Il governo conferma: ammazzeremo le vedove, ma prima quelle future
C’è voluta un bel po’ di gazzarra intorno al disegno di legge delega che “riordina” le misure di assistenza sociale per far ammettere al governo che sta meditando una misura stragista come il taglio delle pensioni di reversibilità. Ne avevamo parlato ieri, e qualche piddino di complemento aveva provato persino a scrivere sui social che si trattava di una “bufala internettara”. Poi in serata era cominciato lo spettacolo pirotecnico delle dichiarazioni dei vari parlamentari (da Cesare Damiano a Maurizio Gasparri, dall’immancabile Salvini alla familiarista Binetti, ecc), che rendeva di dominio pubblico l’esistenza del progetto e la sua impresentabilità sociale, costringendo il governo a una precisione che sa molto di confessione, condita con la solita arrampicata sugli specchi e il solito tentativo di rovesciare la realtà (“ La delega del governo dà e non toglie”).
In questo modo contorto, comunque, qualche indicazione di merito in più è arrivata. Ovviamente sotto il segno dell’infamia.
Tutto vero, insomma, solo che la tagliola per le pensioni delle vedove scatterà intanto per quelle dall’entrata in vigore della legge in poi, non per quelle in essere attualmente. Ogni anno, in media, vengono presentate circa 180.000 richieste di reversibilità, avanzata da coniugi di lavoratori che sono morti dopo essere andati in pensione. Un numero che certifica l’alta mortalità di persone spremute per una vita e che non riescono a godersi il meritato riposo, se non per pochi anni, e quindi anche il gran numero di “vedove future” che vedranno rifiutarsi il trasferimento dell’assegno pensionistico del marito defunto.
È da sottolineare con estrema forza il fatto che questo trasferimento non è affatto di natura “assistenziale”, ma pienamente previdenziale, perché il defunto – e le aziende per cui aveva lavorato in vita – avevano versato i contributi. Nessun “regalo”, insomma, ma vero e proprio salario differito. Ovvero un diritto acquisito perché pagato di tasca propria, non un’elemosna elargita dal finto buon cuore del governo. Oltretutto la reversibilità non prevede quasi mai il trasferimento al 100% (a meno che oltre la vedova non ci siano anche due figli minorenni o under 26 se universitari), ma soltanto al 60% o addirittura al 20% (se il passaggio avviene a uno o più figli, come sopra).
Così come va ricordato che non si tratta di “nuove pensioni” che aumentano il numero complessivo dei trattamenti in essere, ma di “vecchie pensioni” che permangono in essere, oltretutto per importi molto più ridotti di prima. Insomma: non aumentano la spesa previdenziale, al massimo ne limitano l’agognata riduzione presente nelle indicazioni della Troika (Unione Europea, Bce, Fmi).
Confermata anche la funzione di tagliola tecnica affidata al nuovo Isee, che chiama in causa – per la determinazione del reddito del richiedente – non solo redditi e patrimonio dei conviventi, ma addirittura quello dei familiari stretti che siano andati ad abitare da un’altra parte (persino in altre regioni, ecc). Come hanno sperimentato le famiglie che hanno figli all’università, o che hanno chiesto qualche esenzione ticket, già nel primo anno di applicazione del nuovo Isee si è dovuto pagare molto di più per qualsiasi servizio. Non stiamo ovviamente difendendo i furbetti che pretendevano esenzioni producendo dichiarazioni dei redditi fasulle, ma di gente che vive solo di salario o pensione, improvvisamente classificata come “benestante” solo perché possiede la casa di abitazione e/o conserva i risparmi in banca (tra i documenti richiesti dal nuovo Isee c’è anche la “giacenza media annuale” sul conto corrente, per cui, se non hai usato la liquidazione e la tieni sul conto, sei uno che ha soldi da parte; un piccolo Marchionne, insomma…).
La tio ratio del provvedimento è esplicita: riordinare le diverse prestazioni sociali (l’assegno di disoccupazione Asdi, il sostegno all’inclusione attiva (Sia, l’assegno sociale e la pensione di reversibilità), e in generale le prestazioni «anche di natura previdenziale sottoposte alla prova dei mezzi». Basta aumentare con nuovo Isee la quantità di “mezzi” imputabile al singolo contribuente (con i sistemi di cumulo tra più nuclei familiari, descritti prima) ed ecco che improvvisamente la platea degli aventi diritto si riduce fin quasi a scomparire.
L’infamia è confermata appieno dalla riproposizione del vecchio trucco già usato per imporre legalmente la precarietà (“pacchetto Treu” e “legge 30”), la prima riforma delle pensioni realizzata dal governo Dini (che separava i trattamenti di chi aveva nel ’96 18 anni di contributi da quelli con minore anzianità, affidati completamene al “contributivo”), le tutele del lavoratore (art. 18 solo per “vecchi assunti a tempo indeterminato” e licenziabilità totale per i nuovi assnti).
In pratica, applicando le norme in via di approvazione alle richieste di reversibilità che verranno presentate in futuro, si punta a creare un doppio standard, con le “vecchie” reversibilità mantenute nelle condizioni attuali e le “nuove” ridotte di numero ed entità. Più che prevedibile, a quel punto, un bel can can orchestrato sui media di regime (con inchieste indignate affidate alle penne di Stella o Rizzo, per dirne due note a tutti) che grida allo scandalo per le disaprità evidenti, le “clamorose ingiustizie” e – tenetevi forte – “i privilegi” di quelle vedove che vivono della pensione di reversibilità (al 60% dell’assegno del marito) e che si rifiutano di morire in fretta. A quel punto, in nome dell’”equità”, ci sarà un governo che provvederà a tagliare anche quelle “vecchie”.
L’abbiamo già visto. Non fatevi coglionare un’altra volta…
Massimo Sconto
15/2/2016 www.contropiano.org
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