Sinistra ieri, oggi?
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“Di’ qualcosa di sinistra”
di Sergio Dalmasso storico del movimento operaio
L’anomalia italiana
L’Italia è stato il paese che ha espresso la più corposa e duratura sinistra, esterna ai grandi partiti storici (PCI, PSI).
Abbiamo a lungo discusso sul “lungo ’68 italiano”, sul permanere di una stagione di movimento che non si è limitata ad una fiammata, all’intreccio fra lotte studentesche contro una scuola ed una cultura autoritarie e dogmatiche, operaie contro la fabbrica fordista, internazionalista contro imperialismo, colonialismo (e anche socialismo reale), generazionale.
Abbiamo, in anni lontani, discusso sul “filo rosso”. La nascita della nuova sinistra, la sua dimensione di massa (il numero di giovani passati per le sue formazioni è enorme e costituisce almeno un dato psicologico e sociologico) era frutto di una spinta nata negli anni ’60 o aveva profonde radici nella nostra storia? E queste dovevano essere recise o andavano dialettizzate?
In effetti, l’Italia ha visto il più grande partito comunista del mondo occidentale, un partito socialista (almeno sino all’avvento di Craxi) originale nel panorama europeo, un sindacato (la CGIL, ma, in alcune fasi e settori, la CISL, per non citare le ACLI) avanzato e capace di grandi conquiste.
Soprattutto è stata percorsa da una spinta sociale che, dal giugno/luglio 1960 agli anni ’70, ha prodotto trasformazioni sociali, politiche e di costume, ha modificato usi e modi di pensare, si è tradotta nello Statuto dei lavoratori, nella legge Basaglia, in quella sulla sanità, nella conquista delle 150 ore (lavoro/ studio), nella crescita del diritto allo studio (anche l’operaio vuole il figlio dottore), nella epocale espressione del movimento delle donne, nelle grandi mobilitazioni per la pace, per i diritti civili.
E’ drammatica la caduta di questa tensione e di queste speranze. Sono drammatici il governo di estrema destra, il vento reazionario che spira dall’Europa intera, l’affermarsi di un populismo che tutto equipara e cancella oggni distinzione sociale e culturale fra le culture politiche.
La accettazione di scandali continui (Sgarbi, Delmastro, Santanché, Sangiuliano…), la nulla attenzione davanti ad affermazioni di gravità enorme, il voto dato a personaggi o coalizioni, dopo scandali gravissimi (da Berlusconi a Scajola che possedeva un alloggio vip a Roma, ma non sapeva chi glielo avesse regalato, alla destra lombarda che vince dopo la condanna di Formigoni e l’evidente fallimento del miglior sistema sanitario del mondo o della destra ligure, dopo gli scambi di favori tra politici, finanzieri, armatori…) dimostrano il distacco crescente della popolazione, il fallimento della politica, in altri tempi, invece, considerata strumento di cambiamento, tale da entrare anche nella vita personale.
Senza nostalgie e rimpianti da “reduci”, la domanda sul perchè di questa sconfitta (la mia generazione ha perso) è doverosa.
Una lunga storia
La sinistra estrema (rivoluzionaria) ha lung storia.
Già dagli anni ’20 e ’30 esistono correnti bordighiste e trotskiste, critiche verso lo stalinismo, la struttura sociale dell’URSS, in forma diversa, verso le scelte dei partiti maggiori. Ricordo l’opposizione di figure come Alfonso Leonetti e Pietro Tresso alla assurda teoria del socialfascismo, il non appiattimento sulla politica dei fronti popolari, la critica (propria anche di socialisti di sinistra e di azionisti alla svolta di Salerno.
L’opposizione di massa al governo Tambroni, nel 1960, mette in luce non solamente una forte tensione antifascista, ma anche la presenza di una protesta sociale che nasce dalle fabbriche e dalla giovani generazioni. E’ la crescita di un nuovo proletariato di fabbrica, indotto dalle profonde trasformazioni srutturali, a determinare l’analisi dei Quaderni rossi che hanno il loro centro in Torino, “città fabbrica” e dell’operaismo le cui teorie vengono considerate elemento originale del marxismo italiano.
Gli anni successivi vedono l’intrecciarsi di posizioni diverse e spesso conflittuali, da una breve crescita della presenza trotskista fra il 1965 e il 1968 (seguirà un crollo) con il lavoro della casa editrice Samonà e Savelli, la breve stagione della rivista “La Sinistra”(1) , una presenza “sotterranea” nela FGCI, la traduzione di molti testi del vecchio Trotskij, al maoismo, letto in vesti diverse, da quella libertaria (bombardiamo il quartier generale) al neo- stalinismo a quella di chi vi legge un aggiornamento del marxismo, in contrapposizione a quello sovietico, ossificato.
Il movimento studentesco si muove in un intreccio di spinte differenziate dall’antiautoritarismo alla volonta di libertà individuale, dal bisogno di organizzazione (Gaber canta: Allora è arrivato il momento di organizzarsi) alla nascita di formazioni politiche che raggiungono una dimensione e un livello di militanza non indiferenti.
Lotta Continua sintetizza, in positivo ed in negativo, l’anima del ’68: spontaneismo, egualitarismo, lettura semplificata della resistenza, centralità prima della fabbrica, poi delle realtà sociali (Prendiamoci la città), comprensione dei movmenti giovanili, certezza di uno sboco rivoluzionario a breve termine.
Più complessa la realtà di Avanguardia operaia, nata da matrici trotskiste, poi più vicina ad una lettura non mitizzata della rivoluzione culturale cinese. La progressiva costruzione avviene in gran parte attraverso la struttura dei CUB che divengono realtà significativa non solamente a Milano e la proposta, prima di aggregazione dell'”area leninista”, poi della “sinistra rivoluzionaria”.
La spallata del ’68 (studenti, fabbriche, Vietnam, America latina, maggio francese, primavera di Praga…) investe anche il PCI con il caso del manifesto che propone una revisione netta su scelte a livello nazionale, collocazione internazionale, democrazia interna.
La nuova sinistra ha peso non piccolo nelle mobilitazioni operaie, studentesche e sociali della prima metà degli anni ’70.
La sconfitta del 1976 modifica la situazione. La certezza del crollo della DC e della formazione di un governo di sinistra si infrange sui risultati elettorali. Nasce il “governo di larghe intese”, monocolore DC (Andreotti), con astensione del PCI. L’idea di cambiamento termina con l’apparente omologazione del PCI davanti ai governi Andreotti. La nuova sinistra che aveva sopravvalutato le proprie forze, deve fare i conti con la realtà e si frantuma, dalla scissione PdUP/DP allo scioglimento di Lotta Continua, all’abbandono della militanza, a scelte individuali, spesso distruttive.
La sconfitta operaia alla FIAT, nel 1980 (non è questa la sede per evidenziare responsabilità politiche e sindacali) segna, anche simbolicamente, la fine di una stagione, legandosi alla sfortunata, eroica lotta dei minatori inglesi e allo scacco dei metalmenccanici a livello europeo (Francia…).
Dagli anni ’80 al maggioritario e al Cavaliere
Nell’immaginario comune, gli anni ’80 sono quelli dell’edonismo, del reaganismo, del liberismo sfrenato della signora Teatcher, della crisi delle ideologie (tranne quella liberista), del crollo definitivo del “socialismo reale”, in Italia dell’effimero trionfo del craxismo che segna un profondo cambiamento non solamente del PSI, ma della politica, sempre più verticalizzata e personalizzata.
La cosiddetta fine della prima repubblica è segnata da alcuni fatti:
la fine della discriminante antifascista, strumento per permettere un passaggio di fase, per mettere in luce, non solamente nei fatti, cardini della Carta costituzionale, per sdoganare la destra politica. lo sciagurato passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario, con la conseguente trasformazione dei partiti di massa in comitati elettorali, e la scomparsa di quella presenza sul territorio che era stata caratteristica dell’anomalia italiana , il crollo dell’URSS e del blocco dell’est Europa con l’ovvia costatazione che ogni cambiamento è impossibile (la fine della storia) l’equiparazione di destra e sinistra, cancellando secoli di storia e di pensiero, favorita anche dagli scandali che contribuiscono all’implosione del sistema di partiti che aveva retto per 45 anni.
Il fenomeno del berlusconismo nasce da vecchi mali del nostro paese (l’autobiografia della nazione), ma è frutto di questo contesto di liberismo sfrenato, avversione al pubblico (privatizzare è bello), fine del partito territoriale e centrato sul lavoro. L’aggressione alle realtà operaie non ha limiti. La deidustrializzazione che desertifica le aree operaie si accompagna alla delocalizzazione e alla precarizzazione del lavoro, con ovvie ricadute sui diritti sindacali, sulla salute, sul numero di incidenti, anche mortali.
La trasformazione genetica del PSI, operata da Craxi e lo scioglimento del PCI privano la sinistra italiana della sua anomalia e della sua specificità.
Si aggiunge a questo la progressiva omologazione dei sindacati.
Ne sono esempi lampanti gli accordi del luglio 1992 e del luglio 1993 in cui viene soppressa la scala mobile con un accordo triangolare (governo, sindacato, padronato), nonostante una forte opposizione di base (i bulloni).
Davanti all’affermazione del “partito azienda” di Berlusconi, con inedito intreccio di potere economico, politico e mediatico, il centro sinistra risponde senza affrontare i nodi reali, essendo strumento dei grandi poteri interni e internazionali. La continua manomissione della Costituzione, dal finanziamento alle scuole private, base per tutte le privatizzazioni, alla sciagurata riforma del Titolo V (2001), prima tappa per il regionalismo differenziato, sino alla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio (governo Monti) significano un attacco continuo ad una carta mai attuata.
L’ascesa di Berlusconi e gli stessi governi tecnici (Monti, Draghi) significano la totale subordinazione della politica ai poteri economici., davanti alla totale dissoluzione dei partiti che rapprresentavano, invece, culture politiche, legami con la storia, in molti casi, radicamento sociale e ora vengono trasformati in strutture personali, aziendali.
Ne sono esempio la cancellazione della storia socialista (Nenni, Lombardi, Basso, Codignola…) nel craxismo, l’abiura di tutta la storia del PCI, la totale soppressione del concetto di conflitto di classe da parte della gestione di Veltroni (ricordo il discorso costitutivo, al Lingotto di Torino).
Ancora più distruttiva è stata la stagione renziana, nata sulla demagogia della rottamazione e continuata con l’attacco frontale a sindacati (silenti) e diritti acquisiti, con la cancellazione di parti dello Statuto dei lavoratori, con la buona scuola, con la ulteriore flessibilizzazione del lavoro (jobs act), con l’ulteriore personalizzazione di partito e cosa pubblica.
Dalle guerre all’ascesa dell’estrema destra
Ancor più grave è stata la deriva sui temi del rapporto guerra/pace e della relazione nord/sud del mondo, da sempre cardini di una idea di trasformazione.
Lo scioglimento del PCI avviene su due certezze, espresse da Occchetto:
° in Italia si creerà un bipolarismo fra una sinistra democratica e una destra democratica
° nel mondo, il crollo dell’URSS porterà ad una stagione di pace in cui le risorse potranno essere utilizzate per le questioni sociali ed ecologiche.
Ognun* può verificare i danni portati da queste ipotesi, come dalla sciagurata volontà di arrivare ad un sistema bipolare.
Le due guerre del golfo hanno visto nascere la retorica della guerra democratica e umanitaria e, con il pretesto di abbattere un tiranno (finanziato sino al giorno prima), hanno creato il terrorismo islamico.
La guerra contro la Serbia (1999), condotta dalla NATO e, in Italia, dal governo D’Alema (vice presidente Sergio Mattarella), ha distrutto un paese e prodotto un numero di profughi ben maggiore di quelli che diceva di voler difendere, con il solo intento di eliminare l’unica realtà dell’area non schierata con il campo atlantico.
Anche la guerra di Libia è servita semplicemente a trasformare il paese più avanzato della regione in terreno di contesa fra potenze e signori della guerra.
Si aggiunga a questo il fallimento in Afghanistan, dopo anni di guerra (e di bilanci militari votati by partisan dal nostro parlamento), indecorosamente lasciato al fondamentalismo dei talebani (anch’essi per anni armati in funzione antisovietica).
L’Europa vede la prima guerra combattuta sul suo territorio, dopo il 1945, con il sogno del nazionalismo russo di ritrovare i vecchi confini e davanti alla continua espansione della NATO ad est. La Germania riarma con socialdemocratici e verdi al governo (la crescita nazista è un caso?), la NATO si allarga a paesi tradizionalmente neutri come Finlandia e Svezia, le spese militari crescono esponenzialmente a scapito di quelle sociali.
Il movimento pacifista, dopo una grande stagione, è in forte difficoltà.
L’emergenza climatica è, ormai, visibile catastrofe.
Insomma, siamo ben lontani dall’utopia occhettiana, dalle terze vie liberiste (Blair), dalla predica sull’uso progressivo e positivo della globalizzazione.
Torniamo, invece, all’uso della guerra, alla teorizazione di possibile impiego dell’atomica (“limitata”, “tattica”), al probabile ricorso a colpi di stato, soprattutto in America latina, al moltiplicarsi di nazionalismi, spesso venati da fondamentalismo religioso (Make America great, la Turchia di Erdogan, la Russia putiniana, figure come Bolsonaro e Millei…). Accanto all’imperialismo maggiore, egemone militarmente, nascono spinte centrifughe che presentano aspetti contraddittori.
Gli stessi BRICS, se hanno il merito di offrire un’alternativa geopolitica ed economica agli USA, non offrono alternativa alcuna dal punto di vista di classe.
Sinistra alternativa….di classe
La nuova sinistra italiana ha svolto un ruolo significativo, ma è crollata sui propri limiti e le proprie contraddizioni: sopravvalutazione della propria forza e presenza (Massimo Bontempelli parla di narcisimo dei leader), convinzione di una svolta radicale in tempi brevi (borghesi, pochi mesi), mitizzazione sulla coscienza rivoluzionaria del proletariato (evito qui discussioni sul Che fare?), lettura schematica della resistenza e di tutta la storia del movimento operaio(2), incapacità di reggere ai primi scacchi (perdita di peso della classe operaia fordista, sconfitta elettorale), sino alla incapacità di coniugare le grandi contraddizioni indotte dal movimento ecologista e da quello delle donne.
Se è meritoria la tenuta di Democrazia Proletaria che, quasi sola, ha retto per tutti i difficili anni ’80, è da ricordare come si sia frammentata, alla fine del decennio, davanti all’emergere dell’ipotesi verde, o alla costruzione di una più ampia forza neocomunista.
Rifondazione comunista ha costituito, a partire dal 1991, un elemento di controtendenza davanti alla crisi del comunismo storico, alla messa in discussione del marxismo, all’abbandono di una qualunque lettura di classe, al totale appiattimento sull’atlantismo, alla accettazione dell’alternanza nel bipolarismo, alla riduzione della politica a gioco elettorale.
La confluenza in essa di varie anime e storie politiche ha fatto esplodere contraddizioni che si sono periodicamente riprodotte sul rapporto continuità (rispetto alla tradizione del PCI)/innovazione, e soprattutto, davanti alla possibilità o meno di autonomia dai due poli maggiori.
In sintesi: la presenza di una destra (nei primi anni Berlusconi e la Lega, oggi anche Meloni) impone una alleanza difensiva, il tentativo di condizionamento (rivelatosi sempre impossibile) del centro sinistra, oppure le politiche moderate (lavoro, guerra, ambiente, privatizazioni, taglio dei servizi sociali) del centro sinistra spostano verso destra elettorato popolare?
Su questi nodi, Rifondazione ha vissuto due grandi stagioni:
- i primi anni, di crescita organizzativa e di consenso e con forte attenzione anche a livello internazionale. E’ parso possibile legarsi alla tradizione comunista (posso dire anche socialista?) italiana, rinnovarla coniugarla con internazionalismo, ecologismo, contraddizione nord/sud, radicalismo cristiano, pensiero di genere, mantenendo un forte ancoraggio di classe.
- ad inizio secolo, la forte presenza nel movimento altermondialista, con forte protagonismo di nuovi settori, di nuovi protagonisti.
In ambedue i casi, il bipolarismo coatto (oltre ad errori soggettivi) ha impedito la crescita di queste ipotesi, dalle discussioni sul governo Dini (1995), alla pesante scissione cossuttiana (1998), da tentativi di autonomia a desistenze, accordi, rotture. Nel primo decennio di questo secolo, la possibilità di costruire una reale forza alternativa, sull’onda dell’altermondialismo e del tentativo di collegarlo a spinte di classe, si è infranto davanti alla collaborazione governativa in cui Rifondazione non è riuscita a produrre modificazioni significative su lavoro, scuola, migrazione, politica estera, interventi militari.
Da qui, il tracollo del 2008, l’esclusione da ogni forma di rappresentanza, il progressivo calo organizzativo e di influenza, sino alle contraddizioni attuali.
Da qui, la crescita esponenziale del Movimento 5 stelle, in un intreccio di protesta anti casta, populismo, ecologismo, capacità (per breve tempo) di colmare un vuoto (ricordiamo, dal nulla, il 25% alle politiche del 2013 e il 33% a quelle del 2018, con conseguente ruolo in tre governi molto diversi.
Da qui, l’incapacità della sinistra di essere alternativa credibile:
- al governo Monti (2011/2013) che andava dal PD a Berlusconi e Meloni e che ha attuato le direttive del grande capitale e della finanza: riforma del regime pensionistico, tagli sul sociale, pareggio di bilancio costituzionalizzato
- al governo Draghi, confindustrial- bancario (tutt* tranne Meloni), totalmente liberista e atlantista (la caduta di Conte deriva da qualche libertà in politica internazionale?).
La vittoria di Meloni nel settembre 2022 nasce anche da questo vuoto, da governi “ammucchiata” in cui le residue differenze sono scomparse, dalla assenza per i ceti popolari, di un qualunque riferimento (tranne forse il reddito di cittadinanza su cui Conte ha puntato).
Questa vittoria si inquadra in un contesto internazionale, in cui si sommano populismi di destra, neofascismi, visioni autoritarie, riproposizione di vecchie certezze (si pensi al fenomeno Vannacci): culto della tradizione – paura del diverso – leaderismo – attribuzione all’esterno di ogni colpa – linguaggio semplificato e ripetitivo – rifiuto di idee moderne (si pensi al negazionismo climatico) – appello a classi sociali frustrate e timorose di perdere il proprio ruolo, creazione e culto del (della) leader.
Questo percorre il governo italiano, i neonazisti tedeschi, il lepenismo (e peggio) in Francia, Vox e la destra portoghese, pur dopo decenni di regimi reazionari, i paesi el nord Europa che sembravano “vaccinati” da questo morbo. Investe anche la destra “moderata” e il centro (gaullisti, conservatori inglesi…). Pervade l’est Europa, dopo il fallimento del “socialismo reale” con regimi nazionalisti, antisemiti e la rivaluzione dei collaborazionisti durante la seconda guerra mondiale (Bandera in Ucraina).
Permane l’assenza di una sinistra sociale e centrata sul lavoro. Anni di tentativi, di cambiamenti di nome e simbolo, di polemiche interne, di sconfitte la hanno ridotta ad elemento residuale, stretta fra l’omologazione al “campo (più o meno) largo” e l’inefficacia e la totale scomparsa dal radar politico.
Credo tocchi ad altre generazioni riprovarci, magari con nuovi paradigmi.
Chi ci ha provato in questi lunghi decenni non abbandoni, però, la fiaccola.
1- Vedi la mia breve panoramica sulla rivista per un testo edito da Punto rosso nel 2021.
2- Cito sempre il più che discutibile Proletari senza rivoluzione di Renzo DEL CARRIA
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