Negazione del genocidio a Gaza: l’archiviazione come resistenza

Eleftheria Kousta


“Queste persone (a Gaza) si meritano di morire. Una morte orribile, agonizzante… Non ci sono persone innocenti lì”. Yehuda Shlezinger, giornalista israeliano, 19 aprile 2024.

I membri di Law for Palestine discutono i dati sulle dichiarazioni di negazione del genocidio a Gaza di importanti figure israeliane e di come possano essere usate per aiutare a difendere i diritti umani.

Dopo la guerra e il genocidio nel sud-est della Bosnia del 1993, due forze molto importanti hanno plasmato la società che emerse. La prima fu la negazione dei criminali di guerra e gli attori che parteciparono al genocidio, che hanno diffamato e screditato le vittime per eludere le proprie responsabilità. La seconda fu la difficile battaglia dei sopravvissuti non solo per affrontare le conseguenze dei crimini subiti, ma anche per assicurarsi che la verità non fosse sepolta per preservare la memoria degli eventi per come sono avvenuti.

Mentre gli investigatori e altri esperti arrivarono in Bosnia per raccogliere le prove per il Tribunale della Iugoslavia alla Corte Internazionale di Giustizia e alla Corte Penale Internazionale, sono stati gli attivisti (a livello comunitario) e i sopravvissuti al genocidio, come le Madri di Srebrenica, che ebbero l’impatto maggiore. I loro sforzi assicurarono che le prove non solo fossero raccolte e presentate alle corti, ma anche preservate per le generazioni future. La considerarono infatti una protezione contro le persone che ancora oggi condividono disinformazione e negano il genocidio e i crimini di guerra che avvennero.

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Ciononostante, la disinformazione continua ogni volta che sono commessi crimini contro i civili. In Siria, Ucraina e altri luoghi, per necessità si sono formati molti movimenti nati dal basso per preservare e raccogliere prove di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ora, a Gaza, più di un anno dopo l’invasione israeliana, i palestinesi sono nella stessa posizione, forzati ad affrontare l’enorme compito di rendere conto dei loro morti e del modo in cui sono stati uccisi, nonché assicurarsi che le prove conducano ai responsabili, senza contare l’importanza di correggere il resoconto dei fatti nonostante i tentativi orchestrati per screditare quanto accaduto.

Una delle forze più importanti dietro questo impegno è il movimento nato dal basso,  organizzazione per i diritti umani Law for Palestine, che è composta da volontari esperti, studiosi e ricercatori. Ho parlato a due membri di essa, il difensore legale Kathryn Ravey e la ricercatrice Palestinese Layla (nomi di fantasia), per comprendere meglio riguardo al lavoro di archiviazione delle prove dell’intento di genocidio a Gaza. Dai primi giorni di ottobre dello scorso anno, la squadra di Law for Palestine ha continuato a lavorare senza sosta per creare un database contenente le prove di incitamento al genocidio da parte delle figure portanti israeliane. Ad oggi, hanno inserito più di 500 casi, ma la lista viene continuamente aggiornata. Abbiamo parlato del motivo per cui lo fanno, le difficoltà che affrontano e le lezioni che hanno imparato nel corso di questo lavoro.

Mi può parlare di Law for Palestine e del lavoro che fate?

Kathryn: siamo un network globale di professionisti legali. Rispondiamo a domande di natura legale, organizziamo formazioni legali e conduciamo patrocinio legale per i palestinesi, incluso inviare comunicazioni alle entità appartenenti alle Nazioni Unite. Lavoriamo come movimento comunitario e stiamo costruendo un network in tutto il mondo.

Layla: abbiamo iniziato a lavorare al database l’8 ottobre dello scorso anno. L’obiettivo del database è di mostrare l’intento (della violenza di Israele) in contrasto con le azioni reali. Abbiamo raccolto ogni tipo di testimonianza o materiali che potesse contenere incitamento o intento di nuocere e di genocidio nei media israeliani, nella scena politica e nella società. Lo scopo è inserirlo in un unico posto dove può essere usato non solo come prova, ma anche essere usato in futuro da chiunque voglia fare una ricerca riguardo gli atti di violenza commessi dallo stato di Israele.

A quali risultati e conclusioni siete arrivati tramite questa ricerca?

Kathryn: la caratterizzazione di genocidio è molto difficile da provare in abito di diritto internazionale. Si tratta di un caso che nessuno vuole portare ad una corte internazionale perché c’è una soglia molto alta di prove da raggiungere.

Ciò che lo rende difficile è che, in aggiunta al dover mostrare gli atti di genocidio che sono avvenuti, devi anche mostrare che questo atto è stato portato avanti con l’intenzione di distruggere una popolazione nella sua interezza o una parte di essa. Abbiamo visto che le azioni che Israele ha commesso nel corso dello scorso anno hanno costituito genocidio, attraverso la fame, lo spostamento forzato, gli omicidi, il concentrarsi di infrastrutture civili, tortura, deumanizzazione e incarceramento. Inoltre abbiamo cercato di provare che questi continui atti siano intrinsecamente collegati all’intento.

Abbiamo visto da 7 ottobre ad oggi, dichiarazioni da parte di figure ufficiali, ma anche da parte di figure appartenenti alla popolazione civile israeliana che chiedevano la distruzione delle persone palestinesi, ciò include la richiesta di fermare gli aiuti umanitari, sterminio e lo spostamento forzato. Questo discorso ha importanti implicazioni per il diritto internazionale e, con il caso di genocidio che il Sud Africa ha portato al ICJ (Corte Internazionale di Giustizia), questo database è uno strumento indispensabile che mostra tutte le volte in cui queste richieste si sono materializzate in azioni e politiche più ampie da parte di Israele.

Perché scegliere l’archiviazione come forma di attivismo? E perché è importante allargare il movimento palestinese?

Layla: archiviare è importante non solo per la parte legale, ma anche per motivi di ricerca. Come palestinese, io non ho visto farlo in modo ampio, ma archiviare è fondamentale perché gli eventi che sono successi siano ricordati, per ricordarsi della responsabilità delle persone che vi hanno partecipato, e perché le generazioni future abbiamo l’opportunità di imparare i punti chiave degli schemi che portano a questi eventi. I nostri archivi devono essere accessibili alle persone, perché non solo queste informazioni possono diventare sempre più difficili da trovare, ma queste azioni seguono uno schema e non sono solo casi isolati.

Kathryn: viviamo in un periodo in cui l’attivismo digitale è una cosa nuova. Molti dei genocidi del passato sono stati riportati solo attraverso testi, video e foto che sono solitamente fatti dopo un certo tempo dalla fine di questi eventi.

Questa è la prima volta che un genocidio avviene “in diretta”, messaggiando (di esso) e mettendolo su TikTok e Instagram. Stiamo assistendo al genocidio in un modo nuovo. Abbiamo cercato di lavorare con varie forme di media e provato a catturare tutte le prove, specialmente nell’era digitale dove le cose posso essere cancellate o rimosse velocemente.

Un grande problema è stato catturare e condividere queste informazioni elusive. Abbiamo lavorato molto per dare un collegamento permanente a tutto, ma molte volte non è stato possibile o molto difficile mantenere un video che è stato rimosso. Si tratta di una nuova forma di attivismo che cerca di assicurarsi che le persone siano ritenute responsabili per le cose che possono facilmente sparire online.

Cosa diresti che è unico riguardo la prospettiva di un movimento nato dal basso che pratica archiviare e cercare di preservare tutte le prove in un modo non istituzionale?

Kathryn: questa pratica è iniziata per necessità. Non è mai stato fatto prima da Law for Palestine, ma dopo il 7 ottobre, tutti noi nei circoli della società civile, con i colleghi palestinesi con cui parliamo, abbiamo deciso che era una cosa importante da fare.

Un anno fa, dopo il 7 ottobre, c’era solo caos. C’erano tante cose a cui rispondere e persone e risorse sono state coinvolte. Molto di questo lavoro è avvenuto perché non c’era nessuno che lo stava facendo e abbiamo ricoperto un ruolo che aveva bisogno di qualcuno.

Col passare del tempo abbiamo capito e sperimentato come mantenere e presentare il database, trovare modi sicuri per fare ricerca, mettere al sicuro le prove digitali, come gestire l’appartenenza, prevenire la fuga delle informazioni o che queste venissero collegate ad una persona, e proteggere i nostri ricercatori dall’essere doxxati (si parla di doxing quando le informazioni personali di qualcuno online vengono rivelate senza il loro consenso) o tracciati. Abbiamo anche trovato modi di preservare le prove che potrebbero non arrivare alla soglia legale per il genocidio, ma sono comunque importanti e da considerare. Questo enorme processo di apprendimento per capire cosa fosse utile e avesse impatto in quanto movimento esclusivamente nato dal basso è durato per tutto il percorso.

Layla: è importante menzionare che tutto nel database è pubblica informazione. I palestinesi che vivono in Israele e i Palestinesi che vivono in Cisgiordania e Gaza sono esposti a queste dichiarazioni dai media israeliani, da attivisti sionisti e membri della Knesset.

Sentiamo questo tipo di dichiarazioni a livello nazionale continuamente. Abbiamo bisogno di iniziare a segnare chi dice cosa e inserire queste informazioni invece di accettarlo come status quo perché le persone a cui appartengono queste dichiarazioni che sono state inserite nel database erano abbastanza esplicite nei discorsi che facevano anche prima del 7 ottobre. L’idea che archiviare e esporre questo tipo di dichiarazioni e renderle pubbliche alle persone che non sono esposte ai media israeliani è cruciale per capire come il genocidio ha avuto un’escalation.

A novembre, abbiamo già raccolto 150 dichiarazioni, e sono sicura che ne manchino alcune.  Ciò che è importante è iniziare il prima possibile per trovare quante più dichiarazioni e renderle reperibili alle persone che non sono familiari con lo scenario mediatico israeliano.

Quali difficoltà avete incontrato durante questo percorso?

Kathryn: abbiamo avuto infinite difficoltà. Abbiamo dovuto trovare le fonti e tradurle, e abbiamo dovuto assicurarci che fossero valide, che la dichiarazione fosse valida e che il link potessero essere usati. La stessa storia può apparire su più link quindi dobbiamo controllare grandi quantità di materiale.

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Stavamo ricercando tantissime dichiarazioni, molte più di quelle che potessimo categorizzare o gestire. In quel momento il ICC e il ICJ si stavano svolgendo. Molte persone stavano ponendo il dubbio riguardo al genocidio e alla questione dell’intenzionalità. Avevamo molte prove e poche risorse. Molti di noi lo fanno volontariamente oltre ai propri impegni quotidiani. Si tratta di tanto lavoro, ma fortunatamente negli ultimi mesi, abbiamo lavorato con Visualizing Palestine, che ci ha aiutato a organizzare il database e presentarlo nel miglior modo possibile.

C’è ancora un’enorme quantità di risorse a cui stiamo cercando di creare un collegamento permanente, risorse che abbiamo dovuto rimuovere, ma è difficile catturare una narrativa sociale. Detto questo, la ricezione del nostro lavoro è stata incredibile. Molte persone stanno usando il nostro database e stiamo ricevendo alcuni riscontri riguardo a quello che cercano le persone. La quantità di persone che hanno visitato il database dimostra che è stato uno strumento utile per chiunque stia cercando di difendere o imparare di più la situazione.

Layla: c’è un aspetto difficile a livello psicologico che arriva con il dover esaminare di grandi quantità di materiali estremamente provocatorio e selezionare ciò che è rilevante per il database. Per esempio, guardare una serie televisiva di destra, lunga due ore, dove gli opinionisti chiedono lo sterminio dei palestinesi può facilmente incidere negativamente su qualcuno che passa ore esposto a questo tipo di materiali.

Ci sono anche problematiche con le traduzioni. Molte volte è difficile catturare l’essenza di una frase che non ha una traduzione diretta in inglese e se coloro che parlano la lingua possono capire le sfumature, è più difficile spiegarlo a una persona che parla inglese.

Kathryn: in aggiunta alle traduzioni, abbiamo anche dovuto dare un contesto perché, per molte delle dichiarazioni raccolte, i lettori potrebbero non conoscere il luogo, le persone o gli eventi a cui ci si sta riferendo se non sono familiari con i discorsi israeliani.

Vorrei anche ripetere che il trauma di leggere tutte queste informazioni è reale. Inoltre, chiedendo a persone cosa ne pensano riguardo al database, abbiamo velocemente realizzato che molti non erano pronti ad interfacciarsi con la gravità di quello che è stato detto.

Questa è una lezione inestimabile, quanto è stato detto ti colpisce perché non tutti sono quotidianamente testimoni di quella narrativa come lo sono i palestinesi e quindi non capiscono quanto sia comune quel tipo di narrativa nei discorsi israeliani. Quando abbiamo parlato di genocidio molte persone hanno dato per scontato che arrivasse solo da parti estremiste della società, ma la realtà dei fatti è che si è diffusa e il nostro database cattura in modo molto accurato tutto ciò. Penso che molte persone reagiscano in modo abbastanza duro perché sentono che vengono messe in discussione nella propria percezione della realtà.

Avete subito campagne diffamatorie per il contenuto del vostro lavoro?

Layla: non sto facendo questo lavoro sotto luce del sole dato che mi complicherebbe la vita a causa della mia cittadinanza. C’era un articolo su un sito israeliano in cui si raccontava una storia riguardo il nostro database e come “un gruppo di palestinesi” stessero cercando di coinvolgere Israele in atti che non ha commesso. Inoltre, sul profilo Twitter di Law for Palestine si possono vedere moltissimi profili bot pro-Israele che cercano di screditarci e chiamano persone che stanno lavorando al database “antisemite” e si interrogano riguardo le nostre intenzioni e la nostra identità. Oltre a questo, tutto quello che ho visto è supporto. Le persone stanno trovando il nostro database utile, e questo è il nostro obiettivo.

Kathryn: fortunatamente non abbiamo avuto attacchi personali, ma Israele ha cercato di zittire tutto e tutti nella società civile palestinese. C’è sempre attesa per le campagne diffamatorie, ma credo che ciò che ci sta proteggendo sia il fatto che le prove che forniamo parlino per se stesse e arrivino direttamente da fonti israeliane, il che le rende difficili da contestare.

Cosa avete imparato fino ad ora e che tipo di saggezza vorreste passare a quelli che devono fare questo lavoro in contesti di genocidio e di crimini di guerra?

Layla: se doveste iniziare questo tipo di progetto, è molto importante avere una squadra di supporto, con tutti che la pensino allo stesso modo, perché non è un progetto per una sola persona. Prende molto tempo ed è psicologicamente stancante.

Direi anche: Iniziate i prima possibile perché questo tipo di situazioni peggiorano in fretta, e se avessimo aspettato fino alla fine di ottobre per iniziare ad archiviare ci saremmo persi molte informazioni cruciali, saremmo affogati nella quantità di materiale da analizzare. Se iniziate presto sarete in grado di raccogliere molto di più in modo molto più efficiente e organizzato.

Kathryn: Dato che le prove digitali in questi casi sono un campo emergente è una grande opportunità per rimodellare i diritti umani e il panorama del diritto internazionale. Credo che dovremmo incoraggiare la creatività considerato che ci sono moltissimi nuovi tipi di prove che saremo in grado di usare nei tribunali. Per esempio, c’è un gruppo che si occupa di cercare specificatamente su tiktok alcuni soldati israeliani che stanno commettendo crimini di guerra e li stanno postando sulla piattaforma. Questa cosa non sarebbe potuta succedere qualche anno fa.

Riguarda tutto il rimanere creativi e flessibili. Molte volte i movimenti solidali possono irrigidirsi o avere difficoltà nell’organizzazione ed è così che perdono lo slancio. Non avremmo mai pensato di farlo diventare ciò che è oggi. Si tratta di qualcosa che abbiamo iniziato perché era importante e non avevamo idea di come si sarebbe potuto sviluppare. Con Visualizing Palestine abbiamo lavorato a una visualizzazione interattiva, che è un modo creativo e artistico di presentare il database. Non avremmo mai pensato potesse arrivare a questo punto, quindi rimanere reattivi, creativi e flessibili al cambiamento nel diritto internazionale e nei diritti umani è molto importante.

Qualcosa che vorreste aggiungere?

Kathryn: Tutto ciò che si trova nel database è organizzato in modo efficiente. Ma è comunque del materiale scioccante da affrontare. C’è qualsiasi cosa possiate immaginare: la fame, la tortura, gli sfollamenti forzati e altro ancora.

Normalmente se si sta presentando un caso davanti al tribunale internazionale, bisogna leggere centinaia e centinaia di pagine ed è noioso. Non si hanno mai prove presentate in questo modo, questo è uno strumento unico che spero si vedrà nei futuri casi.

Layla: non è solo una buona e creativa risorsa per le procedure legali, ma anche per educare quelle persone che non sono familiari con l’ambito legale. Molti trovano difficile leggere lunghi articoli e storie, e il database interattivo offre alle persone una possibilità di interessarsi dell’argomento rendendolo facile da comprendere.

Molte persone potrebbero non essere a proprio agio a ricercare e leggere grandi quantità di storie atroci riguardo a famiglie distrutte e lasciate morire di fame. Ma vedendo questo tipo di cose le persone vogliono saperne di più, o conoscere il contesto, e comprendere quale tipo di connessione c’è tra le dichiarazioni e gli eventi reali.

Il nostro database è un buono strumento per le persone per iniziare ad imparare riguardo la situazione in Palestina e successivamente capire l’esistenza di dinamiche simili in altri luoghi. Credo che possa aiutare a creare una generazione più coinvolta emotivamente, una che possa empatizzare andando oltre alle notizie. Per concludere, è uno strumento che può offrire molto a persone con diversi sfondi socioculturali focalizzandosi sulla nostra situazione, spero che le persone useranno questa opportunità al massimo.


Fonte: Waging Nonviolence, 20 dicembre 2024

https://wagingnonviolence.org/2024/12/archiving-as-resistance-to-genocide-denial-in-gaza

Traduzione di Elisa Della Rossa, tirocinante presso il Centro Studi Sereno RegisTags:Cisgiordania, Gaza, genocidio, Israele, Israele/Palestina, Palestina

7/1/2025 https://serenoregis.org/

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