A chi fanno male le sanzioni alla Russia?
1. Introduzione
Sanzioni e boicottaggi sono state le armi economiche scelte dagli Stati Uniti a nome di tutta l’alleanza atlantica per fronteggiare la minaccia rappresentata dall’intervento militare russo in Ucraina. I pacchetti sanzionatori contro la Russia emessi dagli USA e dall’Unione Europea si sono rapidamente moltiplicati per tutto l’arco del 2022, dopo che molti erano ancora in vigore a partire dall’inizio vero e proprio del conflitto militare risalente al 2014. Gli aspetti più rilevanti delle sanzioni introdotte dall’Unione Europea riguardano il divieto di accedere ai mercati finanziari europei, il blocco delle riserve russe presenti presso gli istituti di credito europei, l’esclusione delle principali banche russe dal sistema dei pagamenti SWIFT, il divieto di esportazione dei prodotti hi-tech verso la Russia e blocco del trasporto aereo, e infine il divieto degli investimenti esteri russi che comprendono il blocco delle importazioni di materiale energetico russo. Inoltre, l’UE ha esteso le sanzioni anche nei confronti della Bielorussia, in qualità di nazione coinvolta nell’invasione dell’Ucraina, e dell’Iran, in relazione alla fornitura di droni. Successivamente, si è anche verificato il boicottaggio voluto dalla US Navy del Nord Stream 1, la rete di gasdotti che convogliavano il gas russo in Germania, come è stato ricostruito dall’indagine del premio Pulitzer Seymour Hersh (2023), che ha definitivamente chiuso i rapporti economici e finanziari dei paesi euro-atlantici con la Russia.
2. La reazione dell’economia russa
I risultati sono stati alquanto distanti dagli obiettivi che le istituzioni si erano prefissate (isolamento internazionale della Russia e conseguente recessione della sua economia). Dopo una iniziale svalutazione del rublo, all’indomani dell’introduzione delle nuove sanzioni, che è passato da 80 a 130 rubli per dollaro nel primo trimestre del 2022, la Banca centrale russa (CBR) è intervenuta attraverso una massiccia vendita di dollari che è riuscita a stabilizzare la valuta, tornata a 60 rubli per dollaro nel secondo semestre del 2022 fino a registrare un valore di 77 rubli per dollaro nel primo trimestre del 2023. Intanto, il surplus commerciale russo (le esportazioni al netto delle importazioni), che era esploso con l’inflazione delle materie energetiche, ha iniziato a ridursi alla fine del 2022 come conseguenza del boicottaggio dei gasdotti trans-baltici ma restando al di sopra dei livelli registrati prima dell’intervento militare. Nel complesso, la Russia ha chiuso il 2022 con un tasso di crescita annuale del prodotto interno lordo del –3.7% dopo che molte previsioni (FMI, Banca Mondiale e Ocse) avevano stimato che le sanzioni avrebbero aggredito l’economia russa nell’ordine del –10%. Come si spiega una tale capacità dell’economia russa di assorbire l’impatto delle sanzioni?
Potremmo spiegarlo con il fatto che le sanzioni e i boicottaggi hanno sicuramente provocato un rallentamento ma non un congelamento totale dell’economia russa e, tantomeno, un suo isolamento internazionale. Al contrario, il logoramento dei rapporti euro-atlantici con la Russia ha agito come incentivo per una torsione dell’asse commerciale, finanziario ed energetico da occidente verso oriente. Infatti, come riporta il giornale cinese Global Times (2023), nel 2022 il volume degli affari commerciali bilaterali tra Russia e Cina è cresciuto del 34%, le esportazioni cinesi verso la Russia, che includono beni industriali e prodotti hi-tech, sono aumentate al tasso annuale del 17.5%, mentre le esportazioni russe verso la Cina, che comprendono soprattutto materie prime energetiche, sono incrementate del 48.6% e sembra che possano superare il primato della quota di fabbisogno energetico cinese rappresentata dalle forniture dell’Arabia Saudita. L’aspetto rilevante, oltre a quello quantitativo, è che queste transazioni sono state effettuate in yuan e rubli anziché in dollari grazie all’implementazione del Trade Settlement in Local Currency, che i due partner avevano firmato nel 2014, l’anno effettivo dell’inizio del conflitto militare russo-ucraino, con lo scopo di ridurre la rispettiva dipendenza finanziaria dall’accumulazione obbligata di riserve denominate in dollari (Lampa, 2022). In questo senso, Stognei (2023) riporta l’aumento, a partire da gennaio 2022, della quota di transazioni effettuate in renminbi sul totale dell’export russo a fronte di una parallela diminuzione delle transazioni effettuate in dollari e soprattutto di quelle effettuate in euro. Infatti, anche gli ultimi incontri tra i vertici russi e sudafricani sono andati in questa direzione. Questi ultimi hanno iniziato a discutere l’idea di creare una moneta internazionale da utilizzare all’interno dei pagamenti effettuati tra i paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) il cui valore dovrebbe essere basato sul paniere di tutte le valute dei paesi coinvolti.
A questo salto di paradigma monetario internazionale è stata associata una determinata politica industriale orientata alla sostituzione delle importazioni. Il settore manifatturiero russo gode di una grande capacità produttiva e di un vasto mercato interno e, anche se molti degli impianti non sono in grado di competere con i prodotti industriali esteri, esso rappresenta una rilevante quota del valore aggiunto del settore manifatturiero globale. Milanovic (2022) ha definito questo indirizzo di politica industriale come technologically regressive import substitution, vale a dire un processo basato sulla sostituzione dei prodotti importati dall’occidente con dei beni meno avanzati ma producibili in Russia, come gran parte dei componenti per prodotti industriali. Trattandosi di una riconversione industriale regressiva, essa risulta alquanto sconveniente perché comporta sia la perdita delle economie di scala acquisite nel tempo attraverso l’integrazione internazionale del commercio che la sovra-qualificazione della forza lavoro russa, che viene generalmente formata per far funzionare i più avanzati macchinari occidentali. Sta di fatto che, come conseguenza della riconversione, le importazioni russe di apparecchiature tecnologiche sono cresciute dal Kazakistan e dalla Turchia tanto che nel valore complessivo sono potute tornare al livello del periodo che precede l’introduzione dei nuovi pacchetti di sanzioni (Ivanova e Seddon, 2022). Il commercio russo con l’occidente si è interrotto, ma quello con i paesi asiatici, mediorientali e africani è cresciuto. Questo significa che il basso costo delle materie energetiche garantito dal sistema estrattivo russo ha comportato un vantaggio competitivo troppo rilevante, soprattutto in tempi di inflazione energetica globale, per essere isolato completamente dal commercio internazionale ed eventualmente sostituito con le forniture energetiche americane. A giudicare dai risultati che l’economia russa presenta dopo un anno dall’inizio dell’intervento militare in Ucraina, sembra che l’aggiramento degli effetti recessivi più devastanti delle sanzioni occidentali si sia rivelato, per il momento, rapido ed efficace.
3. L’Europa tra sanzioni e auto-sanzioni
I contro-effetti delle sanzioni sull’economia dell’Eurozona erano prevedibili, essendo la Russia il primo fornitore di materiali energetici del continente europeo (soprattutto della Germania, cfr. Tooze, 2022). Questi ultimi hanno comportato la fine della lunga fase di surplus commerciale che l’Eurozona aveva conquistato mediante le politiche d’austerità (l’abbassamento della domanda interna e dell’occupazione ha ridotto il livello delle importazioni). Tuttavia, gli alti prezzi delle materie energetiche importate e la chiusura dei canali commerciali non hanno stimolato i governi europei ad attuare congiuntamente un piano di riconversione industriale ed energetica orientata a sostituire le materie prime affette dall’inflazione e dalle sanzioni, ma li hanno condotti ad esercitare una ulteriore depressione dell’attività economica mediante nuove politiche fiscali e monetarie recessive con l’intento di sfuggire al valore crescente delle importazioni. L’atteggiamento è stato dunque quello di ripararsi dalle controindicazioni delle sanzioni piuttosto che trarre dalla contingenza bellica e dall’inflazione energetica l’incentivo per un avanzamento sul fronte delle politiche energetiche e commerciali. D’altra parte, la Russia si è decisa a continuare l’intervento militare in Ucraina e ad intraprendere un doppio salto di paradigma, prima attraverso una politica orientata alla sostituzione delle importazioni e poi attraverso la formazione di canali internazionali indipendenti dai paesi sanzionatori. L’effetto paradossale delle sanzioni è stato quello di provocare l’isolamento internazionale di chi le ha promosse e allo stesso tempo aprire la strada verso nuovi mercati a chi le ha ricevute.
Riferimenti bibliografici
Global Times 2023. “China-Russia trade rises 34.3% to $190 billion in 2022, a new record high.” January 13.
Hersh S. 2023. “How America took out the Nord Stream pipeline.” Seymour Hersh, February 8.
Ivanova P., Seddon M. 2022. “Russia’s wartime economy: learning to live without imports.” Financial Times, December 14.
Lampa R. 2022. “Verso la disgregazione del sistema monetario post 1971? I paesi in via di sviluppo e l’impatto delle sanzioni belliche sulla dollar hegemony.” Moneta e Credito, 75 (298), pp. 149-161.
Milanovic B. 2022. “The novelty of technologically regressive import substitution.” Global Inequality, April 30.
Stognei A. 2023. “Russia embraces China’s renminbi in face of western sanctions.” Financial Times, March 26.
Tooze A. 2022. “Is boycotting Russian energy a realistic strategy? The German case.” Chartbook, 97, March 12.
Gianmarco Oro
20/4/2023 http://www.maggiofilosofico.it
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