Disservizi a cura di Renzi, Franceschini e Chiamparino

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Non solo è pretestuosa e ad orologeria la costruita polemica a reti unificate sui lavoratori del Colosseo.
Ad olorogeria, perchè all’imbastita gogna mediatica è seguito un decreto legge fortemente limitativo dei diritti di democrazia sindacale e del diritto di sciopero.

Peraltro, come tempestivamente raccontato da “Senza Tregua”, foglio online del Fronte della Gioventù Comunista, “Da diversi mesi non vengono pagati turni e straordinari per quei servizi di apertura oltre orario e nei festivi, tanto voluti dal governo. Nonostante il contratto sia scaduto ancora nessun tavolo è stato convocato al Ministero, nonostante la Corte Costituzionale abbia dichiarato illegittimo il conseguente blocco dei salari. Insomma i lavoratori non hanno chiesto un’assemblea per fare un giorno di vacanza a danno dei turisti, come sembra farci credere il governo, ma per precise richieste più che legittime. Se un lavoratore non viene pagato è legittimo che il sindacato indica un’assemblea e uno sciopero?  Quale strumento si potrà più utilizzare per chiedere il rinnovo del contratto, che spetta di diritto ai lavoratori, di fronte ad istituzioni inadempienti, perché strozzate dai vincoli del bilancio? Chi uccide l’immagine della cultura e dell’arte in Italia, i lavoratori, o la UE che impone tagli e un governo che li esegue?” (http://www.senzatregua.it/?p=2390).

Il decreto legge con “misure urgenti per la fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione” inserisce musei e beni culturali nella lista dei “servizi pubblici essenziali” per cui la libertà di sciopero è limitata. Le modalità di esercizio del diritto di sciopero verranno quindi costrette nella gabbia della L. 146/1990 così come modificata dalla L. 83/2000.

Secondo tale soggetti che proclamano lo sciopero devono comunicare almeno 10 giorni prima dello stesso alle amministrazioni, alle imprese che erogano il servizio e all’autorità competente ad adottare l’ordinanza di precettazione durata, modalità e motivazione dell’astensione collettiva; le regole del preavviso o dell’indicazione della durata non si applicano in casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale.

In particolare, nei confronti dei lavoratori dei servizi pubblici essenziali può essere utilizzata la precettazione, su iniziativa del prefetto o dallo stesso presidente del Consiglio stesso: con tale provvedimento amministrativo straordinario si impone il termine – o la cancellazione – di uno sciopero. Ad esempio, lo sciopero dei trasporti indetto dall’USB nel giorno della riapertura delle scuole a Roma una settimana fa è caduto sotto la precettazione di Gabrielli e non si è svolto!

Dopo  la norma di stampo securitario-israeliano che prevede 5 anni di carcere per chi si copre il volto nelle manifestazioni politiche (senza peraltro prevedere d’altro lato la garanzia che gli elementi delle forze antisommossa siano identificabili) viene messo sotto lo stivale poliziesco anche l’esercizio del diritto di sciopero, previsto dall’art. 40 della Costituzione, non dall’egoismo del lavoratore.

Appare evidente che qualificare un sito museale come “servizio pubblico essenziale“, soprattutto allorquando si limitano le libertà civili del cittadino, è una forzatura costituzionale bell’e buona, quanto quella di dichiarare un cantiere ferroviario sito di alta sicurezza. A quando l’inclusione nel concetto di servizi pubblici essenziali anche le manifestazioni-vetrina del potere o delle multinazionali, quali l’expo, le uscite pubbliche del Presidente del Consiglio, i supermercati, gli autosaloni e le fabbriche automobilistiche, magari anche la Festa del PD? In tal modo, nel caso in cui non si paghino i lavoratori interessati, si potrà sempre impedir loro qualsiasi sciopero… E’ evidente, al di là della provocazione non così peregrina, che questa concezione “securitaria” finisce per svuotare del tutto l’effettività dei diritti fondamentali previsti nella nostra Carta.

Tale operazione di egemonia culturale svela anche quale sia la concezione dei servizi pubblici essenziali che i migliori amici del padrone al governo cercano di veicolare.

Quando il ministro Franceschini conciona con voce arrogante e padronale che d’ora in poi si impegnerà perchè i luoghi museali come il Colosseo (sinora spesso addobbati e gestiti sinora come esche da turismo di massa e profitto bottegaio anzichè come stimolo di crescita culturale) divengano “servizi pubblici essenziali” esplicita la dittatura padronale sui rapporti sociali.
Volete la prova? Basti notare come quelli che veramente costituiscono i servizi pubblici essenziali per ogni standard minimo di collettività chiudano o vengano svenduti uno dopo l’altro con la solita scusa di non poterli mantenere.

A Torino CHIUDERA’ GLI OCCHI L’ OSPEDALE SPECIALISTICO OFTALMICO, insieme al suo Pronto Soccorso.

Per la Delibera della Giunta Regionale, l’Oftalmico, lungi dall’essere un  servizio essenziale, è addirittura un lusso (DGR 1-600,http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2014/48/suppo1/00000141.htm ) non essendo più previsto nelle nuove tabelle dei posti letto assegnati.

Mario Vitale, segretario regionale Piemonte Anaao Assomed, dopo aver visionato la relazione sull’attività svolta dall’ospedale nel 2004 (reperibile qui: http://www.quotidianosanita.it/piemonte/articolo.php?articolo_id=27091 ) è di parere del tutto contrario: “Chiudere un Ospedale come l’Oftalmico può essere necessario per due ordini di motivi. Il primo è perché lo si giudica superfluo. Eppure leggendo i dati della relazione 2014, non sembrerebbe proprio. 14.634 interventi chirurgici, 53.084 passaggi in Pronto Soccorso e 61.020 prestazioni ambulatoriali non sono cifre trascurabili. E, come al solito, si parla di chiusure ma nessuno dice quali altre strutture sanitarie dovranno farsi carico della mole di lavoro svolta oggi all’Oftalmico. Quindi o si dice chiaramente che a Torino le prestazioni oculistiche verranno consegnate ai privati e le prestazioni del Ssn diventeranno una chimera, o si conclude che l’Oftalmico non è superfluo.” (VITALE, Piemonte: L’Ospedale Oftalmico di Torino ma è veramente un lusso? http://www.quotidianosanita.it/piemonte/articolo.php?articolo_id=27091.

Sui numerosi passaggi in Pronto Soccorso, il primario Claudio Panico ne spiega su “La Stampa” la ragione:  «C’è chi arriva con traumi importanti o chi ha solo una congiuntivite […] tanti vengono da noi perché non riescono a prenotare una visita oculistica in tempi ragionevoli. A volte bisogna aspettare anche 6 o 7 mesi. Noi, nel giro di poche ore, dobbiamo sopperire a quelle carenze».  (http://www.lastampa.it/2014/12/09/cronaca/oftalmico-in-chiusura-di-noi-che-ne-sar-ELsonONfSItrnvG7a6ZQOP/pagina.html ).

L’Oftalmico svolge dunque quel servizio “essenziale” che la sanità, di volta in volta depauperata dalla politica e dagli interessi privati in agguato, non riesce più a svolgere.

Quando si parla invece di “antieconomicità”, si entra in uno spazio grigio in cui suona la usuale litania per la chiusura delle strutture pubbliche od il taglio delle spese sociali: il patto di stabilità, i limiti di bilancio, la razionalizzazione, ecc. , solito pensiero unico che nasconde la preferenza di interessi di diverso tipo veicolati dalla gabbia dell’UE e delle lobby private.

D’altronde, nemmeno su questo si dice il vero: spesso chiudere strutture specialistiche fornitrici di un servizio non è nemmeno un risparmio per il portafoglio pubblico, ma un ultriore spreco che inciderà sull’efficienza della macchina pubblica e artificialmente porterà acqua ai pozzi di quelli che chiedono privatizzazione anche nella sanità.

Sempre Vitale – che non è un pericoloso estremista o sabotatore – ricorda: “Chiudere un ospedale in cui funzionano 5 sale operatorie e dove sono già state fatte spese di modernizzazione, quanto fa risparmiare? Creare nuovi spazi in altri ospedali e adeguarli alle nuove attività, quanto costa? E trasferire alcune apparecchiature e ricomprarne la maggior parte che, come sempre, viene considerata inutilizzabile, è davvero un risparmio? Per non parlare poi dei bisogni dei cittadini di cui in tanti si riempiono la bocca ma poi diventano l’ultima delle preoccupazioni.” (VITALE, cit.).

Il servizio sanitario – è bene ricordarlo ai nuovi teorici dei servizi pubblici essenziali –  non è un’azienda  dove un ramo improduttivo può essere tagliato se non dà i profitti sperati. Concordando con le riflessioni di Vitale, chi richiede una prestazione sanitaria, mediamente l’ha già ampiamente pagata con le tasse: “La Sanità non deve produrre ricchezza bensì deve essere un servizio gestito con oculatezza, senza sprechi, ed essere compatibile con i bilanci statale e regionali. A quello che è dato sapere l’Ospedale di via Juvarra ha i conti in ordine e quindi niente sprechi evidenti.” (VITALE, cit.)

Tutto questo fervore nello studio dei bilanci non ha peraltro portato i furbi operatori dell’Assessorato Regionale a produrre dati e analisi sulla questione oftalmico: “Perché nessuno in Assessorato ha mai mostrato uno straccio di preventivo di spesa e i reali risparmi ipotizzati nel piano di riordino, malgrado i nostri continui solleciti? Perché si evita accuratamente ogni utile confronto con i sindacati medici? Spiegateci quanto risparmieranno i cittadini a rinunciare all’Oftalmico, quali Ospedali lo sostituiranno e con quali mezzi.” (VITALE, cit.)

“Servizio pubblico essenziale”, nella nuova neolingua piddina, sarà dunque non il servizio utile alle esigenze primarie della collettività, ma il servizio che assicura profitti al circo di speculazione in ogni campo del profittabile e così oggi intorno al turismo di massa delle città, per gli occhi di questi turisti che non potranno mai – nemmeno nelle farneticazioni di un economista da presidio psichiatrico – essere la voce principale del PIL o della produzione di una comunità.

Il Colosseo, tirato in ballo dalle “esternazioni” a voci e reti unificate di Renzi e Franceschini, è un pubblico bene in cui però, secondo Alessandro Giannelli, dell’USB Pubblico Impiego Lazio, si deve spiegare perchè “la parte più consistente dei costosi biglietti per l’accesso ai luoghi della cultura finisca nelle casse di società private e non in quelle del Ministero dei Beni Culturali”(http://contropiano.org/lavoro-conflitto/item/32956-usb-perche-buona-parte-degli-incassi-del-colosseo-finisce-in-tasca-a-privati). Servizi, questi, tutt’altro che essenziali…

Anche a volerci intrattenere dell'”essenzialità” del turismo, secondo i dati elaborati dal WTTC, nel 2014 il contributo diretto del settore “Viaggi e Turismo” al PIL italiano è stato di 66 miliardi di Euro, poco più del  4,1% del PIL totale. (http://www.puretourism.it/statistiche-turismo/turismo-italia-2014-impatto-economico/ )

Gli occhi dei cittadini, soprattutto quelli economicamente deboli che non possono permettersi costose cliniche oculistiche private, possono aspettare, in quanto non essenziali.

Il glaucoma del lavoratore sarà una buona causa di licenziamento: tanto più che  licenziare illegittimamente ormai costa poco. Lo si potrà sostituire con un economico membro di questo enorme esercito industriale di riserva in via di costruzione che è composto di giovani disoccupati, immigrati scacciati a forza dai propri paesi dalle guerre degli stessi padroni, fasce di lavoratori dipendenti ed autonomi licenziati ridotti a volte in sottoproletari.

Al di là della comparsa e della comparsata governativa, occorre mai dimenticare e fissare bene in testa chi sono all’origine i responsabili: padroni e loro servi tecnocrati dell’UE, della NATO e degli USA, monopoli finanziari ed industriali, i quali incarnano i loro sanguinari interessi in Italia attraverso quest’incrostazione di potere mai eletta costituita dal Partito Democratico, che sembra guardare ad un ideale futuro simile all’imbelle dittatura portoghese di Salazar. E prendendo il tono dalla rivoluzione portoghese che la demolì, vien bene gridare oggi alle comparse governative tutte: “Quando la dittatura è un fatto, la rivoluzione è un dovere”.

 Enzo Pellegrin  Fronte Unitario dei Lavoratori, membro del collegio di difesa del movimento NOTAV.
21/09/2015

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