La Siria è già nel caos: tutti contro tutti ( e gli analfoliberali festeggiano)
La caduta di Bashar al-Assad ha segnato una svolta epocale per la Siria, aprendo scenari di incertezza, conflitti e una nuova spartizione del Paese. Il Paese, già devastato da oltre un decennio di guerra, si trova ora al centro di una complessa ridefinizione degli equilibri geopolitici, guidata da potenze globali e regionali, oltre che da fazioni interne in lotta per il controllo del territorio.
La spartizione della Siria e la dissoluzione dello Stato
Il collasso del regime ha messo in luce la fragilità delle sue fondamenta. L’esercito siriano, lasciato allo sbando senza l’assistenza dei russi e degli iraniani, si è dissolto, richiamando parallelismi con il crollo dell’esercito iracheno di fronte all’avanzata dell’ISIS nel 2014.
Con Assad è venuto meno anche il partito Baath, un tempo simbolo dell’ideologia socialista e panaraba, portatrice di laicità nei governi del Medio Oriente. Il vuoto di potere ha trasformato la Siria in una terra di nessuno e già si vedono i primi esiti: Israele e Turchia stanno sfruttando la situazione per ampliare le proprie zone di influenza.
L’annessione israeliana e turca
Tel Aviv ha intensificato le operazioni militari per creare una “fascia di sicurezza” nel Golan siriano. I bombardamenti contro basi iraniane e di Hezbollah si inseriscono in una strategia volta a prevenire qualsiasi minaccia militare dalla Siria, mentre avanza sul terreno verso aree come Quneitra. In 36 ore ci sono stati oltre 100 bombardamenti israeliani, che cosi ha stracciato l’accordo siglato con Damasco nel marzo 1974 e che disegnava la cosiddetta ‘Linea Alpha’, a separare il territorio siriano da quello occupato di Israele.
Allo stesso tempo Recep Tayyip Erdoğan persegue l’obiettivo di espandere la propria fascia di sicurezza nel nord della Siria, puntando anche a impedire ai curdi di ottenere autonomia nel Rojava. Gli scontri tra fazioni filo-turche e curde continuano a destabilizzare ulteriormente la regione.
Nella notte sono state segnalate operazioni militari americane in supporto delle milizie curde, evidentemente per mandare un messaggio ad Ankara. Dunque siamo già al tutti contro tutti. La ‘libizzazione’ siriana è già nei fatti.
Le sfide interne per il potere
Le fazioni jihadiste, guidate da Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), si stanno affermando come protagoniste nella nuova Siria. Il leader di HTS, Abu Mohammad al-Julani, ha cercato di ottenere legittimità politica internazionale con promesse di moderazione, ma il suo passato e i legami con la Turchia sollevano dubbi sulla reale possibilità di stabilire uno Stato stabile e inclusivo. La frammentazione del Paese lascia ampi spazi d’azione a milizie locali, minoranze religiose, e gruppi terroristici come l’ISIS.
Le potenze occidentali, preoccupate principalmente dalla gestione dei flussi di rifugiati, si trovano in una posizione ambigua. Sebbene Joe Biden ed Emmanuel Macron stiano considerando accordi con al-Julani, la possibilità di un futuro simile alla Libia desta allarme, soprattutto per il rischio di nuovi esodi di massa e la perdita di vite umane tra le minoranze religiose e laiche.
Con l’80% della popolazione sotto la soglia di povertà, il ritorno dei profughi rimane una sfida enorme. La Siria, ridotta a una “mini-Stato” frammentato e controllato da potenze straniere, rischia di diventare un nuovo buco nero del Medio Oriente.
E gli analfoliberali festeggiano
Nel frattempo, gli entusiasti cantori del primato dell’Occidente non si risparmiano in celebrazioni paradossali. Testate come Repubblica e La Stampa squadernano nostalgici parallelismi tra il leader jihadista Abu Mohammad al-Julani e icone rivoluzionarie come Fidel Castro o Che Guevara. Altri maestri del pensiero come Molinari si congratulano per i “successi” della Turchia, trascurando che Erdogan, pur essendo un alleato NATO, è noto per la repressione dei curdi e il coinvolgimento indiretto nella pulizia etnica degli armeni nel Nagorno-Karabakh.
La schizofrenia geopolitica si riflette anche nella convinzione che qualsiasi nemico di Assad sia automaticamente un amico della democrazia. E così, tra una foto celebrativa e un editoriale grondante ottimismo, la Siria si avvia a diventare un nuovo teatro del caos, dove gli stessi “liberatori” sono i primi a rimpiangere ciò che hanno contribuito a distruggere.
10/12/2024 https://www.kulturjam.it/
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