Esternalizzazione, confini interni, detenzione e criminalizzazione
PH: Solidary Wheels
Il controllo migratorio tra repressione e resistenza
La detenzione amministrativa come strumento politico
Nel corso degli anni e in diverse parti del mondo, la detenzione amministrativa di persone migranti è diventata non solo uno strumento sempre più utilizzato, ma un vero e proprio apparato politico ben consolidato.
La detenzione amministrativa che rinchiude in celle persone esclusivamente per chi sono e per cosa non hanno, è uno degli strumenti che le “democrazie” occidentali utilizzano per controllare i flussi migratori, rafforzare le frontiere attraverso la criminalizzazione delle persone migranti.
Il ruolo degli Stati Uniti nella diffusione della detenzione migratoria
L’articolo di Flynn, There and Back Again: On the Diffusion of Immigration Detention, pubblicato nel 2014 1, analizza la storia degli eventi politici chiave in diversi paesi di destinazione migratoria che hanno portato alla diffusione delle pratiche di detenzione negli ultimi trent’anni.
L’aspetto interessante della sua analisi, è che colloca gli Stati Uniti al centro della narrazione poiché hanno avuto un ruolo cruciale nel favorire il processo d’innovazione, imitazione e imposizione politica che ha portato all’attuale fenomeno globale della detenzione per l’immigrazione. Anche in questo ambito gli Stati Uniti, “grandi portatori di valori democratici”, hanno voluto essere gli apripista e sono stati presi come un esempio da seguire da parte dell’Unione Europea e non solo.
A partire dalla fine della Guerra Fredda gli Stati Uniti iniziarono a pattugliare le aree costiere al largo della costa del Pacifico dell’America Latina inseguendo imbarcazioni di contrabbandieri. Nel 2004 la fregata missilistica Curts avvistò un peschereccio ecuadoriano che veniva utilizzata anche per il traffico di migranti. Stipati nella stiva della nave vi erano circa 80 migranti non autorizzati.
L’operazione della Curts, che durante la Guerra Fredda intercettava sottomarini nucleari, e soprattutto la sua trasformazione operativa, fa parte di un fenomeno globale che coinvolge gli sforzi delle principali democrazie industrializzate del mondo per bloccare le persone migranti prima che raggiungano le destinazioni finali.
L’esternalizzazione delle frontiere: delegare il controllo ai paesi terzi
Quest’operazione prende il nome di esternalizzazione delle frontiere ed è una strategia adottata dalle principali democrazie occidentali per delegare il controllo dell’immigrazione a paesi terzi, situati lungo le rotte migratorie.
Questo approccio mira a fermare o gestire i flussi migratori lontano dai confini nazionali. Tale pratica è implementata attraverso accordi bilaterali o multilaterali con paesi di transito (emblematico è l’accordo Italia-Libia), che ricevono finanziamenti e supporto logistico per pattugliare le proprie frontiere (Frontex per quanto riguarda l’esternalizzazione delle frontiere europee), istituire centri di detenzione per migranti (come i CPR creati dal governo Meloni in Albania) e rafforzare i controlli.
L’Unione Europea, gli Stati Uniti e l’Australia sono tra gli attori principali che hanno adottato questa strategia.
Il caso dell’Australia: la Pacific Solution
Tra i casi più rilevanti di esternalizzazione delle frontiere vi è l’Australia con la sua Pacific Solution, un insieme di modifiche legislative che permettevano l’intercettazione delle imbarcazioni di persone migranti nelle acque australiane e il loro trasferimento in centri di detenzione offshore situati in Nauru e in Papua Nuova Guinea 2.
Dal momento che i migranti non sono entranti sul suolo australiano, viene loro negato il diritto di far richiesta d’asilo e l’accesso alla protezione legale australiana. Come tutti i centri di detenzione amministrativa, anche quelli australiani sono stati denunciati per le disumane condizioni in cui le persone migranti erano costrette a stare.
Nei centri di Nauru e Manus Island, i migranti erano detenuti in container sovraffollati, privi di una ventilazione adeguata; diverse organizzazioni per i diritti umani hanno riportato molti casi di abusi e violenze sessuali; la totale negligenza da parte del personale sanitario e mancanza di strutture sanitarie adeguate, ha portato, nel 2014, alla morte di Hamid Kahezaei. Hamid è morto per un’infezione al piede, infezione che sarebbe stata curabile se trattata in modo adeguato, ma le richieste di un trasferimento furono totalmente ignorate.
Nei centri australiani vengono rinchiusi anche bambini e adolescenti che spesso sviluppano una condizione psicologica nota come sindrome da rifiuto della vita. La patologia si manifesta in modo progressivo: il bambino smette di rispondere a stimoli esterni, smette completamente d’interagire con il mondo circostante, si rifiuta di bere e/o mangiare e può entrare in uno stato simile al coma in cui rimane immobile a letto.
Questa sindrome è stata osservata esclusivamente in contesti di detenzione a lungo termine in cui i bambini sono sottoposti a condizioni di stress cronico, paura e privazione della libertà e del futuro.
La maggior parte degli sforzi degli Stati Uniti di esternalizzare le loro frontiere creando anche centri di detenzione offshore, sono rimasti largamente al di fuori dei media e degli studiosi, ma sono stati dei veri propri esempi per gli altri paesi occidentali che hanno sempre cercato il modo più efficace per controllare le proprie frontiere.
Ma l’Australia, con la sua Pacific Solution, ha voluto in parte emulare il sistema di Guantánamo creato dagli USA. Gli Stati Uniti sono stati presi come un esempio da seguire anche sotto questo punto di vista.
In Europa la detenzione amministrativa e l’esternalizzazione delle frontiere sono due strumenti estremamente utilizzati nel “gestire” l’arrivo delle persone in movimento e sopratutto di bloccarne l’arrivo alle porte dell’Europa. L’Unione Europea, nata sui valori di democraticità, libertà di movimento, diventa così una vera e propria fortezza.
L’Unione Europea: tra barriere fisiche e legislative
Fin dalla nascita dell’Unione Europea, le sue politiche in ambito migratorio sono sempre state politiche di chiusura e controllo dei confini. Oltre alle barriere legislative, ai confini vi sono vere proprie barriere fisiche costruite per impedire l’accesso delle persone migranti.
Tra queste ricordiamo i muri di oltre 6 metri d’altezza attorno alle due enclave spagnole di Ceuta e Melilla; lungo la rotta balcanica, al confine serbo-croato nel 2015 è stato costruito un muro di 175 km alto 4 metri e dotato non solo di filo spinato ma anche di sensori di movimento; sempre lungo la rotta balcanica è presenta un’altra barriera di 200 km tra la Slovenia e la Croazia; ma è al confine con la Bielorussia che Polonia e Lituania hanno costruito rispettivamente 190 km e 510 km di muro e filo spinato, la barriera fisica più lunga per impedire ai migranti di entrare in Europa.
La criminalizzazione delle persone in movimento
L’Unione Europea sembra erigersi su un’enorme contraddizione: si auto-dichiara terra della democrazia, dei diritti e della libertà di movimento, ma nega violentemente tali diritti e libertà a tutte le persone in movimento. Spesso le persone in movimento vengono accusate d’essere scafisti, come è successo a Maysoon Majidi.
Majidi è un’attivista curda che ha sfidato il regime di Teheran, al suo arrivo in Italia è stata incarcerata con l’accusa di favoreggiamento d’immigrazione clandestina; a inizio febbraio «Dopo dieci mesi di detenzione e un lungo processo piuttosto problematico, Maysoon Majidi è finalmente libera e può ‘tornare a vivere’, riprendendo l’espressione che lei stessa ci aveva riferito».
Quello di Majidi non è l’unico cosa «come lei tantissime persone migranti arrivano sulle coste italiane e vengono criminalizzati e ri-vittimizzati nelle more dei procedimenti a loro carico». L’Unione Europea non si “protegge” esclusivamente con le frontiere esterne, ma erige, all’interno dei paesi membri, delle frontiere interne che possono essere altrettanto letali nonché completamente discriminatorie.
Le frontiere interne
Tra queste vi sono gli uffici migrazione delle questure davanti alle quali tra gennaio e febbraio si sono create code lunghissime di persone che dovevano richiedere o rinnovare il permesso di soggiorno. File disumane che durano ore, spesso per tutta la notte e obbligano le persone ad accamparsi al gelo dell’inverno, questo esclusivamente perchè le questure accettano pochissime richieste d’asilo e forniscono pochissimi appuntamenti settimanali per il rinnovo del PdS.
Quella davanti alle questure delle principali città italiane si è trasformata in una «lotteria disumana che non è degna di nessun paese civile». La notte tra il 28 e il 29 gennaio, davanti alla questura di Roma un uomo è morto mentre si trovava in quella fila 3. È morto al gelo mentre era in coda per poter accedere a una questura della grande Europa dei diritti.
«Ci siamo accorti che era morto quando abbiamo chiamato la lista per continuare la fila alle 4 del mattino alle 11 di sera ancora parlava con la signora che stava accanto a lui». Quella delle questure è l’ennesimo muro che le persone migranti si trovano davanti è una delle «barriere immateriali erette dalla Pubblica amministrazione nei confronti delle persone straniere».
I CPR
Una delle frontiere interne forse più emblematica, e che riprende il paper di Flynn, è quella creata dei CPR al cui interno i detenuti non si sentono più persone, perchè vengono totalmente e continuamente privati della loro dignità umana; «siamo cadaveri che respirano. Questo sistema monopolizza la nostra essenza nella mera sopravvivenza».
Il CPR di Torino, dopo esser stato chiuso grazie a una rivolta dall’interno, è stato ristrutturato e potrebbe riaprire da un momento all’altro. Nello stesso periodo è iniziato il processo contro «la direttrice delegata della società che gestiva il CPR e il responsabile medico della struttura» per poter ottenere giustizia per la morte statale di Moussa Balde.
La famiglia Balde è seguita dall’avvocato Vitale «il reato ipotizzato è omicidio colposo. Verte sulla responsabilità per non aver previsto nessun protocollo di prevenzione del suicidio e non aver gestito correttamente la situazione di Moussa».
Durante un evento benefit per sostenere le spese della famiglia di Moussa, il fratello ha detto che le lotte contro le discriminazioni, contro le frontiere e contro i CPR possono essere portate avanti se si uniscono tutte le forze.
In questo non devono mai essere dimenticate le persone migranti che lottano ogni giorno ed è soltanto con loro che si possono aprire delle crepe nei muri dei confini, dei CPR.
La lotta contro la discriminazione non deve in alcun modo portare avanti una retorica bianca che vittimizza le persone straniere considerandole prive di agency politico.
- Leggi l’articolo ↩︎
- La responsabilità dell’Australia per la detenzione arbitraria sull’isola di Nauru, Maurizio Bongioanni – Altreconomia (Febbraio 2025) ↩︎
- Un uomo è morto mentre era in fila per l’ufficio immigrazione della questura di Roma – Domani (28 gennaio 2025) ↩︎
6/3/2025 https://www.meltingpot.org/
Il caso Maysoon Majidi e la criminalizzazione dei migranti
L’attivista curda iraniana è stata assolta da tutte le accuse
10 Febbraio 2025
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