A Natale con il reddito di cittadinanza
Vergogna è la parola che pronuncia più spesso quando pensa alla sua condizione. “Ho dovuto superare la vergogna per venire qui a chiedere un pacco alimentare, ho dovuto mettere da parte la vergogna per chiedere il reddito di cittadinanza”, dice Ida Friouichen con un filo di voce, mentre è seduta sul retro dell’emporio solidale di Nonna Roma, un magazzino seminterrato nel quartiere Quarticciolo, periferia est di Roma.
La donna viene in questo scantinato ogni settimana dal 2020 per prendere un pacco alimentare, ma anche per fare la volontaria. “Dare una mano mi aiuta psicologicamente, mi sembra di restituire in parte quello che ricevo con il sussidio”. Ha ottenuto il reddito di cittadinanza sei mesi fa ed è stata aiutata a presentare la domanda proprio da Nonna Roma, un’associazione che raccoglie duecento volontari. “Durante la pandemia venivo a prendere i pacchi alimentari ogni settimana e loro mi hanno suggerito di fare la domanda per il reddito, non sapevo neppure di averne diritto”, racconta la donna che ha lavorato per trent’anni come psicologa e mediatrice culturale.
Quando ha perso suo figlio in un incidente stradale è caduta in una profonda depressione che le ha impedito di continuare a lavorare. “Avevo tutto: un lavoro, una casa, una famiglia. Ma ho perso ogni cosa”, racconta. “La vita mi ha messo di fronte alla verità: se perdi un pezzo del tuo cuore, perdi tutto il resto. Dopo la morte di mio figlio non riuscivo più a fare nulla, era tutto buio per me. Passavo le giornate a letto, mi alzavo solo per mangiare”, ricorda. Per quattro anni non ha lavorato, perché la depressione era invalidante. Ha finito lentamente tutti i risparmi, poi a causa della pandemia anche il marito ha perso il lavoro in un negozio di abbigliamento.
Il governo Meloni ha introdotto delle limitazioni al reddito di cittadinanza nella legge di bilancio
Non riuscivano più a pagare l’affitto e così sono stati sfrattati: nel giro di pochissimo tempo si sono trovati senza soldi, senza una casa e senza un lavoro. “Quando precipiti in una condizioni d’indigenza dopo avere conosciuto il benessere è ancora peggio”, racconta. “Per anni mi sono occupata dei bisognosi alla Caritas, degli stranieri che avevano bisogno di aiuto, poi sono finita anch’io in questa condizione”.
Ida Friouichen ha una sessantina di anni, i capelli raccolti sulla nuca, si sistema la sciarpa verde intorno al collo, parla con un tono serio, ma ogni tanto si concede un intercalare. “Bella mia”, dice, per sottolineare le difficoltà che ha dovuto affrontare. Il reddito di cittadinanza, che percepisce da luglio, le ha permesso di comprare le medicine di cui ha bisogno, non tutte coperte dal sistema sanitario nazionale, e di avere sulla tavola sempre qualcosa da mangiare. Non dorme al pensiero che ora potrebbe esserle tolto.
“Ho un’età in cui non riesco più a collocarmi sul mercato del lavoro e ho diverse malattie che m’impediscono di fare determinati lavori, perciò sto aspettando di poter andare in pensione, ma nel frattempo questo sussidio mi permette di vivere e di curarmi, altrimenti sarei già in ospedale, chissà”.
Verso la revoca
Il 21 dicembre il governo Meloni ha introdotto nella legge di bilancio alcune limitazioni al reddito di cittadinanza (rdc) che entreranno in vigore dal gennaio 2023, in vista della revoca definitiva che è stata annunciata a partire dal 2024. Tra le limitazioni introdotte c’è l’obbligo per che riceve il sussidio di accettare qualunque offerta di lavoro, anche non congrua.
“Non riesco a capire perché Giorgia Meloni si stia accanendo così tanto contro i poveri, contro quelli che non ce la fanno. Il suo pugno duro contro la povertà mi lascia di sasso. Ci devono essere maggiori controlli sul reddito di cittadinanza, certo. Ma ci sono molte persone che fanno fatica, che stanno male e solo in Italia non è previsto nessun sussidio per loro. In questo emporio arrivano ogni giorno decine di persone che non hanno niente da mettere a tavola”.
Secondo l’Inps nei primi undici mesi del 2022 i nuclei familiari beneficiari del reddito di cittadinanza sono stati 1.518.802, per un totale di 3.464.080 persone coinvolte e un importo medio mensile erogato a livello nazionale di 582,26 euro (la sua entità varia a seconda delle caratteristiche del nucleo familiare). Per la maggior parte si tratta di cittadini italiani, gli stranieri con permesso di soggiorno europeo sono 226mila, mentre 88mila sono i cittadini europei. La gran parte dei beneficiari risiede nel meridione e sulle isole.
“Il governo vuole eliminare una misura che si è rivelata indispensabile per il supporto economico alle persone in condizione di povertà”, spiega il presidente di Nonna Roma, Alberto Campailla. “Una misura che invece andrebbe difesa e riformata per renderla maggiormente inclusiva: nel suo attuale disegno il reddito di cittadinanza esclude il 56 per cento dei nuclei familiari poveri in Italia”.
Lo spiega Marina De Angelis, ricercatrice dell’Inapp: “Anche se i mezzi d’informazione ora colpevolizzano i beneficiari l’rdc non era una misura di inclusione lavorativa, ma di contrasto alla povertà”. In questo senso ha funzionato: ha attenuato gli effetti della povertà durante la crisi sanitaria.
“Tuttavia non tutti i poveri sono stati raggiunti”, continua De Angelis. “Secondo un’indagine ci sono ancora tre milioni di famiglie in una condizione di povertà che per diversi motivi sono stati escluse dalla misura. Passando dal reddito di inclusione, introdotto nel 2017, al reddito di cittadinanza sono stati stanziati più soldi, ma è stato ristretto il bacino di utenza, ponendo delle condizioni di accesso che sfavoriscono alcune categorie. Sono penalizzati gli stranieri, le famiglie numerose, per esempio, oppure quelli che non hanno o non possono dimostrare la residenza. E infine c’è sempre un dato di asimmettria informativa: molti infatti non accedono al sussidio perché non sanno di averne diritto. I più vulnerabili, i più marginali non sanno cos’è il reddito di cittadinanza, tanto che dovremmo chiederci se i più poveri tra i poveri siano stati raggiunti da questa misura”, sottolinea De Angelis.
Working poor
In un giorno feriale nella settimana prima di Natale all’emporio solidale del Quarticciolo c’è un via vai di persone, arrivano con carrelli e buste per ritirare un pacco alimentare o fare la spesa: pasta, passata di pomodoro, omogeneizzati per i bambini, biscotti, legumi in scatola.
La frutta si può prendere senza limiti, anche i giochi e i vestiti per i bambini sono gratis. “Ogni mese registriamo un incremento importante delle domande di un pacco alimentare, abbiamo cominciato nel 2020 durante la pandemia e non ci siamo più fermati. Solo nella zona est di Roma distribuiamo al mese più di 2.200 pacchi alimentari”, spiega il responsabile degli sportelli, Massimiliano Larosa.
L’analisi di Nonna Roma coincide con quella generale fatta dall’Istat: nel 2021 erano in condizione di povertà assoluta più di 1,9 milioni di famiglie (7,5 per cento del totale). Nel 2020 si è raggiunto il picco del 7,7 per cento di famiglie in povertà assoluta, più del doppio del 3,5 del 2007. La novità degli ultimi quindici anni è l’emersione dei cosiddetti working poor, coloro che pur lavorando (o pur percependo una pensione) non riescono ad arrivare alla fine mese per il livello basso dei salari (e delle pensioni) e la precarietà dei contratti di lavoro.
“Il tema del reddito di cittadinanza ci pone davanti anche alla questione del lavoro: sono molti coloro che, pur avendo un lavoro, si trovano a rischio di povertà a causa del livello troppo basso del salario e della precarietà”, continua Campailla, che ha organizzato a Roma un seminario di tre giorni sul tema, con politici ed esperti. “Uno dei problemi dell’rdc è che è una misura sia contro la povertà sia per favorire le politiche attive del lavoro, ma questa combinazione non funziona”.
Jessica Leccese per esempio ha trent’anni, è di Pescara, lavora da quando ha sedici anni nel settore turistico della sua città: ha fatto la cameriera, la magazziniera, la barista. “Non mi sono tirata indietro davanti a niente”, racconta. Sempre contratti precari e sottopagati: “Sono arrivati a offrirmi mille euro o poco più per lavorare dodici ore al giorno”, racconta.
I debiti e la mancanza di lavoro lo hanno portato sul lastrico
“Ho sempre lavorato, ma ho avuto un bambino cinque anni fa e lo sto crescendo da sola. Non ce la farei, sinceramente, senza l’aiuto di mia madre a pagare l’affitto”. Anche lei da settembre percepisce il reddito di cittadinanza, perché non riusciva a trovare un lavoro che si conciliasse con il tempo di cura del figlio. “Ma percepisco un reddito di cinquecento euro ed è troppo basso, così sto cercando un lavoro che mi permetta di non dipendere più da mia madre e anche di stare con mio figlio”, continua.
Francisco Fonseca, 62 anni, ha lavorato per una vita nei cantieri navali in Liguria. “Un lavoro massacrante, ma ben pagato”, racconta. Poi ha deciso di cambiare lavoro per stare più vicino alla famiglia e si è messo in proprio, facendo trasporti con un camioncino, ma durante la pandemia il lavoro è diminuito e gli sono arrivate da pagare delle cartelle esattoriali esorbitanti.
“Dovevo pagare 35mila euro di arretrati”, racconta l’uomo che è venuto a prendere il pacco in cui c’è anche un panettone per il pranzo di Natale. “I debiti e la mancanza di lavoro mi hanno gettato sul lastrico: mia moglie è casalinga ed è più anziana di me, ha 67 anni. Se non avessimo il reddito di cittadinanza e l’aiuto di mia figlia che fa la cassiera, non riusciremmo a vivere. Se dovessero toglierci il reddito non sapremmo davvero cosa fare, come pagare le bollette. Siamo troppo vecchi per lavorare e ci manca ancora qualche anno per poter avere la pensione”, conclude.
Annalisa Camilli
22/12/2022 https://www.essenziale.it/
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