Capital the cannibal
Das Kapital. Senza patria né Dio, tampoco legge. Solo Il Profitto. È Das Capital. Cambiato il cambiabile; mutati i tempi, i luoghi, i trasporti, la tecnica, la tecnologia, le macchine, le imprese, le mode, le città, le campagne, le armi, i telefonini, le monete, i governi, i regimi, l’Urss, ecc ecc., lui non é cambiato, Das Kapital. Il Capitale.
Certo, non siamo nel 1845, ai tempi dell’inchiesta di un certo Engels sulla condizione della classe operaia inglese durante la rivoluzione industriale; ma provate a far cadere anche di un millesimo il suo sacro “saggio di profitto” e vedrete cosa sarà capace di fare, Das Kapital: fuoco e fiamme, guerra, golpe, carestia, devastazione, genocidio, terrorismo…Ieri come oggi.
Anche oggi? Anche oggi, al nostro tempo così evoluto, occidentale, democratico e amerikano, al tempo della celebrata globalizzazione?
Ebbene sì. Il Capitale è Il Capitale, e lui “non può” riformarsi. Perciò, se mi permettete, vi consiglio di mettere via Stephen King e di andare a comprare e soprattutto leggere il nuovo libro di Domenico Moro – <Globalizzazione e decadenza industriale>, Imprimatur, pag. 249, € 16 -. Non certo un giallo, come dice il titolo stesso, anzi un testo che, strettamente e scientificamente, tratta solo di poltica ed economia; ma che nondimeno è carico di suspence e di horrror, appunto come un vero thriller. Capital the Cannibal.
Ide, mai sentito parlare? L’acronimo sta per “Investimenti destinati all’estero” e immagino che anche voi come me cadete dalle nubi. Che sarà? Lo spiega bene Domenico Moro. Vuol dire che i capitali italiani <vanno ad acquistare partecipazioni o intere imprese all’estero, invece di essere investiti per ammodernare e ampliare gli impianti nel nostro Paese>. Di conseguenza, <in Italia non si genera nuova occupazione, non aumenta la produttività e si perde reddito>. Così accade, per esempio, che oggi <la Fiat, il maggior gruppo manufatturiero italiano, ha spostato all’estero non solo gran parte delle sue produzioni, ma anche la sede legale, in Olanda, e qualla fiscale, in Inghilterra>. E così accade che <tra un quarto e un quinto della capacità manufatturiera del Paese é andata persa>. A Das Kapital conviene così, Il Massimo Profitto Possibile lo richiede…
E il Ttip (Trattato di partenariato transatlantico per gli investimenti) e il Ttp (Trattato di partenariato transpacifico), a che diavolo servono? Servono – ovviamente sotto strategia Usa – alla <realizzazione di blocchi commerciali con l’Europa e il Giappone e Paesi della sua area>. Cioè, in parole povere, sono, <trattati progettati ad hoc per le grandi imprese globali, le quali, grazie all’abbattimento delle barriere tariffarie, e specialmente non tariffarie, saranno facilitate>…Anzi, padrone in casa altrui. Mercé <controllo della moneta mondiale> e <imperialismo valutario>.
Nel tempo della globalizzazione. Mi cade l’occhio su una pagina del recente libro uscito a cura di Marcello Musco (“Prima Internazionale. Lavoratori di tutto il mondo unitevi!”, Donzelli editore), che riporta l’ “Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale dei lavoratori” a firma Karl Marx, 1 novembre 1864. E che così inizia. <Operai! È un fatto innegabile che la miseria della massa dei lavoratori non è affatto diminuita dal 1848 al 1864, in un periodo che pure può essere considerato straordinario per uno sviluppo senza esempi dell’industria e per l’aumento del commercio>. Centocinquantanni fa. E pare oggi, al tempo della globalizzazione, quando lo sviluppo di industria e tecnologia è tale che potrebbe garantire vita e benessere all’intero pianeta.
Ecco gli ultimi dati dell’Istat, anno 2014, riportati nel libro di Moro, pagina 211. <Il numero dei disoccupati è raddoppiato, passando da 1,5 milioni del 2007 ai 3,1 milioni nel 2014. Inoltre, il numero degli individui in povertà assoluta è passato da 1,9 milioni nel 2005 a 4,1 milioni nel 2014, cioè dal 3,3 al 6,8 per cento; mentre quello degli individui in poverta relativa passa da 6,4 a 7,8 milioni, cioè dall’11,1 al 12,9 per cento>.
Niente di nuovo, infatti. <Ciò a cui si assiste è il rialzo dei profitti del vertice capitalistico, sempre più integrati con il capitale internazionale, al prezzo del peggioramento delle condizioni di vita della maggioranza della società e della stagnazione di lunga durata dell’economia>.
Sono arrivata a pagina 101 del libro – si descrivono i sei fattori principali (copyright Marx) che garantiscono al Capitale l’assoluta sicurezza del Massimo Profitto Possibile, tra i quali i ben noti aumento dello sfruttamento, riduzione del salario, creazione dell’esercito di riserva industriale formato dai disoccupati – quando mi cade l’occhio su un titolo del “Corriere”, pagina 27, 7 gennaio 2016, che dice: “Statali e licenziamenti. Senza art.18 risparmi per 1 miliardo” .
Ovviamente, “i risparmi” , come sempre sono sulla nostra pelle. Dicesi anche Jobs Act…Niente di nuovo. Fatevene una ragione.
Oggi il neoliberismo – cioè l’espressione politica-ideologica del capitalismo globalizzato – deve disfarsi anche del fardello del Walfare State, giudicato <non più sostenibile>, secondo la legge ferrea del Massimo Profitto Possibile (e tanti saluti a Keynes).
Il libro di Moro è un lungo e documentato excursus di delitti e misfatti, eseguiti a regola d’arte (anche via euro, provvidenziale moneta ad hoc…), impeccabili e spietati. Capital the Canniba. Ora e sempre.
A meno di imboccare un’altra strada, radicalmente diversa. Per esempio – sostiene Moro – che lo Stato diventi <espressione degli interessi della collettivita>; e, tra l’altro, che la gestione dell’intervento pubblico <includa la partecipazione e il controllo dei lavoratori>.
Non sarà mica socialismo o (“peggio” ancora) comunismo?
Maria R Calderoni
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