“Mare di nessuno”/Quarta puntata.

Nell’aprile 2012 lo staff di SkyTruth – un gruppo di lavoro che si occupa di monitoraggio ambientale con sede nel West Virginia – ha individuato alcune strisce nere a largo della costa africana nelle immagini satellitari inviate dalla European Space Agency. Una enorme massa di rifiuti scaricati lungo 92 miglia da Cabinda (Angola), dalla nave Dona Liberta, già citata nel precedente articolo (“Mare di nessuno”. Dona Liberta, la nave che cambia bandiera a seconda dei traffici del momento) accusata, oltre che di maltrattamento dell’equipaggio, anche di violazione delle norme ambientali da diversi Paesi.
L’aggravante sta nella volontarietà dell’atto. Le navi, infatti, possiedono gli strumenti necessari per smaltire i rifiuti prodotti durante il viaggio, senza dover inquinare necessariamente l’ambiente marino. I rifiuti possono essere, ad esempio, inceneriti a bordo oppure scaricati in un deposito apposito; mezzi certamente meno economici del semplice rilascio delle sostanze inquinanti nelle acque durante il tragitto e per questo, probabilmente, meno sfruttati.
Nel reportage di Ian Urbina sono riportati altri casi di violazioni ambientali imputabili alla Dona Liberta: è stata citata dalla Gran Bretagna nel 2004, dall’Olanda nel 2005, dalla Spagna nel 2009. Inoltre nel 2011 è stata citata dagli ispettori russi per aver falsificato il registro con i dati relativi al rilascio di petrolio e nel 2012 le autorità ambientali inglesi hanno dovuto ripulire il fiume Fal dalle sostanze inquinanti scaricate in acqua dalla nave.

Come per altre casistiche di violazioni, anche in questi casi i risultati delle azioni legali intraprese dai suddetti Paesi non hanno ottenuto risultati incoraggianti.
“Of the few people watching, even fewer do anything to stop it” – ha detto John Hocevar, il responsabile per le campagne dedicate agli Oceani di Greenpeace USA.
Per esempio, non è stata aperta nessuna inchiesta per il caso della macchia di sostanze inquinanti rilasciata a largo della costa africana. Infatti, nonostante le segnalazioni da parte delle associazioni ambientaliste e le richieste di intervento, sia i funzionari marittimi delle Nazioni Unite, sia la Guardia Costiera degli Stati Uniti, sia l’Interpol hanno affermato di non avere giurisdizione sulle violazioni denunciate.
Ancora una volta si assiste, dunque, al teatrino delle responsabilità scaricate da un soggetto all’altro, senza che si arrivi a capire a chi effettivamente spetti il dovere di cogliere le segnalazioni provenienti sia dalle autorità dei Paesi, sia dalle associazioni ambientaliste che da anni si battono a favore della protezione ambientale.
Certo non si tratta del primo e unico caso di inquinamento dovuto allo scarico di materiali pericolosi nelle acque. Tuttavia, secondo quanto riportato da Ian Urbina, i ricercatori che studiano gli Oceani affermano che, in un arco temporale di tre anni, le navi scaricano in mare una quantità di sostanze inquinanti superiore a quelle che furono rilasciate con i disastri di Deepwater Horizon e Exxon Valdez messe insieme e che emettono un livello di inquinamento atmosferico maggiore rispetto a quello prodotto da tutte le macchine del mondo.
Uno scenario che, per il momento, non apre a buone prospettive per il futuro dei nostri mari.

Francesca Marras

19/3/2016 www.controlacrisi.org

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Prima puntata
Seconda puntata
Terza puntata
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