Sugo macho

Credits Unsplash/Glib Albovsky

Pornografia del cibo e stereotipi di genere vanno di pari passo con la presenza sempre più massiccia degli chef influencer sulle piattaforme online, protagonisti di uno spazio storicamente assegnato alle donne, i fornelli, che oggi prestano il fianco a una cultura ipersessualizzata e sessista amplificata dai riflettori digitali

L’approccio pornografico e genderdizzato di molti canali YouTube culinari passa attraverso quattro mosse: gigantografie dei particolari, sculacciate ai cibi, colata forzata di liquidi e il paragone tra alimenti e parti di corpi femminili. In ballo non c’è solo la pornografia del cibo, ma anche la dimensione digitale della violenza maschile sulle donne. Cerchiamo di capire perché.

Il concetto di pornografia del cibo nasce negli anni ’70, inizialmente nell’ambito accademico per poi essere adattato alla cultura popolare, ai media e al linguaggio quotidiano. 

Come sottolineano Stinne Gunder Strøm Krogager e Jonatan Leer “la letteratura accademica non è giunta a una definizione univoca su cosa si intenda per pornografia del cibo, ma raccoglie una serie di dimensioni, di lenti di analisi e definizioni”. Una parte rilevante degli studi ha identificato la pornografia del cibo come “un modo per mantenere le disuguaglianze di genere e la dominanza maschile attraverso pratiche quotidiane e la comunicazione”. 

In un’analisi sul food porn attraverso una lente post femminista, Tisha Dejmanee riprende una lunga tradizione di studi che associa il cibo al corpo femminile. Particolarmente significativo il riferimento al contributo della studiosa Carol Adams nel libro La Pornografia della carne, in cui l’autrice suggerisce che “il legame tra cibo e il corpo femminile, nonché la relazione di potere oggetto/soggetto che si genera mangiando e la sessualizzazione, sono elementi fondamentali per situare la pornografa del cibo all’interno di una storia di oggettificazione sessuale dei corpi femminili”. 

La pornografia del cibo è quindi un ambito potenzialmente legato a doppio filo non solo con l’oggettificazione femminile, ma anche con la replicazione di stereotipi di genere. A questo proposito, Deborah Lupton and Zeena Feldman prendono in esame proprio la piattaforma YouTube, notando che “i video culinari diffusi sulla piattaforma riproducono stereotipi sessualizzati di iperfemminilità e ipermascolinità”.

Adottando questa prospettiva e facendo “un giro” tra alcuni canali YouTube italiani, è possibile rilevare alcuni elementi degli studi citati: la dominanza maschile, l’animalizzazione delle donne sessualizzate di cui parla Carol Adams, l’applicazione dell’estetica della pornografia ai piatti e la perpetuazione di stereotipi di genere. Attraverso una metodologia qualitativa, analizziamo di seguito alcuni contenuti che hanno per protagonisti noti chef italiani diventati influencer. 

Max Mariola, più di 800.000 followers, ospite al canale radio La zanzara tempo fa dichiarava che il lavoro nelle cucine professionali è duro e per questo le donne hanno difficoltà. Nella conversazione faceva un esempio di alcune scelte per narrare le ricette catturando l’attenzione degli ascoltatori: “…la pasta deve essere calda. Lo sai che vuole? Lo vuole, vuole che glielo metti… (pausa di sospensione) …l’uovo con il pecorino!”. Nei suoi video ripete spesso che il pezzo di carne che ha tra le mani deve essere trattato come una donna. Teatralmente l’annusa, la palpa, la sculaccia. 

In un contenuto intitolato Come sedurre una donna? invita lo spettatore a preparare la colazione mentre la propria signorina è ancora a letto dopo una “nottata fantastica”, “perché se l’è meritato” – suggerendo, secondo l’interpretazione di questo articolo, che quella che dovrebbe essere un’azione di quotidiana amministrazione domestica da parte di un uomo (preparare un pasto) avvenga in virtù e a fronte di una prestazione sessuale femminile. Se no, mica se lo meritava? Non sazio, con voce melliflua e sguardo ammiccante in camera consiglia di “sbatterla forte, la ricotta”. 

Federico Fusca, 160.000 follower, prepara la pasta alla genovese e davanti a una serie di cipolle rosse, bianche e bionde, dice di preferire le bionde “perché le bionde so’ le bionde”. Ne suoi video, la parola “godere” ha un posto privilegiato, urlata con inflessione toscana: “Adesso tu godi!”, “con questa si gode pe’ davvero!”. 

In un altro video, ricorda di levare il pelo ai carciofi perché, “ragazzi non mi fate fa’ battute, il pelo non è bono da nessuna parte”. Un elemento ricorrente in suoi diversi video.

In una collaborazione internazionale tra i canali @cucinaconruben e @itsqcp, i due cuochi scherzano tra le case popolari di Roma: “What do you want for lunch?“, “Cazzo e pere” risponde il secondo, aggiungendo: “The Italian olive oli tastes better than P.!” (Pussy è il vernacolare inglese di vulva) e inscenando uno sbaglio linguistico: “Now… pecorina romana“. Risate sornione e oltre 90.000 like. 

L’atto finale di queste preparazioni prevede spesso lo schiacciamento della bistecca o del panino di turno, per documentare l’eiaculazione di succhi e sughi. Colate rigorosamente riprese con inquadrature di primo piano.

Ma cosa hanno ha che fare gli stereotipi di genere con la violenza di genere? E la violenza di genere con la comunicazione online? Ce lo spiega la prima raccomandazione sulla dimensione digitale della violenza di genere del Grevio, organo sovranazionale che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul negli Stati firmatari e ratificanti: gli stereotipi di genere contribuiscono a generare violenza di genere perché imbrigliano uomini e donne in ruoli polarizzati, ipersessualizzati e gerarchici, finendo per renderla accettabile. Inoltre la violenza online, deve essere interpretata senza titubanze come una ramificazione di quella offline, perché gemma dal medesimo contesto di ineguaglianza e discriminazione verso le donne.

A proposito della responsabilità del mondo della cultura, in Guardiamola in faccia. I mille volti della violenza di genere Stefano Ciccone evidenzia che “la violenza maschile contro le donne non è una forma di devianza, ma la riproduzione esacerbata di modelli relazionali e comportamentali diffusi e condivisi e ha a che fare profondamente con i meccanismi di strutturazione della sessualità e delle relazioni di genere. […] Questa consapevolezza apre un terreno di impegno e ricerca culturale e dunque, anche, una responsabilità del mondo della cultura, della ricerca e della formazione”. 

Quando si parla di dimensione culturale della violenza maschile sulle donne ci si riferisce anche a questi contenuti, materiali “leggeri” e “innocui” che veicolano una visione delle donne stereotipata e un approccio dominante e gerarchico verso il femminile. Narrazioni che inducono gli spettatori e le spettatrici a normalizzare racconti in cui le pietanze sono paragonate a donne, oggetti da afferrare, sculacciare e consumare, discorsi che iper-sessualizzano situazioni quotidiane, in cui il soggetto attivo è l’uomo e il soggetto passivo la donna-cibo. 

Non solo, la violenza normativa si annida nelle frasi che ricordano al pubblico i ruoli di genere e l’estetica che le donne devono avere: roba fresca, soda, senza peli. Migliaia di follower (se non milioni, addizionando quelli dei vari canali) vengono esposti a linguaggi che promuovono lo stereotipo dell’uomo-dominatore e della donna-preda. 

Vale la pena ricordare che il mondo culinario online si sta significatamene aprendo al protagonismo maschile: nel panorama internazionale 8 sui 10 canali culinari più visti e frequentati di YouTube sono gestiti da uomini e solo due da donne.

Finisce così, che l’ingresso di tanti uomini sulle piattaforme online in uno spazio culturalmente e storicamente assegnato alle donne, i fornelli di casa, non si traduce automaticamente in un processo di abbattimento degli stereotipi, ma al contrario, in un possibile ampliamento di una cultura sessista e iper-sessualizzante che guadagna nuovi spazi di colonizzazione. Della serie, la matrice patriarcale non cambia, aumenta la sua capacità d’infiltrazione e contribuisce quotidianamente a ingrassare la base culturale da cui trae forza e validazione la violenza di genere. 

Riferimenti

Ciccone, S. TRASFORMARE UNA CULTURA CONDIVISA PER CONTRASTARE LA VIOLENZA E LIBERARE LE RELAZIONI. Guardiamola in faccia I mille volti della violenza di genere.

Dejmanee, T. (2016). “Food porn” as postfeminist play: digital femininity and the female body on food blogs. Television & New Media, 17(5), 429-448.

GREVIO, General Recommendation No. 1 on the digital dimension of violence against women, 2021.

Lupton, D. (2020). Carnivalesque food videos: excess, gender and affect on YouTube. In Digital food cultures (pp. 35-49). Routledge.

Taylor, N., & Keating, M. (2018). Contemporary food imagery: food porn and other visual trends. Communication Research and Practice, 4(3), 307-323.

Gaia Giongo

23/12/2024 http://www.ingenere.it

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