I mostri del Ddl sicurezza

Obbligo di arresto per le donne incinte. Soprattutto se rom. Queste in sintesi alcune delle nuove disposizioni contenute nel DdL sicurezza che, oltre ad aver preso di mira tutte le forme del dissenso, si è accanito in particolare contro le donne che finora non potevano finire in carcere perché in stato di gravidanza. Un’analisi verso la manifestazione del 14 dicembre a Roma contro il DdL della paura

Anche se è contro la Costituzione e il diritto, nel cosiddetto decreto sicurezza, che sta per diventare legge quando, a giorni, il Senato avrà approvato il testo che la Camera ha licenziato lo scorso settembre, c’è un articolo costruito appositamente per colpire i rom. Anzi, le donne rom. La loro “colpa” è fare troppi figli, in un paese dove non ne nascono praticamente più. Perciò, per le donne incinte e per le madri con figli entro l’anno di età,  il rinvio della pena non sarà più obbligatorio, come stabilisce l’articolo 146 del codice penale, ma diventerà facoltativo, a discrezione del giudice.

Per indorare la pillola, si prevede una relazione annuale del governo al parlamento sull’attuazione «delle misure cautelari e dell’esecuzione delle pene non pecuniarie nei confronti delle donne incinte e delle madri di prole di età inferiore a tre anni». Peccato che la relazione sia già prevista da anni e, come è facile immaginare, finirà fatalmente in qualche polveroso cassetto. Beati i tempi in cui De Sica riusciva a farci sorridere con il  meraviglioso film Ieri, oggi e domani in cui Adelina (Sofia Loren) venditrice di sigarette di contrabbando non può mai essere arrestata perché perennemente incinta.

Oggi c’è solo da inorridire di fronte al «vulnus intollerabile al sistema giuridico, socio-sanitario e pedagogico per il bambino – ha commentato Antigone – La nuova disposizione è in netto contrasto con quanto previsto dalle regole penitenziarie europee, secondo le quali le detenute devono essere autorizzate a partorire fuori dal carcere».

In realtà, la norma contenuta nel decreto sicurezza non si giustifica nemmeno ricorrendo alla cosiddetta “emergenza”, che tanti atti persecutori ha prodotto nei confronti dei rom, dal momento che le donne detenute sono attualmente circa il 4 per cento dell’intera popolazione reclusa.

«La nuova disposizione è pensata – chiarisce Patrizio Gonnella, presidente di Antigone –  nonché pubblicamente raccontata, come norma anti-rom, partendo dal pregiudizio che le donne rom sono tutte dedite al furto e che scelgono la maternità per sottrarsi alla carcerazione. In realtà i numeri delle donne rom in carcere sono così bassi, poche decine, da scardinare ogni pregiudizio».

Magari bastassero i numeri a scardinare i pregiudizi che costruiscono l’impalcatura di un governo liberticida. Si sarebbero potuti evitare centinaia, migliaia di grandi e piccoli orrori quotidiani compiuti nei confronti di una popolazione di circa 180 mila persone, 70 mila delle quali cittadini italiani a tutti gli effetti e il 90% totalmente integrata. Solo 15.800 sono ancora nei campi, formali o informali, mentre almeno 130.000 svolgono un lavoro regolare, pagano le tasse e vivono in abitazioni normalissime.

Ma, siccome non vogliamo cadere nelle trappola di chi ha costruito questa aberrazione giuridica, facciamo finta che il mirino non sia puntato solo contro le donne rom ma contro tutte le donne detenute. Si scopre così che è già vigente nelle carceri italiane un orrore che si perpetua nel tempo senza trovare una reale soluzione ed è quello dei sessanta bambini che stanno trascorrendo i primi tre anni di vita dietro le sbarre, in spazi fatiscenti, sovraffollati e malsani e che, nel giorno del loro terzo compleanno, devono andarsene venendo affidati a parenti, a volte ai padri ma spesso ai nonni (molte detenute hanno compagni o mariti a loro volta in carcere), oppure messi in istituti.

Dunque, c’è una comune condizione di disperazione che attraversa tutte le donne madri che hanno a che fare con la giustizia per reati che, nella stragrande maggioranza, sono di lieve entità, ma ce n’è una ulteriore specifica che riguarda le donne rom. 

Prima del “Pacchetto Sicurezza,” molte di loro rimandavano effettivamente il momento di espiazione della pena perché in attesa di un figlio ma, poiché spesso recidive vedevano, negli anni, aumentare il cumulo dei reati che, a un certo punto, avrebbero comunque scontato in carcere, trovandosi di fronte a pene lunghissime. Quindi, non solo povertà, esclusione sociale e degrado ma anche, a coronamento, la prospettiva di trascorrere lunghi anni in carcere, una volta cresciuti i figli. E, siccome di media una donna rom a livello europeo ha una vita media che arriva alla soglia dei 60 anni (contro gli 85,97 delle non rom), penso che l’ultima parola spetti a Francisco Goya: «il sonno della ragione genera mostri». E in questo paese sono al governo.

Anna Pizzo

11/12/2024 https://www.dinamopress.it

Immagine di copertina di Daniele Napolitano

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