Nuovo decreto lavoro del Governo Meloni: un ritorno ai padroni delle ferriere
Con il via libera definitivo del Senato, il decreto lavoro del Governo Meloni entra ufficialmente in vigore. Presentato come un intervento volto a “semplificare” le norme in materia di lavoro, il testo è in realtà un provvedimento che ridisegna il mercato del lavoro italiano a favore delle imprese, lasciando i lavoratori con meno tutele, meno sicurezza e meno prospettive.
Il nuovo decreto lavoro del Governo Meloni: una politica di condoni che premia l’irregolarità
Tra le novità introdotte dal decreto spicca la possibilità, dal 2025, di dilazionare i debiti verso Inail e Inps fino a 60 rate mensili.
Questo apparentemente generoso piano di rientro, però, si inserisce in una tendenza ormai consolidata di ricorrere ai condoni, favorendo chi non rispetta le regole. In un Paese in cui il lavoro nero è una piaga strutturale, tale misura non sembra incentivare la regolarizzazione, ma piuttosto legittimare comportamenti evasivi.
Contratti a termine: un ritorno al precariato senza freni
Il decreto interviene pesantemente sul tema dei contratti a termine, rafforzando il ricorso al lavoro precario e all’interinale. La cancellazione o l’allentamento delle causali – introdotte per limitare l’abuso dei contratti a tempo determinato – spalanca le porte a nuove forme di sfruttamento.
Ad esempio:
- I contratti a termine non necessitano di causali se riguardano disoccupati da almeno sei mesi o percettori di NASPI.
- Anche i lavoratori stagionali vedranno una dilatazione della loro categoria, con contratti legati a “esigenze tecniche e produttive” decise arbitrariamente dai datori di lavoro.
- I somministrati assunti a tempo indeterminato da un’agenzia escono dai limiti di percentuale imposti alle aziende.
Questo sistema favorisce una precarizzazione sistematica: il lavoratore non dipende più direttamente dall’azienda ma da un’agenzia, una condizione che permette alla committenza di sfruttare il personale con discrezionalità, aggirando i diritti e le tutele riservate ai contratti subordinati a tempo indeterminato.
Norme sulla sicurezza: meno controlli, più rischi
Gravissime sono le modifiche alle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, come l’eliminazione dell’obbligo dei tesserini di riconoscimento nei cantieri. Questi tesserini garantivano l’identificazione immediata delle maestranze durante i controlli delle autorità preposte, un elemento fondamentale per contrastare il lavoro nero e garantire il rispetto delle norme di sicurezza.
Inoltre, la visita medica obbligatoria per i dipendenti assenti per oltre 60 giorni sarà ora necessaria solo su esplicita richiesta del medico competente, rendendo più difficile monitorare lo stato di salute dei lavoratori e prevenire rischi legati al reintegro in attività.
Dimissioni e licenziamenti: diritti cancellati
Tra i provvedimenti più pericolosi del decreto c’è l’introduzione di una norma che prevede la risoluzione automatica del rapporto di lavoro dopo 15 giorni di assenza ingiustificata, senza che siano necessarie le dimissioni telematiche. Questa semplificazione nasconde una riduzione significativa delle tutele: non sempre un’assenza ingiustificata corrisponde a una volontà chiara del lavoratore di dimettersi.
Questa misura rischia di colpire i lavoratori più vulnerabili, quelli che potrebbero trovarsi in situazioni di difficoltà o confusione, privandoli non solo del lavoro ma anche dell’accesso agli ammortizzatori sociali.
Una visione distorta del mercato del lavoro
Il decreto lavoro del Governo Meloni si basa su un presupposto errato: che il problema principale del mercato del lavoro italiano sia la mancanza di flessibilità e che, per risolverlo, sia necessario rimuovere tutele e ostacoli alle imprese.
Questa impostazione non tiene conto della realtà del lavoro in Italia, fatta di salari bassi, precarietà diffusa e una scarsità cronica di prospettive per i giovani.
Piuttosto che investire in formazione, stabilità e innovazione, il decreto spinge verso un mercato del lavoro sempre più sbilanciato a favore delle parti datoriali, con il rischio di alimentare un circolo vizioso di precarietà, sfruttamento e diseguaglianze.
Il prezzo della “semplificazione”
Dietro la retorica della semplificazione, il decreto lavoro del Governo Meloni rappresenta un attacco sistematico ai diritti dei lavoratori. Dalla precarizzazione dei contratti all’indebolimento delle norme sulla sicurezza, passando per la riduzione delle tutele in caso di licenziamenti, questo provvedimento segna un passo indietro che rischia di avere conseguenze gravissime sul tessuto sociale ed economico del Paese.
Un’Italia che sceglie di tutelare i “padroni” a discapito dei lavoratori non è un’Italia che guarda al futuro, ma una nazione che si piega al passato, perpetuando ingiustizie e disuguaglianze.
17/12/2024 https://www.kulturjam.it/
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!