A porte chiuse. La violenza del CPR di Macomer tra punizioni e razzializzazione

PH: ActionAid

Un report di denuncia a cura di NAGA e rete Mai più Lager – No ai CPR

Martina Cangialosi 1

«Il giorno xxx, più di 17 carabinieri sono entrati nel blocco C, camera 20 alle 3:30 del mattino. Un tunisino ha rifiutato di tornare in patria ed è stato massacrato da tre o quattro (agenti, n.d.c.): quando si stancava un carabiniere di colpire è il turno dell’altro e così per quasi quattro ore di tortura e abuso di potere davanti all’ispettore di polizia e il responsabile della polizia di turno».

Si apre così A Porte Chiuse 2, il nuovo report di denuncia dell’associazione Naga e della rete “Mai più lager –  No ai CPR”, in cui le due realtà denunciano le principali criticità del Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) di Macomer (NU). Il documento è il risultato di un lavoro lungo e articolato, che riunisce informazioni ed elementi emersi dalle segnalazioni telefoniche ricevute dal Centralino SOS CPR del Naga Odv e dal sopralluogo effettuato il 23 marzo 2024, durante il quale la delegazione ha ascoltato le testimonianze dirette delle persone migranti.

Oltre a quella riportata sopra, i volontari del Naga e della rete “Mai più lager” hanno raccolto tante altre denunce allarmanti, che hanno confermato l’urgenza di un accesso presso la struttura sarda. Dalle diverse dichiarazioni ricevute, è emerso lo strapotere del personale dell’ente gestore (la cooperativa sociale Ekene che ha recentemente ottenuto l’amministrazione del Cpr di Milano), la presenza all’interno della struttura di un reparto di isolamento utilizzato con scopi punitivi e per rinchiudere le persone con problemi psichici, l’uso di sedativi nel cibo e di spray al peperoncino contro le persone trattenute.  

Il CPR si trova a Macomer, una cittadina di 9.000 abitanti nell’entroterra della Sardegna, alla fine di una zona industriale e invisibile alla maggioranza della popolazione. La struttura del Cpr, che in origine era stata progettata per un istituto penitenziario, conserva ancora le caratteristiche architettoniche di un carcere di massima sicurezza, con mura alte cinque metri sormontate da barriere di filo spinato. La sensazione di essere in un carcere si prova anche dall’interno della struttura, dove la delegazione ha riscontrato una scarsa manutenzione dei locali interni, la mancanza di ogni tipo di attività ricreativo-culturale e di un’area dedicata alle funzioni religiose.

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Una delle principali criticità del centro di Macomer emersa durante il sopralluogo è “la carenza di assistenza legale e il mancato accesso ad altri diritti, in particolar modo a quello di comunicazione con l’esterno”. È il caso di J.M., cittadino somalo, che, una volta entrato nel Cpr, ha fatto domanda di protezione internazionale, poi rigettata dalla Commissione Territoriale. Questa decisione, però, non è stata impugnata nei termini previsti dalla legge, il che mostra come il livello di assistenza legale nel centro sia inadeguato nell’informare le persone su come far valere i loro diritti.

In seguito al trasferimento nel Cpr di Ponte Galeria, J.M. ha avanzato una nuova domanda di protezione internazionale grazie alla quale il Tribunale di Roma lo ha rilasciato, ritenendo che le probabilità di ottenere una risposta positiva siano elevate, considerando la situazione geopolitica della Somalia, suo Paese di provenienza.

Oltre alla mancanza di assistenza legale, si riscontra la carenza di adeguate cure mediche all’interno del centro, sia per quanto riguarda la salute fisica sia per quella mentale. Nel report viene ricostruita la vicenda di D.I., un uomo di origine algerina che, dopo un atto di autolesionismo, è stato isolato in una stanza completamente spoglia, dotata solo di un materasso a terra e di un televisore. L’isolamento è stato previsto su prescrizione medica per tutelare la sicurezza della persona, ma, in realtà, questa collocazione la pone in uno stato di abbandono totale e la presenza nella stanza di un calorifero con lamiere taglienti in bella vista rende inefficace tale misura.

Il medico della delegazione, Nicola Cocco, ha sottolineato come alcune caratteristiche del CPR di Macomer nella gestione delle problematiche legate salute mentale mostrano «dei segni di possibile deriva manicomiale». Cocco ha inoltre riscontrato diversi casi di persone detenute con disturbi psichiatrici che dovrebbero essere dichiarate non idonee alla vita ristretta nei CPR ed essere prese in carico dai servizi territoriali di salute mentale (secondo l’art. 3 della Direttiva del Ministero dell’Interno del 19/05/2022). «I Cpr sono luoghi assolutamente inadatti alla costruzione di percorsi di cura in termini post-basagliani» recita il report, «al contrario, la persistenza di sofferenza mentale, psichiatri presenti in maniera sporadica e utilizzo massiccio di psicofarmaci a scopo sedativo in un contesto di detenzione pone le persone detenute sulla china della già citata deriva manicomiale».

Per ricostruire gli episodi di violenza e di violazione dei diritti emersi nelle segnalazioni telefoniche al centralino, gli attivisti e i legali del Naga hanno dovuto richiedere insistentemente l’accesso al registro degli eventi critici, un documento che viene inviato dall’ente gestore alla Prefettura e che, inizialmente, il personale non era stato in grado di mostrare in maniera esaustiva. Una volta ottenuto l’accesso alla documentazione, questa si è rivelata incompleta, tanto da non tenere traccia, ad esempio, dell’incendio avvenuto il 24 marzo scorso che ha reso inagibile parte della struttura e costretto il trasferimento di alcuni ospiti in altri Cpr.

Lo stesso documento non fa alcun riferimento agli episodi di violenza verso le persone trattenute da parte delle forze dell’ordine e degli operatori dell’ente gestore, riportati sia al centralino sia durante la visita del 23 marzo. Ad esempio, il lungo pestaggio menzionato all’inizio dell’articolo, avvenuto ai danni di una persona tunisina la notte tra il 14 e il 15 novembre 2023, secondo il registro degli eventi critici non sarebbe mai accaduto. 

Eppure un riscontro dell’evento si può individuare sia dalla denuncia depositata da una delle persone migranti una volta trasferitasi in un altro Cpr sia dall’elenco delle presenze nella struttura fin da quando Ekene ne ha assunto la gestione. In questo documento i nomi delle persone citate, come testimoni o vittime del pestaggio, corrispondono, anche per nazionalità, alle persone presenti quelle notte nella stanza dove si trovava il cittadino  tunisino, che «avrebbe subito quattro ore consecutive di quelle che, se confermate, possono essere senza dubbio definite come vere e proprie torture». 

Nel corso dei colloqui avvenuti durante la visita, due persone migranti hanno consegnato ai volontari della delegazione una memoria scritta, in cui hanno raccontato gli avvenimenti del centro nei mesi precedenti. In questi documenti viene citato, oltre al gravissimo episodio di pestaggio del novembre 2023, un ulteriore episodio di violenza avvenuto ai danni di un cittadino somalo, che, successivamente, ha deciso di presentare formale denuncia.

Le due memorie, pur con toni e dettagli diversi, confermano lo stato di degrado e disagio in cui versa il Cpr constatato dal Naga e dalla rete “Mai più lager” durante il sopralluogo. Oltre alle violazioni sistematiche dei diritti dei trattenuti, i documenti menzionano atteggiamenti razzisti e violenti da parte degli operatori del centro nei confronti delle persone provenienti dall’Africa Subsahariana.  

Pestaggi e aggressioni, insieme all’uso indiscriminato di farmaci sedativi, non costituiscono una novità, ma sono parte integrante del quadro di violenza sistematica che rappresenta lo strumento principale di gestione di questi luoghi, come è già emerso da un ulteriore rapporto del Naga e della rete sul Cpr di Milano 3 o dall’inchiesta di Altreconomia sull’abuso di psicofarmaci 4

Un degrado igienico-sanitario, ma anche sociale, culturale e psicologico […] che si ripresenta in tutti i centri di permanenza per il rimpatrio, comunque denominati, da oltre 25 anni, ovunque dislocati e da chiunque gestiti”.

Così si conclude il report, che termina sottolineando l’importanza e l’urgenza della chiusura immediata di questi luoghi di sofferenza e ricordando le oltre 40 persone che hanno perso la vita nei Cpr italiani negli ultimi anni.

  1. Sono laureata in Lettere all’università degli Studi di Milano e da parecchi anni scrivo articoli e racconti su diverse tematiche sociali, in particolare nell’ambito della migrazione. Nel dicembre 2023 ho pubblicato un podcast sulle problematiche del carcere e le misure alternative ↩︎
  2. Leggi il rapporto ↩︎
  3. Leggi il rapporto ↩︎
  4. Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani – di Luca Rondi e Lorenzo Figoni – Aprile 2023 ↩︎

29/10/2024 https://www.meltingpot.org/

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