G.U.A.I. a chi ci tocca

Nel corso dell’ultimo anno un grido potente ha attraversato il pianeta e in tutte le lingue del mondo ha affermato con determinazione: «sorella io ti credo».

Un’istanza di ricomposizione che è anche una necessità vitale: ancora oggi, infatti, siamo costrette all’onere della prova quando facciamo emergere una molestia o una violenza, quando affermiamo che certi atteggiamenti non ci fanno ridere, quando nelle aule dei tribunali ci ritroviamo nella condizione di essere più dettagliate di chi siede al banco degli imputati oppure quando, nella quotidianità delle nostre vite, proviamo a incidere su scambi e relazioni tuttora segnati da dinamiche gerarchiche, di subalternità, non paritarie e sessiste.

Nel pieno del movimento femminista globale – esploso nel 2016 e oramai radicato in tantissimi paesi nel mondo – ci siamo ritrovate ancora nella possibilità di farci forza le une con le altre facendo uscire allo scoperto un sommerso quotidiano fatto di molestie, discriminazioni e ricatti attraverso canali nuovi come la campagna italiana #quellavoltache e l’internazionale #metoo. Un vissuto che ha portato all’attenzione della scena pubblica e mediatica il sistema di assoggettamento quotidiano cui siamo sottoposte e che ha trovato nel variegato mercato del lavoro contemporaneo terreno fertile da cui partire per raccontarsi.

Dalle testimonianze delle studentesse nell’alternanza scuola-lavoro, alle esperienze delle lavoratrici impiegate nelle grandi catene del commercio e della ristorazione, il #metoo ha rotto le catene dell’isolamento e della solitudine smascherando il sistema che usa le disparità di potere e quelle economiche-sociali per ricattare, discriminare e molestare e, contemporaneamente, utilizza le molestie, le discriminazioni e i ricatti legati al genere per fissare e riprodurre quelle stesse disparità. Così, mentre nel settembre del 2018 negli Stati Uniti le lavoratrici di McDonald’s hanno concluso uno sciopero in dieci città contro le molestie sessuali sul luogo di lavoro e le discriminazioni legate al genere, in Italia l’ultima ricerca condotta dall’Istat in materia (relativa al 2016) afferma che sono 1 milione e 403 mila le donne tra i 15 e i 65 anni ad aver dichiarato di aver subito molestie e ricatti sessuali nell’arco della loro vita lavorativa. Numeri parziali, che ignorano la voce di chi non ha denunciato, così come le loro ragioni: la povertà e l’attacco sferrato negli ultimi anni ai diritti e alle tutele contrattuali (il Jobs Act in questo senso ha un ruolo-chiave) hanno, infatti, enormemente aumentato la ricattabilità economica e sociale delle donne e di chi è più ‘vulnerabile’ sui luoghi di lavoro, esponendo corpi e vissuti alla crescente spirale di potenziali molestie, violenze e discriminazioni.

 

Con il #metoo in centinaia di migliaia abbiamo voluto rovesciare l’ordine del discorso dominante, facendo diventare il portato di ognuna esperienza condivisa e riuscendo a intessere una potente trama collettiva: dalle mura domestiche ai rapporti di lavoro (e non lavoro), dalle strade delle nostre città al mondo della formazione e della ricerca, una marea di testimonianze parziali e soggettive hanno spalancato le porte alla possibilità di inventare nuove pratiche di resistenza, mutualismo e solidarietà. Di fronte a tutto questo, infatti, il #metoo si è presto trasformato in #wetoogether, ulteriore canale di riconoscimento tra tante e diverse ma anche possibile strumento di organizzazione comune, di invenzione di pratiche solidali, mutualistiche, di vicinanza e complicità. Perché sappiamo che «se toccano una toccano tutte» e vogliamo impegnarci affinché nessuna resti sola di fronte alla frammentazione, alla competizione e ai ricatti della precarietà esistenziale.

Per questo, e per dare centralità alle relazioni di solidarietà e complicità tra tante e diverse, vogliamo mettere a verifica il nostro approccio femminista intersezionale e sperimentare un nuovo campo di intervento su questi temi, puntando alla riproducibilità di un’intuizione figlia del movimento femminista globale.

G.U.A.I. vuole dar vita a una molteplicità di strumenti per far emergere molestie, violenze e discriminazioni e contrastarle sui luoghi di lavoro e non lavoro, sperimentando pratiche di autodifesa femminista, mutuo soccorso, autotutela legale, sindacale e sociale.

G.U.A.I. intende dichiarare guerra a chi molesta, tocca, strattona, sbeffeggia e minimizza per aprire un ragionamento collettivo sul consenso e sulla possibilità di vivere e attraversare liberamente le nostre città che si presentano ostili, segnate dalla paura del tornare a casa da sole e dalla retorica di chi ci vorrebbe silenti vittime passive.

G.U.A.I. intreccia i saperi femministi e le strategie di lotta del sindacalismo sociale, connettendo e permettendo uno scambio tra il laboratorio Infosex e le Camere del Lavoro Autonomo e Precario di Roma, con la consapevolezza che sfruttamento, oppressione e violenza passano non solo per le linee del genere, ma anche per quelle della classe, del colore, dell’orientamento sessuale, dell’età, dell’abilità.

G.U.A.I. crea problemi, produce imprevisti, trasforma in forza collettiva povertà e isolamento. Per girare libere nelle città e sentirci al riparo da sguardi molesti e condotte prevaricatrici, per riprenderci la notte e anche il giorno, per rispondere alla battutina o al commento sessista che «no, non fa ridere», per ballare da sole, per flirtare come desideriamo e con chi vogliamo noi.

G.U.A.I. rivendica reddito di autodeterminazione: individuale, universale e sganciato dalla prestazione lavorativa coatta. Per poter rispondere a ogni tipo di ricatto legato al contesto lavorativo, per contrastare lo sfruttamento e gli infiniti lavoretti di merda a cui siamo costrette per (soprav)vivere. Per essere indipendenti e autonome e poterci sottrarre ex ante da relazioni violente e garantirci, allo stesso tempo, la possibilità di farlo se le viviamo.

G.U.A.I. è in agitazione permanente.

G.U.A.I. è cura di sé, G.U.A.I. si tocca solo con piacere.

Pagina FB del progetto: @Guaiachicitocca

13/2/2019

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