A cosa (non) serve l’omeopatia
Tutti dicono che il proprio gatto sia intelligentissimo, che gli manchi solo la parola, che capisca tutto. Ma il mio è una spanna sopra la media. Decisamente. Perché lui −pensate− vede che io prendo un tubetto di granuli omeopatici, ne estraggo tre, li lascio sciogliere nell’acqua della sua ciotola (che non vede, perché è nel lavello di cucina, ma insomma) lui la beve e guarisce dai suoi disturbi. Perché? Ma come perché, per l’effetto placebo, suvvia, è noto. Questo è l’unico effetto dell’omeopatia, no?
Mi concedo un inizio scherzoso per questo articolo, perché lo scrivo con determinazione ma anche leggerezza: ci sono aspetti della fisica quantistica che sono ancora in fase di studio ed evoluzione, e finché non saranno pienamente sviluppati non avremo la cosiddetta “dimostrazione scientifica” che i farmaci omeopatici contengano principi attivi. Nel frattempo, io curo decine di malesseri da anni, guarendone. Per questo ho deciso di scrivere questo articolo: spero di riuscire a fare un po’ di chiarezza sulla base delle mie esperienze e delle mie ricerche.
Cominciamo da qui: come funziona l’omeopatia? Il principio è analogo a quello dei vaccini, per i quali una sostanza potenzialmente dannosa per il nostro organismo viene inoculata in modo da scatenare una reazione di difesa. Il nostro organismo sviluppa degli anticorpi a quella data malattia e quindi, in caso ne venga poi a contatto, è in grado di combatterla. Analoga la filosofia dell’omeopatia, in cui vengono utilizzati gli aspetti tossici di una sostanza (che può essere qualsiasi materia organica o inorganica presente sul pianeta, dalla cipolla all’argento) per dare all’organismo uno stimolo per produrre una reazione di difesa/sostegno che lo porti alla guarigione.
Cosa contengono quindi i granuli omeopatici? Contengono zucchero (solitamente lattosio) impregnato con l’acqua che ha contenuto inizialmente la sostanza usata per la reazione, ma che è stata poi più e più volte diluita e dinamizzata. Dopo le molteplici diluizioni, non resta ovviamente traccia chimica della sostanza iniziale nel preparato, perché il principio dell’omeopatia è che la sostanza diventa efficace quando (e quanto più) viene diluita. È infatti la traccia che resta nell’acqua usata per la diluizione sotto forma di geometria molecolare che la rende efficace come stimolo per l’organismo. In questo senso, è assurdo il più comune argomento usato a sfavore dell’omeopatia, e cioè che non ci sia traccia della sostanza nel preparato e per questo sia fraudolento e inefficace: se ci fosse traccia della sostanza, non sarebbe un prodotto omeopatico, ma allopatico.
Voglio chiarire subito un aspetto: non attribuisco alcun valore spirituale, trascendente, psicologico o men che meno magico all’omeopatia. È un tipo di cura fisico, reattivo sul piano biochimico, che non ha niente a che vedere con alcun aspetto esoterico o spirituale; semplicemente, le attuali scoperte scientifiche non sono ancora in grado di darne una misura quantistica. L’omeopatia può funzionare esattamente come qualsiasi altro tipo di farmacopea tradizionale (che per semplicità definirò qui “allopatia”) ovvero senza nessun legame tra medico o paziente, persino con una partecipazione anche passiva o inconsapevole da parte del soggetto malato − e infatti ha brillanti risultati in veterinaria, come nel caso del mio gatto.
Resta il fatto che ci sono casi in cui l’omeopatia non funziona. Vediamo come e perché, considerandone i limiti e – soprattutto – i nemici.
Per curare una data malattia è necessario produrre un farmaco dalla sostanza che scatena una reazione uguale. Un esempio: l’arsenico (Arsenicum Album) è tossico e dà reazioni a livello gastrointestinale. Per questa sua natura, è uno stimolatore di una reazione autoterapautica. Ma non esiste un equivalente per tutte le malattie, ad esempio per i molti tipi di cancro, ché sono causati da decine di fattori variabili. In generale, si può dire che l’omeopatia funziona quando un preparato scatena nell’organismo della persona malata una reazione analoga (“omeo-patica”) a quella della malattia stessa, ma più forte e quindi in grado di combatterla. In altre parole, si somministra in forma omeopatica la sostanza che in dose tossica scatenerebbe una reazione uguale alla malattia o ai suoi sintomi. Diversamente, il principio dell’allopatia consiste nell’introdurre nell’organismo una sostanza che cerca soltanto di sopprimere il problema a prescindere dalla capacità di risposta dell’organismo stesso, spesso cercando di colpire ciò che causa la malattia e/o il suo sintomo, talvolta distruggendo materialmente la sua origine: batteri, tumori, parassiti. Questo è il motivo per cui i medicinali allopatici hanno spesso degli effetti collaterali, a differenza di quelli omeopatici, che tutt’al più si limitano a essere inefficaci. L’allopatia ha spesso poi come obbiettivo quello di operare sui sintomi (dolore, febbre, sensazioni fastidiose, reazioni ecc.) ma non necessariamente sulle cause: lavora sull’eliminazione della percezione della malattia piuttosto che sulla malattia stessa. Esempio banale: mal di testa causato da indigestione. Il farmaco allopatico fa scomparire la sensazione del dolore al capo, ma se durante le ore in cui è efficace l’organismo non è riuscito a sconfiggere la causa dell’indigestione, tornerà appena esaurito l’effetto. L’omeopatia, diversamente, lavorerebbe in questo caso sulla stimolazione della risposta autoterapeutica, portando l’organismo a lavorare con maggiore efficienza sull’intestino, risolvendo il problema alla radice del malessere e non sul semplice sintomo. Per questo l’allopatia è utile per sconfiggere ad esempio i batteri (attraverso gli antibiotici) ma non per risolvere certi disturbi cronici come sinusite o reazioni allergiche, per citarne un paio. È necessario chiarire che l’omeopatia è una terapia di stimolo, che ottimizza le risorse difensive del paziente e che può funzionare quindi solo se tali risorse sono comunque almeno in parte presenti. In caso contrario va affiancata all’allopatia. Più semplicemente, non è possibile curarsi usando solo l’allopatia o solo l’omeopatia, ma è necessario integrarle per ottenere le migliori risposte dal nostro corpo, che siano le più meccaniche o le più autoterapeutiche. In questo senso, l’omeopatia è efficacissima contro le infezioni virali, per le quali l’allopatia non ha ancora trovato altro rimedio che il vaccino. Diversamente l’omeopatia non solo è efficace contro i virus influenzali, ma è anche in grado di prevenire il contagio.
Il mio omeopata (che per inciso oltre al diploma in omeopatia ha preso prima una laurea in medicina con successiva specializzazione, e ha quindi compiuto nove anni di studi universitari alla Sapienza di Roma – e non a Hogwarts − prima di diventare omeopata) in vent’anni mi ha prescritto tanto rimedi omeopatici quanto farmaci antibiotici, cortisonici, antibatterici, antistaminici e una volta persino un ansiolitico. Perché ogni patologia richiede la sua cura. Qualsiasi sia il motivo per cui una cura omeopatica non dà risposta su una persona a rischio polmonite, ad esempio, è criminale non somministrarle subito un antibiotico.
Continuiamo però a parlare di quando e perché l’omeopatia non funziona, esaminandone i nemici uno per uno.
Paradossalmente, i peggiori nemici sono spesso gli stessi utilizzatori dell’omeopatia, che ne fanno una forma di credo simil-religioso operando una malsana e rischiosissima confusione tra patologie organiche e malattie cosiddette psicosomatiche, come se l’omeopatia fosse una questione di psiche e disturbi dalle cause fumose e spirituali. Pur essendo certa che possano esistere delle relazioni tra lo stato fisico di una persona e il suo stato mentale, dopo anni di utilizzo di medicinali omeopatici posso asserire con certezza di essere guarita da molti disturbi e malattie completamente a prescindere dal mio stato psicologico; altrettanto, posso dire di non essere potuta guarire da alcune malattie che potevano avere una “radice psicosomatica” pur essendo una persona che utilizza farmaci omeopatici. Ci sono persone che per dimostrare che ogni malattia ha una radice psichica sarebbero capaci di far sentire in colpa i genitori di un bambino con il cancro. O persone che confondono medicina omeopatica con i “rimedi naturali” come se la fitoterapia fosse scevra da controindicazioni e se ne potesse fare qualsiasi uso. Ci sono poi quelli che spacciano un rimedio come universalmente valido, per cui nascono le mode di ciò che fa bene e ciò che fa male, il che è veramente pericoloso: ognuno di noi è un essere assolutamente unico, un equilibrio di DNA e stile di vita, e qualsiasi cosa assumiamo, che sia cibo o medicine, deve essere quello giusto per noi, non esistono panacee. E sarebbe opportuno che prima di assumere qualcosa facessimo un test, che fosse kinesiologico, ematico o di altro tipo, per accertarci che quella data sostanza ci fa bene o male.
Ma anche alcuni medici che suggeriscono l’omeopatia non le fanno che un danno, a cominciare dai quei dottori che si improvvisano omeopati senza aver seguito una scuola appropriata e prescrivono rimedi come fossero allopatici, senza capire che non esiste un rimedio per un sintomo, ma ogni rimedio dà una risposta a seconda della causa primaria che lo genera. Ad esempio ci sono almeno 5 rimedi per il “mal di gola”, e una dozzina di rimedi per il “mal di testa”. In più, gli inesperti non sanno neanche come vada somministrato un farmaco omeopatico, pensando che i granuli vadano ingoiati come fossero compresse invece che sciolti sotto la lingua lontano dai pasti, ad esempio. Questo porta un grande numero di persone a ritenere di aver sperimentato l’omeopatia senza successo.
Personalmente poi, dopo tanti anni di utilizzo dell’omeopatia e di confronti con altre persone che la usano, sono arrivata alla conclusione che sia inficiante a un buon risultato anche l’indirizzo omeopatico cosiddetto unicista, ovvero quello che prevede l’assunzione di un unico tipo di rimedio per ciascuna persona, come se esistesse una tipologia caratterial-organica per ciascuno, e si potesse quindi somministrare un rimedio omeopatico “unico” che, corrispondendo alla totalità della persona, sarebbe in grado “riequilibrandola”, di curarne qualsiasi manifestazione patologica. Ma ogni organismo è complesso, mutevole e fluttuante. In più, quasi tutti i disturbi hanno più di un sintomo, e quindi non ha senso lavorare solo su uno di questi, anche perché questo approccio dà per ovvi motivi risultati lentissimi di guarigione, cosa che si annovera tra i più popolari cavalli di battaglia dei contrari all’omeopatia. Per me, invece, l’omeopatia è molto più rapida: l’influenza di stagione mi dura 12 ore, un mal di testa 15 minuti, una reazione cutanea 3 minuti, eccetera.
Non sono un medico e questo articolo non è scientifico ma è scritto solo sulla base delle mie letture e soprattutto sui miei vent’anni di cure omeopatiche, che mi hanno permesso una vita decisamente migliore in ogni senso. Per molto tempo sono stata una grande distributrice di omeopatia, dando consigli e regalando farmaci ai miei amici, ma da qualche anno riservo questo trattamento solo a pochi. Perché le persone sono così prevenute sull’idea che il loro corpo possa guarire da solo con “un po’ di zucchero” invece che essere forzato da farmaco esterno, che ogni volta che hanno fatto una cura e sono guarite mi hanno poi detto che non era dipeso dalle mie medicine ma da altri fattori. Anche quando gli ho guarito un bambino malato da giorni, a cui gli antibiotici non avevano fatto effetto. Ora non lo faccio più. L’omeopatia è una modalità di cura raffinata e sottile, non tutti hanno gli strumenti necessari per comprenderla.
Monica Mazzitelli
2/6/2017 http://popoffquotidiano.it/
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