Palestina. Le condizioni dei lavoratori di Gaza, Cisgiordania e Golan
di International Labour Organization (ILO)
Morti, feriti e devastazione: cosa significherà a lungo termine? Un durissimo Rapporto dell’International Labour Organization fotografa l’annientamento dell’economia e del mercato del lavoro a Gaza, in Cisgiordania e nel Golan e mostra come la distruzione non sia iniziata il 7 ottobre 2023 e non finirà con il cessate il fuoco: sono terre nelle quali Israele si è strutturato per rendere sempre più difficile la sopravvivenza ai palestinesi e spingerli ad andarsene
45.000 palestinesi morti e 95.000 feriti a Gaza, al 10 settembre 2024. Un bollettino tenuto costantemente aggiornato, insieme alla portata della distruzione causata dai bombardamenti e dalle incursioni via terra dell’esercito israeliano. Ciò su cui ci si focalizza meno è cosa significherà tutto questo a lungo termine. È quel che fa questo Rapporto dell’International Labour Office, presentato a giugno 2024, partendo dalla situazione del lavoro e dei lavoratori non solo di Gaza, ma di tutti i Territori Arabo/Palestinesi Occupati, ossia anche Cisgiordania e Golan. È una situazione di cui non si può avere contezza della portata se non si analizzano i dettagli e i numeri, e questo documento li contiene.
Veniamo così a sapere, per citare appena alcune realtà fotografate dal Report, che a Gaza il PIL è crollato dell’81% e la disoccupazione è all’89%; che l’80% degli stabilimenti commerciali, industriali e dei servizi è stato danneggiato o distrutto, causando la chiusura delle attività economiche; che la produzione agricola è cessata perché Israele sta “radendo al suolo tutte le strutture, compresi i campi agricoli e le serre, e creando una zona cuscinetto lungo la recinzione di confine tra Israele e Gaza che dovrebbe essere larga fino a un chilometro e occupare circa il 16% della superficie dell’enclave”, mentre anche pesca e acquacoltura sono crollate perché “nessuna imbarcazione nel porto di Gaza è rimasta utilizzabile e le gabbie per la piscicoltura, le attrezzature per la pesca e gli impianti per la produzione di ghiaccio per preservare il pescato sono stati distrutti durante i bombardamenti all’inizio della guerra”: una condizione che ha contribuito alla carestia e all’attuale crisi alimentare.
Anche in Cisgiordania l’economia e il lavoro sono franati. Prima della guerra, 140.000 palestinesi della Cisgiordania erano impiegati in Israele e altri 40.000 negli insediamenti israeliani: la maggior parte ha perso il lavoro a causa della chiusura dei valichi di frontiera operata da Israele.
All’interno della Cisgiordania, Israele ha istituito 968 checkpoint temporanei, oltre a quelli permanenti, rendendo impossibile ai palestinesi muoversi tra una città e l’altra, e dunque anche raggiungere il proprio posto di lavoro, e tagliandoli fuori da “almeno 25.000 acri di pascoli e terreni agricoli”; mentre “nella zona H2 di Hebron è stato imposto un coprifuoco completo della durata di un mese, durante il quale ai palestinesi è stato impedito di uscire, e ai negozi è stato ordinato di chiudere”. In tutto questo, il numero degli avamposti e degli insediamenti illegali israeliani è aumentato, e “i coloni sono sempre più armati e talvolta indossano uniformi dell’esercito: alcuni sono stati arruolati in battaglioni che prestano servizio vicino ai propri insediamenti, rendendo poco chiaro in quale veste agiscano”.
In aggiunta, Israele ha unilateralmente e illegalmente aumentato le proprie trattenute da quanto deve mensilmente versare all’Autorità Palestinese per imposte doganali, rendendo impossibile a quest’ultima far fronte alle necessità sociali ed economiche create dalla guerra: “Del miliardo di shekel mensili dovuti, l’Autorità Palestinese riceve appenao 250 milioni; il solo costo salariale del settore pubblico è stimato in 700 milioni di shekel al mese”.
Quello che qui traduciamo e pubblichiamo in estratto, è un Rapporto durissimo, com’è giusto che sia vista la situazione che si evidenzia. E che, al di là dei numeri e dei grafici, non dimentica due aspetti fondamentali. Il primo: la crisi economica e del mercato del lavoro non è iniziata il 7 ottobre ma è strutturalmente causata da decenni di Occupazione israeliana; Gaza è soggetta a un blocco di diciassette anni via terra, aria e mare, la Cisgiordania è soffocata dagli insediamenti e dai checkpoint che frammentano e rendono impossibile la circolazione dei palestinesi. Il secondo: tra i costi a lungo termine di questa guerra non bisogna trascurare “la prolungata interruzione dell’istruzione e della formazione professionale sia a Gaza che in Cisgiordania e le conseguenti perdite di apprendimento, che imporranno conseguenze durature sui bambini, sulle giovani donne e sugli uomini e sulla società in generale; lunghi periodi di disoccupazione e mancanza di opportunità di accumulo di capitale umano, compresa la formazione professionale sul posto di lavoro, insieme a gravi infortuni in tempo di guerra, malattie e mancanza di cure mediche, nonché il trauma psicologico del conflitto, lasceranno cicatrici durature nella futura capacità produttiva degli individui e delle comunità palestinesi”.
Noi aggiungiamo una terza considerazione, prendendo a prestito le parole di Ibrahim Souss in Lontano da Gerusalemme, ambientato nel 1948, l’anno della Nakba: “Di nuovo, mi affiorava alla mente l’idea di partire. Ma assumeva una nuova dimensione. Non era più dovuta alla paura, ma a un’altra ragione più urgente, più pressante. Come sopravvivere in condizioni che da due mesi diventavano sempre peggiori, mentre i nostri mezzi molto limitati si erano assottigliati al massimo e stavano arrivando a un punto critico? L’attività della farmacia che avevo aperto in via Mamilla, a pochi passi da Bab al-Khalil, all’esterno delle mura, andava a rilento da tre mesi, per mancanza di approvvigionamenti. Numerosi prodotti farmaceutici venivano importati, e, causa lo stato di guerra nel quale il Paese era scivolato, procurarseli era diventato sempre più difficile. E poi l’insicurezza era tale da rendere precario qualsiasi commercio. […] la Fuga era divenuta tentazione persistente anche perché non sapevamo più come arrivare a fine mese”. Souss rappresenta la violenza e la paura, le rappresaglie e gli attentati dei gruppi terroristici israeliani dell’Irgun e dello Stern – supportati dagli inglesi, ancora presenti in Palestina – ma focalizza anche i coprifuoco, le chiusure imposte alle attività commerciali e i problemi economici causati dall’intera situazione, tra le ragioni che spinsero molti palestinesi a lasciare le proprie case e a non farvi più ritorno. Uno spettro, la Nakba, che sembra essere stato rievocato dal passato nella modalità con cui Israele affronta questa guerra: non solo migliaia di morti e feriti, anche la sistematica distruzione di ogni possibile economia e lavoro a Gaza e Cisgiordania.
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Capitolo 1. Una situazione catastrofica
Questo è stato l’anno più difficile per i lavoratori palestinesi dall’inizio dell’Occupazione nel 1967. […] [La] guerra devastante a Gaza ha causato enormi morti e devastazione nei Territori Palestinesi Occupati. I mezzi di sussistenza sono distrutti e il lavoro scarseggia. La disoccupazione è ai massimi storici; da ottobre sono andati perduti più di mezzo milione di posti di lavoro a Gaza e in Cisgiordania. Immensi disagi sono stati inflitti ai lavoratori e ai datori di lavoro palestinesi.
Ma le sofferenze non sono iniziate nell’ottobre del 2023. Piuttosto, la guerra a Gaza e le sue molteplici ricadute in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, hanno drammaticamente accentuato e amplificato le debolezze strutturali di un mercato del lavoro soffocato da decenni di Occupazione. I fattori chiave includono l’espansione dell’attività di insediamento israeliano, la frammentazione spaziale della terra palestinese e le restrizioni imposte dall’Occupazione su movimento, accesso, commercio e finanze pubbliche.
Lavoratori di Gaza dentro e sotto le macerie
Prima di passare alla difficile situazione attualmente vissuta dai lavoratori di Gaza, è istruttivo rivedere la situazione prima dell’ottobre 2023. Soggetta a un blocco di diciassette anni via terra, aria e mare, la maggioranza dei palestinesi nella Striscia sopravviveva già sotto la soglia di povertà prima dell’ultima guerra. Molti hanno sperimentato l’insicurezza alimentare. L’enclave era impantanata in una cronica crisi socioeconomica e umanitaria, aggravata da frequenti escalation militari con Israele. L’accesso a beni, servizi e finanziamenti, nonché alle attività del settore privato, è stato fortemente limitato dal blocco. La disoccupazione era più di tre volte quella della Cisgiordania e nel terzo trimestre del 2023 era pari al 45%. Tra le donne e i giovani era particolarmente elevata. Gli indicatori chiave del mercato del lavoro hanno trasmesso un quadro cupo delle lotte quotidiane per la sussistenza, del collasso e della privazione. Gaza era già in fase di de-sviluppo da molto tempo.
IL REPORT DELLA ILO
1/12/2024 https://www.sinistrainrete.info/
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