Punire ogni forma di protesta
ll disegno di legge Sicurezza introduce ben tredici nuovi reati, più numerose aggravanti e aumenti di pena, in un disegno complessivo che appare diretto a criminalizzare le persone in condizione di marginalità sociale (persone immigrate, detenute, senzatetto, minoranze) e a vietare e punire ogni forma di manifestazione e dissenso, anche pacifica e non-violenta
Lo scorso 19 settembre, la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” (AC. 1660-A). Il testo – ora all’esame del Senato – prevede diverse modifiche al Codice penale ed è stato molto criticato in virtù del suo impianto fortemente repressivo, aprendo anche a serie preoccupazioni nel campo della salute di persone migranti.
Al riguardo, tra i 13 nuovi reati e i 24 interventi introdotti dal ddl, segnaliamo:
- gli artt. 26 e 27, introducono i reati di “rivolta” negli istituti penitenziari, nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) e nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), pur senza descrivere le caratteristiche della rivolta. Inoltre, i reati si riferiscono anche a forme di resistenza passiva nonché di “istigazione alla rivolta”, punite con la pena della reclusione da 2 a 8 anni (da 1 a 6 anni se avvengono nei centri per persone migranti), salve aggravanti che moltiplicano la pena fino a 20 anni di reclusione nel caso di lesioni gravi a rappresentanti delle forze dell’ordine, indipendentemente dalle motivazioni di una possibile protesta e/o rivolta, talora scatenate dalle condizioni precarie di soggiorno. A riguardo, è’ opportuno richiamare all’attenzione le già critiche condizioni delle carceri italiane, soffocate da sovraffollamento cronico, con un tasso di affollamento nazionale nel 2024 pari al 119.3% [1], tra l’altro, sensibilmente peggiorato proprio a causa dell’approccio panpenalista dei governi, anche a livello degli istituti penali minorili (in cui la percentuale di stranieri supera spesso il 50%)[2]. Inoltre, va ribadito che le persone migranti detenute nei CPR per l’illecito amministrativo della mancanza di regolare permesso di soggiorno spesso non comprendono la natura della loro detenzione, e le proteste rappresentano l’unica valvola di sfogo di sofferenza e disperazione[3]. Tali proteste si manifestano spesso come atti di autolesionismo e/o tentativi di suicidio, con un uso del proprio corpo che, al di là dei rischi della patologizzazione, reclama un valore politico prima che medico.[4] Di conseguenza, questi articoli del ddl “sicurezza” limitano ulteriormente la libertà di espressione per le persone migranti detenute, già critica per la mancanza quasi strutturale strumenti di inclusione e/o mediazione linguistico-culturale.
- L’art. 10 prevede la reclusione da 2 a 7 anni per chiunque, mediante violenza o minaccia, occupi o detenga senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui, ovvero impedisca il rientro del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente, maniera del tutto ridondante dal punto di vista penale (tale reato è già previsto dall’art. 633 del Codice Penale). Anche in questo caso si intravede una stretta repressiva verso le fasce più povere e meno tutelate della popolazione, come le persone migranti senza documenti e in condizioni di precarietà economica[5], e verso chi, impossibilitato ad avere un domicilio e una dimora, ricorre all’occupazione di edifici in disuso, abbandonati o comunque non abitati dai proprietari, rischiando di alimentare ulteriormente le già gravi situazioni di marginalità e precarietà esistenziale e abitativa.
- L’art. 15 rende facoltativo, e non più obbligatorio come finora, il rinvio dell’esecuzione della pena in stato di gravidanza o madri di figli di età inferiore ad un anno per le donne condannate (condanna da scontare negli istituti a custodia attenuata per detenute madri, ICAM), aprendo al serio rischio di violare il diritto a una maternità dignitosa e sicura, sancito dalle regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute (Regole di Bangkok, del luglio 2010). In particolare, secondo la Regola 64 “le pene non detentive per le donne incinte e per le donne con figli a carico devono essere preferite laddove possibile“, richiamando, tra l’altro, l’interesse superiore del minore rispetto all’esercizio del potere punitivo. Senza alcun dubbio, l’introduzione di questo articolo impone delle attente riflessioni sui potenziali rischi nell’ambito della salute materno infantile, e sull’impatto, anche a lungo termine, sulla salute del minore.
- L’art. 9 sancisce un aumento della possibilità di revoca della cittadinanza per le persone di origine straniera, estendendo a dieci anni, rispetto agli attuali tre, il termine entro il quale, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è possibile esercitare il potere di revoca della cittadinanza italiana concessa. L’articolo introduce una “doppia pena” (il reato passato in giudicato più la revoca della cittadinanza) che crea disuguaglianza rispetto alla popolazione autoctona, e inoltre prefigura un utilizzo strumentale della cittadinanza stessa. Anche in questo caso, il rischio è di uno sbilanciamento tra il reato e la pena, con un impatto, potenzialmente devastante sui progetti di vita e sulla salute di individui ed intere famiglie.
- L’art. 16 inasprisce diverse pene relative all’accattonaggio e alla mendicità, pratiche purtroppo al centro del mirino di politiche di decoro, ma in tal caso vitali soprattutto in assenza di adeguate misure di protezione sociale per chi in condizioni di grave precarietà economica e sociale. [6] Anche qui il rischio non solo di spingere ulteriormente aldilà del margine sociale, chi ancora in equilibrio, ma anche di punire solo perché colpevoli di povertà, aprendo a riflessioni sia sugli aspetti più diretti sulla salute ma anche a necessarie considerazioni etiche sul senso e sull’obiettivo della pena e del suo oggetto.
- l’art. 32 prevede che una persona proveniente da un Paese non appartenente all’Unione Europea (UE) che voglia stipulare un contratto di telefonia mobile debba fornire “una copia del titolo di soggiorno di cui è in possesso”, indicando pene per i gestori telefonici non aderenti. Tale norma lega il diritto a comunicare (sancito tra l’altro dall’art. 15 della Costituzione Italiana) al possedimento di un permesso di soggiorno, introducendo un elemento discriminatorio nell’accesso a ciò che secondo l’Unesco è uno strumento essenziale del percorso migratorio e per mantenere contatti con il proprio paese di origine. Inutile affermare come ciò possa avere conseguenze negative sulla salute delle persone migranti non in regola con il soggiorno, già esposte a situazioni di svantaggio e gravi rischi per la salute, e per le quali l’accesso alla telefonia, rappresenta una risorsa più che imprescindibile per accedere ad informazioni necessarie all’orientamento nel paese di permanenza, al mantenimento di relazioni significative e alla prosecuzione del progetto migratorio. I rischi, qui evidenti, sono di peggiorare le già critiche condizioni di marginalità, alimentando discriminazione e isolamento.
Il disegno di legge (ddl) “sicurezza”1 (approvato alla Camera e attualmente in discussione al Senato) è incentrato sulla criminalizzazione di alcune figure “marginali della società”, ivi incluse le persone migranti. Il ddl descritto sembra quindi ben lontano dall’avere a che fare con la sicurezza sociale, ma sembra piuttosto l’ennesima stretta repressiva e securitaria, che rischia di alimentare razzismo istituzionale, frammentazione sociale e disuguaglianze in salute. Infatti, tra le misure adottate, non vengono mai affrontati i determinanti sociali delle condizioni di disagio criminalizzate, affrontando tutto solo con l’introduzione di nuovi reati o aggravando le pene per altri, nella manifestazione propagandistica di quello che è stato definito “panpenalismo”.[7], dal momento che tale stretta normativa securitaria, infatti, non risponde ad alcuna “emergenza sicurezza” in Italia, Paese in cui la maggior parte dei crimini commessi e denunciati non presenta livelli di preoccupazione[8];
Tale tendenza normativa non è nuova, basti pensare ai cosiddetti “decreti sicurezza” del 2018 e 2019 che hanno avuto come effetto l’abolizione della protezione umanitaria, lo stravolgimento del sistema di accoglienza e la criminalizzazione delle Organizzazioni non governative (ONG) impegnate nel soccorso in mare.[9] Ma, come ha osservato Oiza Q. Obasuyi, il ddl “sicurezza” porta all’estremo la pratica di utilizzare inasprimenti normativi per sovrapporre e confondere strumentalmente diritto penale e dell’immigrazione, perseguendo l’atteggiamento criminalizzante e razzista che a livello internazionale è stato denominato “crimmigration”.[10] Le misure repressive e autoritarie sono rivolte a esseri umani per il loro presunto “crimine ontologico” di essere “altri da noi”, ciò che l’antropologia descrive come “othering”, evidenziandone le derive dichiaratamente discriminatorie e razziste che portano a diseguaglianze, scontri, violenza e sofferenza.[11]
Come Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) ci uniamo alle tante voci critiche ed esprimiamo forti preoccupazioni rispetto alle possibili, per non dire certe, conseguenze in termini di sicurezza sociale e di tutela della salute pubblica e individuale, e che andranno a colpire soprattutto persone migranti, in condizioni di fragilità sociale o limitate della libertà personale.
Nicola Cocco, Federico Nicoli, Valentina Marchese, Jacopo Testa. Leonardo Mammana
Gruppo Metodologia Ricerca e Bioetica (MeRiBio), Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM)
Referenze
[1] https://www.rapportoantigone.it/ventesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/i-numeri-della-detenzione/
[2] https://www.rapportoantigone.it/ventesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/minori/
[3] https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani/ , https://altreconomia.it/il-carcere-sedato-piu-di-due-milioni-di-euro-allanno-spesi-in-psicofarmaci/
[4] Aitchison G, Essex RSelf-harm in immigration detention: political, not (just) medicalJournal of Medical Ethics Published Online First: 29 December 2022. doi: 10.1136/jme-2022-108366
[5] https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camilli/2017/09/08/roma-case-occupate#:~:text=Come%20si%20vive%20in%20un%20palazzo%20occupato%20e
[6] https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22002-13093%22]}
[7] https://www.valigiablu.it/governo-populismo-penale-nuovi-reati/
[8] https://lab24.ilsole24ore.com/indice-della-criminalita/
9 https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camilli/2017/09/08/roma-case-occupate#:~:text=Come%20si%20vive%20in%20un%20palazzo%20occupato%20e
[10] https://www.internazionale.it/opinione/oiza-q-obasuyi/2024/10/02/ddl-sicurezza-migranti
[11] Bhugra D, Smith A, Liebrenz M, et al. “Otherness”, otherism, discrimination, and health inequalities: entrenched challenges for modern psychiatric disciplines. Int Rev Psychiatry. 2023;35(3-4):234-241. doi:10.1080/09540261.2023.2192275
13/11/2024 https://www.saluteinternazionale.info
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