Pfas nei pesci, il report Greenpeace: “Dati preoccupanti su cefali in Toscana e crostacei in Calabria”
I Pfas, alcuni dei quali cancerogeni e interferenti endocrini, sono ormai dappertutto, anche nei pesci. A dirlo è un nuovo report di Greenpeace a partire dai monitoraggi Arpa. Dati preoccupanti soprattutto su cefali e crostacei
I Pfas, alcuni dei quali cancerogeni e interferenti endocrini, sono ormai dappertutto, anche nei pesci. A dirlo è un nuovo report di Greenpeace a partire dai monitoraggi Arpa. Come spiega il report, anche il pescato, e nello specifico quello proveniente dalle acque del Santuario dei Cetacei nel mare della Toscana, può essere contaminato. Il nuovo inquietante capitolo di un’emergenza nazionale ancora sottovalutata arriva a conclusione della consultazione delle analisi di Arpat (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana) sulla presenza di Pfas nei pesci della Toscana. Le rilevazioni sono state fatte da Arpat in un arco di tempo che va da ottobre 2018 a novembre 2023. I pesci sono stati prelevati nelle acque marino-costiere e di transizione della Toscana, spesso alla foce dei corsi dʼacqua, e sono per la maggior parte specie di scarso interesse commerciale come cefali (specie Liza aurata, Liza ramada e Chelon labrosus), in alcuni casi pesci perchia (Serranus cabrilla), sciarrano (Serranus scriba), donzella (Coris julis), salpa (Sarpa salpa), mentre per altre rilevazioni non è possibile stabilire dai dati forniti da Arpat di quale specie si tratti.
Le regioni monitorate
Sulle preoccupanti condizioni dei corsi dʼacqua toscani ha già fatto luce Greenpeace Italia con un report di marzo 2024, rilevando la presenza degli “inquinanti eterni” in qualsiasi punto della Regione monitorato nellʼindagine. “I Pfas sono particolarmente persistenti nellʼambiente e si accumulano negli organismi acquatici e terrestri. Il mare costituisce lʼultimo bacino ricettore di queste sostanze: non si può escludere, dunque, che la situazione sia le medesima anche per altre specie come orate e spigole, che frequentano, almeno per alcuni periodi dellʼanno, lo stesso habitat di quelle esaminate da Arpat” spiega Greenpeace. Oltre alla contaminazione da Pfas nei pesci della Toscana, nel rapporto vengono descritte anche simili situazioni nelle altre due Regioni italiane, il Friuli-Venezia Giulia e la Calabria, che hanno raccolto dati analoghi a quelli della Toscana, anche se in modo più sporadico e meno esteso.
Le tracce di Pfos nei cetacei del Mediterraneo
NellʼAdriatico, fin dai primi anni Duemila, sono state riportate contaminazioni da Pfos (recentemente classificata come possibile cancerogena per lʼuomo) in concentrazioni comprese tra 100 e 400 microgrammi per chilogrammo (μg/kg) nel fegato dei delfini e tra 40 e 200 microgrammi per litro (μg/l) nel sangue degli stessi animali. Alcuni cetacei esaminati nellʼarea del Tirreno settentrionale hanno mostrato livelli analoghi di Pfos nel muscolo, pari a 40-80 microgrammi per chilogrammo. I mammiferi marini, anche per il loro ruolo di predatori in mare, possono essere considerati come indicatori dei cambiamenti ambientali e della salute dellʼecosistema. Livelli di Pfos più bassi, ma non certo trascurabili, sono stati registrati anche nel sangue di altri predatori marini come pesci spada e tonni del Mediterraneo, con valori compresi tra 4 e 52 microgrammi per litro.
Lo standard di qualità ambientale
“Quelle dellʼAgenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana sono senza dubbio tra le analisi più complete, e con una lunga serie di dati storici, tra quelle realizzate dalle varie agenzie ambientali delle singole Regioni o Province Autonome” commenta Greenpeace nel report. Per molte, infatti, non esistono dati relativi alla presenza di Pfas negli animali di ambienti marino-costieri e di transizione. Le analisi di Arpat si sono concentrate sul Pfos e sui suoi derivati. Per questa molecola la normativa italiana ha stabilito uno Standard di qualità ambientale (Sqa) pari a 9,1 microgrammi per chilogrammo (μg/kg) di peso umido negli organismi. “Si tratta di una sorta di indicatore del buono stato ambientale, ma non di un vero e proprio limite di legge. Una scelta per lo meno discutibile” aggiunge Greenpeace.
I risultati dei campionamenti di Arpat
I dati Arpat, pur fornendo un quadro parziale limitato a una sola sostanza, evidenziano che il Pfos è presente nei cefali e negli altri organismi monitorati nelle acque marino-costiere della Toscana. Il Pfos è stato rilevato in 56 animali, pari a circa il 59% del totale. Il valore più elevato è stato pari a 14,7 microgrammi per chilogrammo (μg/kg), rilevato nel dicembre del 2019 su un esemplare della specie Liza aurata (cefalo dorato) pescato alla foce del fiume Bruna a Castiglione della Pescaia, in provincia di Grosseto. La presenza di pesci di mare contaminati è più frequente lungo la costa pisana, alla foce del Fiume Morto e in prossimità della foce dellʼArno. Qui due rilevazioni nel 2019 hanno trovato, nei pesci della specie Liza ramada (cefalo calamita), rispettivamente 5,65 e 5,99 microgrammi per chilogrammo di Pfos. Livelli elevati sono presenti anche negli esemplari prelevati pochi chilometri più a sud, in provincia di Livorno: lungo il tratto di mare di fronte ad Antignano e in prossimità di Marina di Castagneto Carducci. Nemmeno i pesci che vivono alla foce di corsi dʼacqua in zone protette, come a Cala di Forno, nel parco naturale dellʼUccellina nella maremma grossetana, sono immuni alla contaminazione. Anche in prossimità della foce del fiume Ombrone, sempre in provincia di Grosseto, sono stati trovati valori alti.
Difficile identificare la zona di contaminazione
Questi dati, tuttavia, pur evidenziando una presenza diffusa dei Pfas che non risparmia nessuna delle località monitorate, non consentono di poter affermare con certezza quale sia lʼarea più contaminata. Infatti, esemplari della stessa specie e provenienti dalla stessa località mostrano negli anni differenti concentrazioni.
Il pescato delle altre regioni
“Ma qual è la situazione del pescato di altre regioni italiane? Ancora piuttosto ignota considerando le poche indagini effettuate” spiega l’associazione ambientalista. Alcune rilevazioni sono state fatte dalle Arpa di Calabria e Friuli-Venezia Giulia, enti a cui Greenpeace Italia ha chiesto i dati a loro disposizione, tramite richiesta di accesso agli atti. Queste analisi non sono però paragonabili, per mole di dati analizzati, a quelle di Arpa Toscana. Emergono, tuttavia, alcune criticità. I livelli di Pfos registrati da Arpa Calabria, tra il 2021 e il 2023 nei punti di osservazione di Sibari, Roccella Jonica, Crotone, Lamezia Terme e Nicotera, confermano la presenza, in specie di notevole interesse commerciale, di Pfos sia nei pesci – triglia di fango (Mullus barbatus) e nasello (Merluccius merluccius) – che nei crostacei (Squilla mantis, conosciuta con il nome di canocchia o cicala di mare).
I dati preoccupanti sui crostacei calabresi
Sebbene non raggiungano picchi elevati come in alcuni cefali della Toscana, concentrazioni notevoli sono state registrate nei naselli e nelle triglie prelevate nella zona di Roccella Jonica (1,846 μg/kg e 1,367 μg/kg) e Sibari (triglia 1,825 μg/kg). Quello che sorprende, in particolare, sono i valori individuati nelle cicale di mare una specie di crostaceo di diffuso uso commerciale – pescate sia nel mar Tirreno che nello Jonio. In due casi, i livelli di Pfos superavano il limite di 3 μg/kg previsto dal Regolamento europeo 2022/2388 per i crostacei: 4,1 μg/kg in una cicala di mare pescata a Lamezia Terme e 3,06 μg/kg in una pescata a Crotone. In una cicala di mare analizzata a Nicotera il livello di Pfos era prossimo al limite, pari a 2,95 μg/kg. In esemplari della stessa specie prelevati a Sibari e Roccella Jonica invece i livelli erano comunque elevati, pari a 2,08 e 2,12 μg/kg rispettivamente.
I (pochi) dati dal Friuli
Dallʼesame del materiale ottenuto da Greenpeace Italia dallʼArpa regionale, in Friuli-Venezia Giulia sono state effettuate solo 24 rilevazioni nel 2021 sul biota tra Golfo di Trieste, Laguna di Marano e Grado (pesci della specie Gobius niger e Liza Aurata). Gli esiti analitici non hanno fatto emergere particolari criticità, con valori, in tutti i casi, inferiori al limite di rilevabilità analitica pari a 1 μg/kg. “Vista la mole molto ridotta di dati è difficile trarre conclusioni statisticamente rilevanti sulla condizione di contaminazione dei pesci nel nord dellʼAdriatico e questi valori non possono di per sé escludere rischi”.
Le richieste di Greenpeace
“I dati sul pescato, seppur limitati a poche regioni e a una sola molecola del gruppo dei Pfas (quindi non rappresentativi della reale contaminazione), dimostrano la contaminazione diffusa in alcune specie commerciali della Toscana e della Calabria. Il pescato sembra quindi essere una delle vie di assunzione di queste sostanze nel nostro corpo, con possibili conseguenze molto gravi per la salute. I Pfas, infatti, creano danni al fegato e al sistema immunitario, problemi alla tiroide e causano lʼinsorgenza di alcune forme tumorali come il cancro al rene e ai testicoli” spiega Greenpeace, che continua “Di fronte a una situazione così grave che necessita di ulteriori indagini e monitoraggi, è necessario che il governo si attivi immediatamente. È necessario realizzare unʼindagine nazionale su tutte le specie commerciali che finiscono sulle nostre tavole e, parallelamente, seguire gli esempi di Stati Uniti, Francia e Danimarca, che hanno già introdotto provvedimenti più rigorosi a tutela della collettività. Rimane quindi fondamentale varare una legge che vieti la produzione e lʼutilizzo di PFAS, perché la salute del Pianeta e dei cittadini non può essere sacrificata agli interessi economici di pochi che ancora oggi, impunemente, hanno licenza di inquinare”.
Lorenzo Misuraca
31/10/2024 https://ilsalvagente.it
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