Le milizie filo-turche assediano Kobane
L’esercito turco circonda Kobane e si prepara all’invasione. Le mani di Ankara sul Rojava. Al Julani: «Il Pkk non fa parte della nuova Siria»
Da giorni intorno a Kobane, città nel nord della Siria al confine con la Turchia, l’esercito di Ankara sta procedendo ad ammassare truppe e mezzi di artiglieria in preparazione a un’invasione di terra che si teme imminente.
A rivelarlo è stato ieri il Wall Street Journal che ha avuto modo di leggere una lettera riservata inviata da Ilham Ahmed, funzionaria dell’amministrazione civile del Rojava, all’attenzione del presidente eletto statunitense Donald Trump.
Nel documento, inviato lunedì 16 dicembre, Ahmed indica che l’obiettivo della Turchia sarebbe «stabilire un controllo di fatto del nostro territorio» prima dell’insediamento di Trump alla Casa bianca, previsto per il 20 gennaio, così da obbligare la nuova amministrazione statunitense «a trattare con loro (la Turchia) in quanto governanti del nostro territorio».
«Dall’altra parte del confine già vediamo ammassarsi le forze turche e i nostri civili vivono nella paura costante di morte e distruzione imminenti» ha scritto Ahmed, concludendo che «se la Turchia procederà con l’invasione le conseguenze saranno catastrofiche».
Sono gli effetti degli sviluppi che nelle ultime settimane hanno modificato radicalmente lo status quo in Siria: dopo la caduta del regime di Assad sotto i colpi dell’offensiva dell’Hayat Tahrir al-Sham (Hts, milizia islamista già affiliata ad al-Qaeda) e la salita al potere del leader di Hts Ahmed Sharaa (al Jolani) a Damasco, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vorrebbe approfittare del vuoto di potere per colpire a sorpresa la regione del Rojava a maggioranza curdo-siriana.
Nel Rojava sono presenti le Forze democratiche siriane (Sdf), milizie curdo-siriane alleate degli Stati uniti in funzione anti-Isis, e proprio in virtù di questa alleanza Ahmed avrebbe chiesto a Trump di intercedere presso Erdogan usando il suo «unico stile diplomatico» per convincere il presidente turco a richiamare le truppe intorno a Kobane.
Un’invasione turca costringerebbe nella sola Kobane alla fuga di oltre duecentomila persone. Un funzionario statunitense ha dichiarato al Wall Street Journal che gli Usa «sono concentrati su quanto sta succedendo e stanno premendo per la moderazione».
«Le unità di difesa popolari curde devono sciogliersi o verranno sciolte»
Secondo il presidente della Turchia, l’ascesa delle bande jihadiste in Siria è una «vittoria popolare che fa onore» e il suo governo continuerà a sostenere il popolo siriano. Il primo gesto concreto è stata la visita a Damasco del capo dei servizi segreti, Ibrahim Kalin, che ha incontrato Al-Julani, leader di Tahrir al-Sham, e il premier del governo di transizione, Al-Bashir. Kalin ha poi girato per le strade di Damasco in auto, con Al-Julani alla guida.
POCHI GIORNI dopo, il Ministro degli Esteri Hakan Fidan, uno degli artefici delle strategie turche in Siria, ha annunciato i futuri piani di Ankara, mirando al Confederalismo democratico: «Le Ypg e Ypj devono sciogliersi o saranno sciolte. I membri stranieri devono lasciare il Paese, i dirigenti abbandonare la Siria, e i militanti deporre le armi per integrarsi nella nuova società siriana, sotto la gestione di Damasco in collaborazione con l’autorità internazionale».
Il nuovo governo siriano, sostenuto da Ankara, molto probabilmente sarà lo strumento principale per combattere il Rojava. Le recenti dichiarazioni di Al-Julani confermano le parole di Fidan: «I curdi faranno parte della nuova Siria, ma il Pkk è una realtà separata. Non permetteremo a nessuno di usare le armi per progetti terroristici».
In questo momento di assestamento e possibili trattative, risultano rilevanti due dichiarazioni. La prima è del Ministro della Difesa turco, Yasar Guler, che ha annunciato la disponibilità militare del suo governo: «Se Damasco lo chiede, siamo pronti a inviare soldati come sostegno». La seconda è del comandante generale delle Forze democratiche siriane, Mazlum Kobani: «Stiamo trattando con Tahrir al-Sham e la Turchia, attraverso gli alleati, per una tregua permanente».
Secondo Newroz Uysal, parlamentare del Partito dell’Uguaglianza e della democrazia dei Popoli (Dem), dopo la caduta del regime baathista in Siria, il popolo si aspetta un nuovo inizio democratico e inclusivo: «Tuttavia, nel nord e nel sud del Paese sono ancora attive bande che colpiscono i civili, protette dalle Forze Armate turche e dai droni turchi. Questo dimostra che Ankara, direttamente o indirettamente, rappresenta una minaccia per Rojava, rendendo impossibile la stabilità».
LA PARLAMENTARE ha sottolineato che, in questo momento, il ruolo di Abdullah Öcalan, leader storico del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), sarebbe di fondamentale importanza. Infatti, il cambio di regime in Siria è avvenuto pochi mesi dopo la proposta storica di Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista (Mhp) e braccio destro della coalizione di governo: «Öcalan prenda la parola nel gruppo parlamentare del partito Dem e dichiari lo scioglimento del Pkk». Si tratta di un appello molto simile a quello lanciato dal Ministro degli Esteri, Hakan Fidan, alle Unità di Difesa Popolari (Ypg e Ypj) in Rojava, Siria.
«La Turchia vuole essere un attore centrale nel futuro della Siria. Per questo sostiene le formazioni jihadiste, facendo di tutto affinché siano loro a dominare lo scenario politico siriano. Oggi, Ankara si comporta da garante del nuovo regime a livello internazionale», afferma Yuksel Genç, ex guerrigliera del Pkk e ora ricercatrice in Turchia. Secondo Genç, la Turchia sfrutta la sua influenza in Siria per affermarsi come potenza imperialista nel Medio Oriente.
«Inoltre, portando avanti la sua lotta contro i curdi guidati dal Pkk in Siria, Ankara cerca di distruggere i risultati ottenuti dai curdi, mantenendo la questione curda come un problema gestibile e trasformandola in un conflitto permanente. Possiamo affermare che la Turchia non ha un approccio pacifico o democratico alla questione curda, in Siria e oltre». Infine, Genç sottolinea: «Le potenze occidentali stanno ridisegnando la Siria come una zona per bande jihadiste, senza rendersi conto che alawiti, drusi, ezidi e curdi sono minacciati da queste formazioni e dai loro sostenitori».
A DAMASCO è stata riaperta l’Ambasciata turca dopo dodici anni di blackout diplomatico, segnando una nuova fase in cui Ankara sembra destinata a giocare un ruolo chiave in Siria. Tra i suoi piani con Damasco vi è certamente il tentativo di distruggere l’esperienza del Confederalismo democratico, realtà definita «terroristica» da Ankara, come emerso dalle parole di Hakan Fidan in un’intervista al canale saudita Al Hades: «Abbiamo fatto presente al nuovo governo siriano che, nel futuro della Siria, ci aspettiamo una posizione netta contro le organizzazioni terroristiche»
Ester Nemo, Murat Cinar
18/12/2024 https://ilmanifesto.it
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