L’inferno e il silenzio tombale intorno al Cpr di Macomer
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di Marco Gabbas
Muri e pareti cosparsi di sangue, persone che ingeriscono le proprie feci, un ragazzo che si butta da un muro, un altro che si cuce la bocca. Poi ancora vere e proprie torture: un uomo gasato con lo spray al peperoncino, altri pestati per ore dai carabinieri (a turno, con un collega che subentrava non appena l’altro si stancava di manganellare). Queste, che sembrano le scene di un film dell’orrore, provengono invece dal Cpr di Macomer, in Sardegna, secondo una serie di ispezioni avvenute nel corso del 2024 e che hanno portato a un esposto in procura. L’associazione Naga, che ha curato un lungo e dettagliato report su questo Cpr (disponibile online), l’ha definito il più impenetrabile d’Italia, ma di conseguenza si può aggiungere che è probabilmente il peggiore e il più terribile (eppure, chi è informato sui Cpr sa benissimo che si sentono storie terribili da ognuno di essi). Perché questa particolarità?
Alla base c’è stata probabilmente l’idea di usare la Sardegna come una colonia penale, continuando del resto una lunga tradizione. Questo Cpr è sorto nel 2020 all’interno di un ex carcere di massima sicurezza (che non è a norma per essere un carcere), nel territorio di un piccolo comune di novemila abitanti, in preda allo spopolamento, all’emigrazione, alla disoccupazione e all’invecchiamento. Si tratta di un paese che ha perso duemila abitanti in vent’anni, la cui economia si basava un tempo su una piccola zona industriale andata in crisi da decenni e mai più ripresasi. In questo contesto (del resto comune a moltissime altre aree del Sud) l’amministrazione di sinistra pensò bene di offrire qualche posto di lavoro aprendo un Cpr. Paradossalmente, all’epoca fu la destra a opporsi per la paura di fughe e rivolte (giustamente, dal loro punto di vista, perché in effetti in questi lager le rivolte e i tentativi di fuga sono periodici, né potrebbe essere altrimenti).
In seguito alla presentazione di questo agghiacciante report, persino il principale quotidiano locale, la Nuova Sardegna, ha definito il Cpr un “lager nazista”, e i motivi che spingono a questa definizione non sono limitati a quelli sopra esposti. Le proteste disperate ed eclatanti e la repressione brutale, infatti, sono la conseguenza di un luogo organizzato in modo para-mafioso, con diversi addetti nordafricani che svolgono di fatto la funzione di ascari nei confronti dei prigionieri. I detenuti sono imbottiti di psicofarmaci dati senza la prescrizione dello psichiatra, il vitto è scarso e scadente, manca anche il minimo per lavarsi, non c’è una biblioteca né uno spazio per fare sport, non si possono ricevere visite né scrivere, neanche carta e penna sono permessi. A livello generale, una delle cose che rende questo Cpr una specie di Cayenna è che molti detenuti vi vengono deportati da altre zone d’Italia, essendo così allontanati da parenti e amici. E nella Sardegna centrale vi è mancanza di avvocati competenti, il che crea strane situazioni, come quella degli addetti al Cpr che consigliano avvocati che sono di fiducia degli addetti stessi.
Per quanto riguarda l’aspetto legato alla salute, un medico che ha visitato il Cpr ha chiarito che è un ambiente fortemente patogeno. Un posto, insomma, dove se si entra sani si esce malati, o dove si peggiora se vi si entra già malati. Numerosi prigionieri hanno gravi problemi di salute fisica e mentale che non possono curare adeguatamente, e anzi denunciano la complicità degli infermieri nella gestione del Cpr (come abbiamo detto, l’unica “cura” che non sembra mancare sono gli psicofarmaci). Diversi dei reclusi hanno superato i sessant’anni, ma c’è anche il caso di un ragazzo che è stato arrestato minorenne e al quale era stata falsificata la data di nascita per farlo sembrare di vent’anni più vecchio. Inquietante è poi il caso di un anziano afroamericano lì rinchiuso che è convinto di essere Nixon. Nelle denunce orali e scritte che hanno presentato, i prigionieri hanno detto di sentirsi dei sequestrati, di essere trattati in modo mafioso. Alcuni ex carcerati hanno detto che si sta peggio nel Cpr che in prigione. Un altro particolare indicativo è che alcuni dei detenuti vivono in Italia da molti anni e che sono molto istruiti: uno di loro, infatti, ha scritto una denuncia in cui paragona la sua situazione a quella descritta dallo scrittore russo Anton Cechov nel 1895 sull’isola di Sachalin, triste luogo di prigionia siberiana ai tempi degli zar (ma anche dell’Urss).
Bisogna anche dire che questo Cpr è sorto in un contesto, quello della provincia di Nuoro, dove negli anni scorsi un settimanale cattolico locale aveva denunciato “episodi corruttivi per velocizzare pratiche per legge piuttosto lunghe e farraginose”, cioè quelle per ottenere il permesso di soggiorno o la cittadinanza, e insulti ricorrenti nell’ufficio immigrazione della questura contro donne immigrate (“prostituta”) e famiglie miste. È anche capitato che le mediatrici culturali che accompagnavano i migranti in questura per ottenere il permesso di soggiorno venissero letteralmente buttate fuori (e ovviamente, l’immigrato non otteneva il documento a cui aveva diritto). Benché questi ordinari episodi di razzismo di Stato siano comuni a tutte le questure e prefetture, il fatto che avvengano in un posto che si ritiene particolarmente “ospitale” dovrebbe far porre qualche domanda. Questo contesto è importante perché il Cpr è solo l’ultimo di una serie di gironi infernali: non dimentichiamo che chiunque non abbia il permesso di soggiorno in regola può finire in un Cpr, e può non avere questo permesso per esistere proprio perché gli viene intenzionalmente negato.
Come si è detto, la Nuova Sardegna ha mostrato coraggio nel parlare del Cpr di Macomer, ma in generale il trattamento della stampa locale su queste questioni è spesso inadeguato e insufficiente. Spesso queste questioni non vengono trattate perché non vengono considerate notizie, oppure alcuni giornalisti non le trattano perché sono stati in passato intimiditi per altre questioni. Dopo questi episodi, hanno paura e preferiscono occuparsi di pettegolezzi locali o altri futili argomenti. Si aggiunga il problema che alcuni esponenti della stampa locale hanno rapporti assai stretti con le istituzioni che dovrebbero criticare, il problema della censura interna, ecc. ecc.
Comunque, quali sono state le reazioni delle autorità responsabili dopo queste terribili rivelazioni? Ci si sarebbe aspettati qualche reazione dalle istituzioni chiamate in causa dal report, cioè la prefettura, la questura, e il comando dei carabinieri di Nuoro, ma la cosa non risulta. Da parte sua, il sindaco di Macomer che è un avvocato ha definito la detenzione amministrativa un obbrobrio giuridico, aggiungendo contraddittoriamente che nel Cpr c’è “tutto il necessario”. Non è chiaro come interpretare questa strana dichiarazione: per quanto ne sappiamo, l’unica cosa che non manca nel Cpr sono gli psicofarmaci e le botte. Ancora più sconcertante è il riferimento a un curioso “organo di monitoraggio” sul Cpr formalmente creato nel 2020.
In realtà, si è trattato di una mossa meramente simbolica adottata dopo le prime proteste, incluso l’incendio di protesta che aveva reso inagibile una parte del Cpr. Di questo organo, infatti, dovrebbero far parte la prefettura, la cooperativa che ha in appalto il Cpr, il comune di Macomer e la Regione. In primis, anche ammesso che al comune e alla Regione interessi cosa succede nel Cpr, non è chiaro cosa possano monitorare dato che non possono entrarvi. Per quanto riguarda poi la prefettura e la “cooperativa”, queste due entità dovrebbero di fatto controllare sé stesse! Ovviamente questo fantomatico “organismo” non ha mai controllato né prodotto nulla, anzi come ha sarcasticamente scritto un giornalista locale, forse alcune entità non sanno neanche di farne parte.
Purtroppo, questo Cpr degli orrori è circondato da una cappa di indifferenza, che periodicamente tenta però di essere rotta da parte di alcuni gruppi coerenti. Nello specifico, lo Spazio antifascista nuorese ha fatto il possibile in questi anni per sensibilizzare sul tema e per aiutare i detenuti, alcune reti anarchiche organizzano periodicamente dei saluti dall’esterno del Cpr per cercare di far sentire a chi è dentro che non sono soli. L’ultimo di questi saluti è avvenuto il 17 novembre scorso: un piccolo gruppo di persone ha tentato di salutare i detenuti dall’esterno con slogan e musica. A differenza delle altre volte, però, la risposta è stata solo un silenzio tombale.
Non è dato sapere il motivo: i prigionieri erano sotto l’effetto di una dose extra di psicofarmaci o magari di botte? O erano forse stati trasferiti nelle celle sotterranee? In compenso, ogni volta che c’è un’azione simbolica di questo tipo, gli attivisti vengono circondati da polizia e carabinieri, ricevono denunce e fogli di via. In particolare, sembra che il questore Polverino abbia preso molto a cuore la repressione nei confronti di questi gruppi di attivisti, che pure nei loro volantini fanno sapere di non avere alcuna intenzione di fermare la loro attività di protesta e denuncia.
Azioni repressive come queste rientrano nel contesto della forte militarizzazione del territorio seguita all’apertura del Cpr. Altro che “i Cpr non sono carceri”: chissà perché, crescenti numeri di poliziotti e carabinieri sono necessari per scongiurare evasioni e rivolte, o proteste dall’esterno (e il fatto che tutti questi poliziotti e carabinieri vadano alloggiati e nutriti ha contribuito a un piccolo indotto che purtroppo ha creato un certo consenso intorno al Cpr). Questa militarizzazione e i continui abusi in divisa del resto non sono limitati a Macomer, ma sono stati evidenziati anche nel capoluogo Nuoro.
Il 28 dicembre scorso, infatti, si è svolta allo Spazio antifascista nuorese una partecipata assemblea dal titolo “Nuoro città blindata”. L’assemblea ha visto la partecipazione di diverse decine di persone di tutte le età, ed è stata indetta per parlare dei crescenti abusi in divisa in città, come frequenti richieste di documenti e perquisizioni per strada da parte di polizia e carabinieri, anche denudando le persone coinvolte. Nella serata è stato presentato un piccolo opuscolo di autodifesa legale, e molte persone hanno raccontato le proprie storie in materia. Si è anche evidenziato come i non italiani siano spesso vittime di abusi particolari, e si cercherà di integrare l’opuscolo in questo senso. Si spera che questa utile iniziativa sia solo il primo passo per un percorso di coscienza e mobilitazione.
Si ricorderà che i detenuti del Cpr si ritengono dei sequestrati, e la cosa dovrebbe far riflettere in una zona che sino a poco tempo fa deteneva il record nazionale dei sequestri di persona. Ricordo bene come dopo il sequestro di Silvia Melis alcuni esponenti delle forze dell’ordine si fossero vantati sulla stampa locale di aver eradicato il problema. In realtà pochi anni dopo queste trionfalistiche affermazioni avveniva il sequestro Pinna, ma qui siamo di fronte a un altro fenomeno, cioè ad alcune istituzioni statali che sequestrano degli esseri umani perché sono stranieri. A questo punto, ci si può solo aspettare che il Cpr di Macomer venga chiuso quanto prima, in un modo o nell’altro.
Periodicamente nei Cpr avvengono delle morti più o meno sospette, ed è anzi un miracolo che a Macomer non sia ancora successo: se non viene chiuso quanto prima, è solo una questione di tempo.
A fronte dell’attivismo dello Spazio antifascista e di altri piccoli gruppi, bisogna infine registrare l’ipocrisia della locale sezione dell’Anpi su questa questione. Benché il presidente provinciale si sia già distinto in passato per i suoi insulti verso migranti che chiedevano aiuto (“non siamo un ufficio reclami; rivolgetevi agli assistenti sociali; non rompeteci le scatole con casi individuali; siete degli ignoranti che non conoscono la Storia; non abbiamo bisogno che ci diciate cosa dobbiamo fare”) il problema è più generale e riguarda una buona parte degli iscritti, pur con qualche lodevole eccezione. La sezione è infatti impegnata in una vuota attività nostalgica, parlando di razzismo solo in termini astratti (e magari quando bisogna usarlo come pretesto per dare indicazioni di voto alle elezioni locali).
Non si fa niente di concreto contro il razzismo di Stato, a parte qualche simbolico presidio contro il Cpr. Anzi, si mantengono buoni rapporti con la prefettura (la quale, ricordiamolo, è responsabile del Cpr) dato che conferisce le medaglie ai partigiani. Cosa direbbero questi partigiani se sapessero che vengono formalmente “onorati” da una istituzione con simili responsabilità? Essendo i partigiani morti non ci possono rispondere, ma ritengo si tratti di una questione non meramente retorica.
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