A.S.M.A. Ansimare senza mai arrendersi

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Libro di Delfo Burroni

Recensione del libroe intervista all’autore

Ansimare Senza Mai Arrendersi: A.S.M.A. Non ho remore nel definire questo agile testo come obbligatorio, per chiunque. Delfo è un asmatico critico, un asmatico anarcocomunista. Curioso della vita e di tutto, utilizza questa sua qualità per illustrare, attraverso la sua vita di asmatico, come il mondo intero sia asmatico, come questa società sia in sé asmatica, malata come lui. Senza fiato, col fiato corto, con la paura che ogni volta torna di non farcela.

L’Autore ci insegna come si possa affrontare la vita con il fardello dell’angoscia, senza che questo peso opprimente tolga la possibilità di una vita vissuta, vissuta contro. Diceva il poeta: “in direzione ostinata e contraria”, mi fa immaginare che si siano incontrati e che il motto altro non sia che la descrizione che Faber fa di Delfo Burroni.

Leggo questo libro come una critica senza appello al modello capitalista che impone l’arraffare, impulsivo e obbligatorio, in tutto e sempre, come stile di vita. Una mancanza di fiato che accomuna tanto i privilegiati, obbligati a competere sino all’ultimo respiro perché il loro privilegio si perpetui, quanto i marginali, a loro volta costretti all’affanno dal dover risolvere il bisogno che li opprime.

Burroni non tralascia un esame accurato della propria patologia, intrecciata allo scorrere della sua vita, tra mille affanni, sempre alla ricerca di una boccata d’aria. Una vita iniziata da subito con la mancanza d’aria. Impariamo da lui molto, quasi tutto, sull’asma. Impariamo che siamo privilegiati e non lo sappiamo. Delfo, con grazia e bella scrittura di getto, ce lo ricorda. Grazie.

Intervista a Delfo Burroni

LeS: Leggerti è un piacere: le parole scorrono lasciando in chi legge un ricordo preciso e la tua vitalità sgorga ad ogni frase. Cosa ti ha spinto a scrivere e poi pubblicare?

D.B.: Grazie del complimento. Non penso di essere un bravo scrittore ma cerco di essere utile e stuzzicare pensieri. Sono di animo vitale e satirico si, l’ ho
imparato e me lo tengo stretto per scelta etica. È uno stato caratteriale che mi ha fatto affrontare la malattia col sorriso, mi ha fatto alzare da un letto di un ospedale con determinazione, e me lo tengo stretto per alzare la cresta oggi.

LeS: Nel libro ti esponi mettendoti a nudo senza reticenze o, almeno così mi è parso; quanto costa parlare di sé senza veli?

D.B.: Un tempo avevo paura della maestra, e mi sono vergognato di cagare in pubblico e farmi pulire il culo da una mandria di infermieri. Poi ho dovuto capire che nella vita si caga tutti e che il pudore è solo una forma di controllo sociale. Le SS tenevano la gente nuda per intimidire lo spirito.
Con la fortuna del senno di poi, preferisco forgiare lo spirito e non nascondermi dietro ad un dito.
Si deve nascondere chi calpesta le liberà, non chi la esercita. Certo i problemi non tardano a bussare ma nascondersi vuol dire concedere ulteriore territorio all’autoritarismo. Sono troppo orgoglioso per farlo. E poi tanto a questo punto della storia o la va o la spacca. Perciò ben venga uno scontro di Diritto prima di ritrovarsi tutti su un treno diretto in Polonia.

LeS: l’idea di leggere la tua patologia come la malattia della nostra società è molto interessante. Essere anticapitalista è per te del tutto naturale: la lotta la vivi sulla tua pelle, cosa diresti a coloro che sostengono che il capitalismo è una forma naturale di società?

D.B.: Magari. Non è affatto naturale. Il capitalismo ci condiziona nell’inconscio, ci rende cinici fino all’autolesionismo. Ed estirparlo è un impegno che richiede di lavorarci, coltivarsi per tutta la vita.
Però intanto mi son dato la sveglia, è stato facile:
Basta trovarsi in codice rosso con lo stipendio in tasca e scoprire di non poter comprare l’aria. Lì capisci che il denaro non è un bisogno fisiologico ma solo un ricatto. Un tempo il capitalismo fu anche utile. Dette uno slancio alla civiltà. Oggi è limitante per il progresso. Se una cosa, ad esempio un acquedotto mondiale o un vaccino, serve al progresso comune, si dovrebbe poterla fare punto e basta. Senza distrarsi a cercare i fondi o competere.

Sia chiaro il mio non è il tipico discorso borghese del “volere è potere”.
Ho vissuto senza un euro, mangiato tarassaco, bruciato sedie e curato i denti col garofano. E sto messo così nella merda ancora oggi.
Non è superficialità borghese, l’ho proprio presa come una sfida questa vita.

A chi crede nel capitalismo rispondo con una sfida: provi a lavorare abbastanza da comprare altri 36.500 giorni di vita e poi pubblichi le prove se ci riesce. Io nel frattempo mi godo i sentimenti da poveraccio, ogni istante, ogni respiro. E trombo gratis.

LeS: Ironia e sarcasmo abbondano nel tuo libro, mi viene d’immaginare che siano costanti anche nella tua vita. Può, questo modo di affrontare il mondo, essere considerato una modalità di critica contrapposta a una retorica pomposa e di rigidità impolverata di certa sinistra di esprimersi?

D.B.: Certamente. Più che una critica è una sfida.
Anche il linguaggio scurrile ne fa parte.
Demarca subito la diferenza tra chi si ferma alla forma e chi invece coglie con empatia la sostanza.
Mentre la classe dirigente e le sardine democristiane si dissociano dall’estremismo perché tanto il frigo c’è l’hanno pieno comunque, il resto del mondo bestemmia per campare.
È già un distinguo di classe. Uno schierarsi.

LeS: Dal tuo libro pare emergere una visione dell’essere, in quanto soggetto, libero di scegliere tra passivo assoggettamento allo statu quo e una contrapposizione attiva contro l’ordine capitalista della società. Secondo te, giungere a questa consapevolezza di libertà, è dovuto all’esperienza del dolore (e all’angoscia che ne deriva) o ad altri fattori quali, per esempio, il livello culturale raggiunto o, ancora, a fattori ambientali come le relazioni personali o altri ancora?

D.B.: Sia chiaro non sono così illuso e viziato da pensare che “volere è potere” e si possa essere come ci pare. Siamo schiavi, è indubbio.

Salto i pasti, dormo al freddo, non mi curo quasi più. La mia non è una scelta per essere cool e Trandy, è una sfida di necessità. Quanto riesco a sacrificare pur di disobbedire? Preferisco uno stipendio per staccare la luce ai pensionati morosi o patire la fame dormendo con la mia coscienza?
Molti compagni di degenza ospedaliera mi hanno fatto capire che è meglio morire di fame che con dei morti sulla coscienza.

Che poi bbiano contribuito anche la cultura ricevuta e altri fattori si, certo, è sempre un insieme. Ma in realtà penso basti un po’ di orgoglio e voglia di sfidare la vita. Sarà la paura di finire in depressione, boh. Non saprei. Mi piacerebbe dibatterne.

LeS: La questione di classe quanto incide nell’esperienzialità del malato? Chi ha più mezzi vive meglio di chi è meno privilegiato la propria condizione patologica di vita?

D.B.: Certo. Mica riceviamo le cure migliori. Quelle le riservano ai ricchi. A noi ci curano in batteria come polli, al costo più basso possibile e ci scaldano il cibo nella plastica. Entri con un raffreddore ed esci con una leucemia.

E non è colpa dei medici. È il capitalismo bellezza. Ci condiziona tutti fino alla morte.
Mente i ricchi hanno interi reparti a propria disposizione a noi ci curano con un infermiere ogni 30 pazienti.

LeS: Delfo Burroni, dopo A.S.M.A., ha in animo altre prove letterarie?

D.B.: Si più di una. Ho un libro quasi pronto che è prettamente tecnico. Un sunto di Linux, Android, WordPress e altri strumenti, in un kit ragionato per artisti emergenti e mutualismo online.

E poi sto scrivendo “il trasloco”. Un’altra metafora sul mondo in cambiamento.

LeS: Ciao, auguri e alla prossima occasione se, come mi auguro, verrà. Vuoi dire qualcosa ancora ai lettori di Lavoro e Salute?

D.B.: Si. Bangarang.
Ciao a voi e grazie per la chiacchierata. Mi fa sentire meno solo.

A cura di Elio Limberti

Collaboratore redazione di Lavoro e Salute

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