La crisi di Stellantis e la crisi dell’Italia

Non si può dire che la crisi di Stellantis sia un fulmine a ciel sereno. Gli errori del passato non possono più essere nascosti sotto il tappeto. Non sono lontani i tempi in cui il Presidente del Consiglio del Pd inneggiava a Marchionne che ‘fa cose di sinistra’, mentre era impegnato a licenziare sindacalisti e ad attaccare le condizione dei lavoratori e della lavoratrici. Qualcuno a suo tempo fece presente all’intoccabile idolo dei giornali e della politica che se si licenziava e si abbassavano i salari, nessuno avrebbe più comprato le auto ma oramai la Fiat non era più un industria ma una finanziaria. Le successive fusioni che hanno dato vita prima a FCA poi a Stellantis hanno confermato questo trend. Inutile indignarsi per la fuoriuscita milionaria di Tavares, queste sono le regole del capitalismo finanziario. Occorre redistribuire dividendi agli azionisti, questo è l’obiettivo non fare funzionare l’azienda. Come dire: ‘l’operazione è riuscita, il paziente è morto’.

Allo stesso tempo è ridicola l’affermazione che le nuove leve della famiglia Agnelli non sono a livello dei loro nonni. Ricordiamo cosa è stata la Fiat, non solo il sostegno pubblico a cui la proprietà ricorreva come ad un bancomat (ricordiamo, una fra tante, la rottamazione fatta dal governo Prodi, con l’azienda che una volta concluso il sostegno pubblico annunciò la cassa integrazione) ma anche i licenziamenti politici, i controlli e i reparti punitivi. Il senso comune vorrebbe che, arrivati a questo punto, fosse lo Stato ad entrare nella proprietà, se lo Stato francese ha un ruolo perché non lo può avere quello italiano?

La crisi di Stellantis parte da lontano ma ha anche un portato esogeno, ovverosia esterno all’azienda e alla sua (non)politica industriale. Per capire queste ragioni basta sfogliare ‘il sole 24 ore’, che ricorda sempre più un bollettino di guerra. Giovedì 12 dicembre vi si poteva leggere i risultati di uno studio di AlixPartners e Anfia che paventa ‘il rischio che la perdita fino a 40mila posti di lavoro nella filiera venga anticipata dal 2030 al 2025’. Sempre nello stesso giornale si sosteneva che l’economia italiana è in rallentamento e l’industria in crisi. L’entusiasta partecipazione alla guerra contro la Russia sta portando i suoi risultati ma la politica sembra non capirlo, l’alleanza rossobruna fra Pd e FdI che ha convintamente sostenuto la nuova commissione europea ci sta dicendo che la guerra è il nostro futuro.

Il malessere in Italia cresce assieme alla crisi ma il rischio è che esso si incanali verso destra, per il semplice motivo che la sinistra e i comunisti sono assenti. Due sono i piani su cui, con urgenza, occorre lavorare. Il primo è unire i comunisti, non dietro un simbolo ma dietro ad un programma che sappia leggere i cambiamenti della fase attuale. Analisi concreta della situazione concreta, il contesto internazionale e nazionale è cambiato e serve una forza capace di navigare in questo nuovo scenario. Il secondo piano su cui lavorare è quello di una sinistra più ampia, anticapitalista e di classe, che sappia dire parole chiare sull’Unione europea e la Nato.

Come ripetiamo fino alla noia oggi è necessario unire lotta di classe e lotta contro l’imperialismo, la questione sociale, come insegna la grave crisi dell’economia europea, non può essere separata dalla lotta per la pace. Il rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese delinea il quadro di una nazione impoverita in cui ‘fermenta l’antioccidentalismo’. Questo antioccidentalismo non è ideologico ma è il portato delle politiche di guerra e di austerità portate avanti dall’euro-atlantismo, il nostro compito è dare rappresentanza a questo malessere, costruire una prospettiva concreta di offensiva politica. L’alternativa è consegnare questo malessere alla destra, fronteggiata dall’opposizione parlamentare di sua Maestà.

Marco Pondrelli

15/12/2024 https://www.marx21.it/

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