Da alcuni anni a questa parte, periodicamente, ci ritroviamo in simili circostanze. Qualche esempio: in Ufo 78 viene citata en passant una casa editrice dal nome evocativo, Sugli alberi le foglie. Nell’Italia parallela del romanzo, rispecchia la realmente esistente Sensibili alle foglie. Sulle prime, dalla casa editrice ci è stato segnalato: essendo un verso di Giuseppe Ungaretti, potremmo dover pagare i diritti. E così per tante altre citazioni o simil-citazioni presenti nel libro. Abbiamo dovuto spiegarle e difenderle una a una.
Altro esempio: negli Uomini pesce dovevano esserci in esergo anche alcuni versi di Mary Oliver (1935-2019), alle cui poesie uno dei personaggi del romanzo dedica un progetto musicale. Si è deciso di soprassedere, per via di una situazione non chiara riguardante i diritti. Per la cronaca, i versi erano: «Questa pelle che indossi / così accuratamente, in cui / ti accomodi / così felicemente / sull’erba estiva, come / farò a riconoscerla?» (da Primitivo americano, Einaudi, 2023, a cura di Paola Loreto). Secondo noi, la diffusione dell’opera di Oliver ne avrebbe tratto solo giovamento.
Nell’esergo di Proletkult non potemmo mettere due versi della canzone Starman di David Bowie. Li sostituimmo con una citazione da Luciano di Samosata, che traducemmo direttamente noi dal greco.
Sotto l’attuale regime di restrizioni, Q non avremmo potuto scriverlo, tante sono le citazioni e i détournements che contiene. L’ultimissima frase del romanzo, per dirne una, viene da Rumore bianco di Don DeLillo. E potremmo parlare degli omaggi al teologo Sergio Quinzio (1927-1996).
Aggiungiamo che da alcuni anni, in fondo a ogni romanzo pubblicato da case editrici del gruppo Mondadori è obbligatoria una «Nota al testo» in cui vengono esplicitate e attribuite, con tanto di indicazione di copyright, tutte le citazioni. Quella nota è a cura dell’editore, ma spesso ciò non è indicato, e così viene attribuita all’autore o autrice, ed erroneamente ritenuta parte della sua poetica. Nel caso di Ufo 78 ciò ha generato malintesi sia in Italia sia all’estero.
Terminata la premessa, lasciamo la parola a Loredana.]

di Loredana Lipperini

Bisognerebbe scrivere a Nick Hornby, e dirgli che oggi non potrebbe più scrivere Alta Fedeltà, uno dei suoi romanzi più amati proprio perché fatto, anche, di citazioni musicali.

Bisognerebbe dire a Murakami Haruki che non potrebbe scegliere Norwegian Wood come titolo, né Hanif Kureishi potrebbe utilizzare Black Album.

Ma ancora: Pier Vittorio Tondelli non potrebbe citare Come here woman di Tim Buckley in Altri libertini, Jonathan Franzen non potrebbe scegliere Have you see your mother, baby, standing in the shadow per Purity, né Pasolini far cantare «La luna si specchia ai vetri del tuo balcone» (Claudio Villa) al protagonista di Una vita violenta.

Non è accaduto nulla, eppure è accaduto tutto, da un paio di anni a questa parte: anni in cui chi scrive e pubblica romanzi in Italia si vede opporre un rifiuto dal suo editore nel momento in cui inserisce una citazione musicale. E anche per quelle, brevi, da testi letterari o poetici, le cose si fanno difficili, incluse quelle scelte per un esergo: devi richiedere il permesso per tempo, e pagarlo. Spesso anche molto caro.

Questa storia dura da qualche tempo, ma è venuta allo scoperto a metà settembre, durante il Festival Intermittenze a Riva del Garda, quando Carlo Lucarelli e io ne abbiamo parlato prima in privato, poi pubblicamente. Io ero ancora sbigottita per non aver potuto citare neanche una strofa da Cento Campane di Fiorenzo Fiorentini nel romanzo che ho tratto per Rai Libri da Il segno del comando: se ricordate, quello sceneggiato del 1971, amatissimo da milioni di spettatori allora e divenuto culto nel tempo, era caratterizzato dalla sigla, che era appunto Cento Campane. Non si può fare. Parafrasi.

Ho scoperto che non ero sola. Lucarelli mi ha raccontato che stava succedendo anche a lui, e a molti altri: vuoi scrivere «nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino?». Non puoi, o meglio puoi ma il tuo editore deve pagare moltissimo alla casa discografica che detiene i diritti. Dunque, ti chiede la parafrasi. Provate a parafrasare Cento Campane o Disperato Erotico Stomp e mi direte. Io mi sono limitata a «din don».

Anche perché la citazione non è mai casuale né inutile. Faccio un solo esempio. La nausea di Jean Paul Sartre. Siamo nel 1938, quindi la norma di cui parlerò fra poco non c’era ancora (ma sarebbe arrivata a breve). Come sanno i lettori di quel libro indimenticabile, Antoine Roquentin, lo studioso che ne è protagonista, vive nell’angosciosa solitudine che caratterizza gli umani, si trascina disgustato da un bar a una biblioteca. Ma verso la fine arriva la musica. Una canzone, ascoltata per caso.

«Some of these days
you’ll miss me honey»

Una musica, si dirà Roquentin, che buca la vaghezza in cui si muove. Che è pura.

«C’è un’altra felicità esternamente, v’è questa striscia di acciaio, l’esigua durata della musica che traversa il nostro tempo da parte a parte, lo respinge, e lo lacera con le sue secche, piccole punte; c’è un altro tempo».

Con la parafrasi, diventerebbe: Roquentin ascolta una voce di donna che canta di giorni in cui il suo amato la rimpiangerà. Tristissimo.

Ora. Questa storia è la storia della lunga mancata applicazione e del vertiginoso cambio di rotta riguardo a una norma. L’articolo 70 della Legge sul Diritto d’Autore (1941) prevede infatti che la citazione debba essere «finalizzata a uno scopo di critica o di discussione», contenuta nei limiti giustificati da tali fini e non costituire concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata.

Un paio di cose sulla concorrenza: un romanzo non può far concorrenza a un altro romanzo o a un brano musicale nel momento in cui lo cita brevemente: semmai, anzi, e non vorrei scomodare quanto dice Henry Jenkins sulla cultura convergente, arricchisce quel testo o quella musica. Un mutuo scambio, come quando Vasco Rossi ha composto Ti prendo e ti porto via ispirandosi al romanzo di Niccolò Ammaniti. Inoltre, la musica serve a caratterizzare un personaggio o addirittura suggerire lo scioglimento della trama, come nel caso di Sartre. La concorrenza non esiste.

E allora? E allora a quella norma manca una frase: perché limita la libera riproduzione solo, appunto, «a uno scopo di critica e di discussione». E dunque alla saggistica. Non alla narrativa. Ed ecco, improvvisa, la stretta su chi narra.

Non ho idea di cosa sia successo, e se davvero ci siano state cause piuttosto pesanti intentate di recente dai detentori dei diritti musicali (o letterari) per «il prezzo del consenso». So, però, che questa è una condizione comune e fortemente e inutilmente limitante. La scrittura è fatta di citazioni, perché le citazioni rimandano al mondo musicale, cinematografico, letterario in cui siamo immersi. Noi, e i nostri personaggi.

E allora, di nuovo?

E allora, per una volta, uniamoci, scrittrici e scrittori, editrici e editori, e chiediamo pubblicamente la revisione di quell’articolo. Due paroline in più, che dicano che la narrativa aiuta la musica, o il cinema, o la letteratura stessa, e non li affossa.

E basta con le parafrasi, che sono orribili, e inutili.

19/10/2024 https://www.wumingfoundation.com/

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