SOCIETA’: PRIGIONIERI NELLA GIUNGLA DIGITALE
di Serena Tinari
La nostra vita digitale è fatta di migliaia di clic. La normativa sulla privacy ha finito per moltiplicarli, e la transizione dei media da cartaceo a elettronico ci porta a vivere in una giungla di avvertimenti incomprensibili. Sul telefono o dal computer, a voler andare veloci finiamo per accettare tutto. Abbiate pietà di me, fatemi leggere quell’articolo, si va bene fate dei miei dati quello che volete. Confesso che talvolta alzo bandiera bianca, mi innervosisco e penso di non avere tempo da perdere. Perché rifiutare il consenso spesso non è solo un clic. Devi deselezionare decine di caselle, una gragnuola di clic, passano i minuti e alla fine del tunnel scopri che no, se non dai in pasto il tuo profilo ai partner pubblicitari di quel sito, non potrai leggerne le pubblicazioni.
Mi pento amaramente quando il mio telefono mi presenta il conto. Pagine web illeggibili perché piene di pubblicità che si aprono da sole, e io tapina mi pento, mi riprometto di non farlo più, pulisco la memoria del programma di navigazione, fino al prossimo attacco di pigrizia.
E poi ci sono i CAPTCHA. Seleziona i riquadri che contengono un semaforo, una bicicletta, un motorino. Basta un frammento di palo per sbagliare tutto. Ci hanno sempre detto che i CAPTCHA servono a confermare che “sei un essere umano”. Insomma, un’opzione per la sicurezza del sito, e ci mancherebbe che non ne comprendiamo l’importanza. L’impronunciabile sigla sta per “Completely Automated Public Turing test to tell Computers and Humans Apart”, ovvero “Test di Turing pubblico completamente automatizzato per distinguere computer e umani”. Suona talmente complicato, che deve essere tutto in ordine. O no?
Boing boing, una piattaforma per maniaci di ogni cosa digitale, ha di recente rilanciato i risultati di uno studio pubblicato nel 2023. Tenetevi forte, perché a quanto pare si tratta dell’ennesima fregatura per gli affari nostri. Al centro dell’analisi c’è il cosiddetto reCAPTCHA, la variante che ha conquistato il mercato, o a voler essere accurati la sotto-variante reCAPTCHAv2. I riquadri con immagini hanno sostituito sequenze distorte di lettere e numeri, spesso difficili da risolvere per noi, ma facili da sciogliere per l’intelligenza artificiale. Nel 2009 questo strumento è stato acquistato da Google. Che ne ha fatto un meraviglioso sistema per monitorare il nostro comportamento digitale e, naturalmente, per raccogliere dati personali, considerati il petrolio dei giorni nostri. In particolare, reCAPTCHA tiene sotto controllo i cookies, dove e come navighiamo, fino ai movimenti del mouse e persino la risoluzione dello schermo del computer. Dati che servono a individuare a quali messaggi pubblicitari siamo più sensibili e quindi a sorvegliarci in maniera sempre più efficace.
Secondo il gruppo di ricerca dell’università californiana Irvine, che ha seguito per tredici mesi 3.600 persone, i numeri del fenomeno sarebbero incredibili. Cercare la bicicletta o il semaforo costerebbe alla società 819 milioni di ore, una sublime perdita di tempo che porta a Google profitti stellari. Lo studio è disponibile online, in accesso libero. Il gruppo di ricerca conclude che il sistema non funziona contro i cosiddetti bot, irrita il popolo bove costretto a cliccare senza comprenderne le vere ragioni, e consente ai soliti noti grassi guadagni.
4/3/2025 https://www.areaonline.ch/
Immagine: rawpixel.com
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