A-social

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Parlando di Social Network dovrei fare un pippone accademico su cosa siano i Social e sulle differenze tra Facebook (spionaggio) e Tik-Tok (il coccodrillo). Se vi interessa la tematica trovate ottime nozioni in tutto il web, io mi rifiuto di fare il professore dell’ovvio, specialmente qui.

Preferisco dirvi che sono comunissimi siti web identici a tanti altri, nel senso che sono tutti fatti sostanzialmente con PHP, JavaScript, HTML e poco piú, con la differenza che la gente vi si è ammassata cadendo in una tossicodipendenza da radiazioni luminose e paranoia programmata.

Il nome stesso, Social, è mendace. Nella stragrande maggioranza dei casi la popolazione ha rinunciato alla socialità per restare incollata ad un monitor senza mai trarne reale beneficio.

Avremmo dovuto abbattere i confini, sostenere sindacati giapponesi, anarchici americani, o per lo meno organizzare un gigantesco baccanale internazionale che se proprio si deve morire di coVid almeno prima si gode un po’, e invece ci troviamo a guardare il vicino di casa in mutande, fare i delatori come una beghina dell’era fascista (pensate al vizio di segnalare pagine in massa anziché avere il coraggio di scontrarvisi) o peggio parlare di un “coglioncino”, bene o male ma dandogli comunque visibilità. Ovvero: dalla storia non abbiamo imparato una beneamata ciolla anche se crediamo il contrario.

Per continuare questo post devo chiarire un punto: la guerra tra individualismo e collettivismo. L’individualità è sacra ma non ha niente a che vedere con l’individualismo che è, in soldoni, egoismo.

Non stupisco quindi che i partiti del “prima io” abbiano sempre piú voti. Non c’è educazione alla socialità, men che mai qualcuno che ne dia esempio.

Siamo tutti presi a far conoscere le proprie opinioni, le proprie realtà, le proprie pubblicazioni, a far sapere a Google i fatti nostri. Chiediamo agli altri di partecipare venendo da noi. Dovremmo usare il nostro tempo per partecipare alla vita altrui. Uscire dal corporativismo ed interessarci ad ambienti che non ci riguardano, per il mero gusto della solidarietà (materiale e non decantata).

Mi viene in mente “Il Pane e le Rose” di Lidia Menapace. L’importanza di una tavola conviviale ove dibattere in libertà. Tutti alla pari.

Meno di un lustro fa ho avuto il piacere di bere qualche birra con lei e mio padre rivivendo un dibattito ed un tipo di socialità che stiamo perdendo. Immaginerete forse la mia malinconia nello scrivere. Ora che sono morti entrambi sento la necessità di tramandare almeno la parte più importante dei loro insegnamenti. Delle loro battaglie.

Adesso poi, nell’era CoVid, la socialità, Il collettivismo, vengono ancor più schiacciati da un individualismo sempre più potente. E noi, troppo presi dal lavoro e dai problemi non ci diamo il tempo di tramandare quasi niente. Le nuove generazioni non avranno più la minima idea di cosa voglia dire “socializzare”. I social non lo permettono. Non c’è incrocio di sguardi, non c’è intesa, non c’è un abbraccio, e temo che con la paura delle pandemie scompaia persino il buon vecchio joint.

Perciò mi viene spontaneo chiedermi come si possano usare diversamente questi social che, pur infimi, potrebbero avere una loro utilità futura.

All’inizio pensavo fosse saggio ridurre il numero di post autoreferenziali e narrativi e puntare ad un uso pratico, costruttivo, che concentrasse gli sforzi su manifestazioni, scioperi, iniziative concrete. Sui sistemi di produzione. Ma interesserebbero solo ai soliti già interessati in quanto già consapevoli.
E non cambierebbe molto.

Poi ho pensato fosse meglio dare un esempio concreto di collettivismo partendo dall’ “io”. Mettendo a disposizione ciò che potevo, in termini di tempo e nozionistica, per aiutare gli altri senza chiedere nulla in cambio. Ma nei pochi casi in cui non mi sono scontrato con la comprensibile paranoia popolare del “questo vuole fregarmi”, ho dovuto comunque rinunciare perché il tempo vola via e non si riesce da soli ad occuparsi di tante persone che non ricambiano.

Così sono tornato ad aiutare un partito che spesso non vuol essere aiutato, e che a mio avviso presenta il difetto di essere statico e stantio e non lavora sulla coscienza di massa, ritrovandomi al punto di partenza.

Ho passato molto tempo a riflettere, fino a che mi sono chiesto: “ma a me interessano i vecchi che ormai non crescono più?” (E per “vecchi” intendo anche quelli come me nati nel 1980/90).

Se osservate le abitudini di massa dell’era facebookiana fatta per lo più di “vecchi” (i giovani del 2020 usano altri social) vi renderete conto di chi sia la colpa del degrado culturale. Non certo dei giovani nati dal 2000 in poi.

Per loro è normale che un professore pretenda l’alzata in piedi della classe, è ovvio che un prof guardi Facebook o una partita mentre li giudica all’esame. È normale che in una classe non si possa andare vestiti da erotomani o coperti solo da un bodypainting, non si possa fumare, non si possa bere o mangiare durante le lezioni e soprattutto non si possa studiare veramente.

La stragrande maggioranza degli studenti esce dalle scuole senza le conoscenze più basilari di storia e con un livello grammaticale pietoso. E non è certo colpa loro.
Per chiarire il concetto vi basti leggere “lettera ad una professoressa” di Don Milani.

Nessuno, o quasi, dei moderni studenti, e nemmeno dei genitori, si è reso conto che l’importante per il corpo insegnanti, il solo metro di giudizio tra diplomi e bocciature, non è il fatto che tu conosca storia e italiano, ma che tu sia obbediente.

Il ’68 è tutto da rifare. E forse anche il ’48.

Certo, ci sono studenti problematici, balilla prepotenti chiamati “bulli”, ma non sono altro che allievi di questa società.

Quando vedo manifestazioni e lamentele del corpo insegnanti mi chiedo quanti di loro pretendano che gli studenti NON si alzino in piedi, NON diano del “voi”, NON obbediscano, ma si impegnino a leggere l’intero libro scolastico, confrontandolo con il web per mettere in discussione la propaganda scolastica, a cominciare dalla materia “storia”.

Mi chiedo quanti di questi insegnanti diano un insegnamento di disobbedienza consapevole invertendo la logica di assegnazione dei voti. Obbedisci? Un punto in meno. Disobbedisci? Un punto in più.

Ecco: tutti gli altri insegnanti li ritengo colpevoli dell’intero imbarbarimento sociale. Il bullismo è stato insegnato dalle cattedre, da chi pretende obbedienza, pretende rispetto senza guadagnarselo e di coseguenza tramanda una logica di prepotenza verticista e autoritaria. Ed é esattamente quella che poi gli si ritorce contro. Perciò quello che va tramandato comincia dal più elementare “Tutti in piedi quando entra il prof”? Col cazzo.

Torniamo ai social. Come contrastare l’individualismo asociale? A chi dare un esempio di socialità vera, costruttiva? Come tramandare la capacità combattiva?

In tutti questi anni ho visto milioni di post ripetitivi sulle opinioni politiche, sulle vicende di attualità, sulle fake news, ma mai nessun post si è rivolto alle nuove generazioni, nei loro ambienti, dando esempio di disobbedienza e garantendo loro un sostegno.

Questi ragazzi sono soli a combattere contro la scuola. Per quanti consigli vengano dati, nelle aule si trovano da soli.

Nessuno gli ha insegnato a spulciare i regolamenti scolastici, nessuno li ha invitati a fare uno spuntino in classe alla faccia delle regole stupide, a spogliarsi in aula contro il moralismo, a gettare dalla finestra i crocefissi a favore della scienza. A disobbedire con saggezza.

Parto da qui, mettendo nelle mie abitudini quotidiane i gruppi social dedicati alla scuola al posto di quelli dedicati ai partiti, dedicati agli adulti.

La guerra non sarà vinta dalle vecchie generazioni che hanno perso metà dei diritti conquistati, sarà vinta dalle nuove generazioni che stanno per scontrarsi di botto con il nuovo oscurantismo mondiale ed avranno bisogno di nozionistica vera, e di solidarietà social(e).

Ed ora che sono tutti chiusi in casa a studiare via Skype, ora finalmente gli adulti consapevoli possono interagire durante le ore di lezione dando un esempio che vale più di mille consigli, ora più che mai l’aiuto degli adulti può farsi concreto ed il web diventare meno A-social e più utile nella vita. Più solidale.

Immaginate cosa succederebbe se tutti coloro che hanno degli studenti in casa

si mettessero a partecipare a qualche giorno di lezione e cominciassero ad intervenire, facendo saltare il normale continuum dell’indottrinamento, dando esempio ai giovani di come contestare un professore con intellighenzia. Un esempio da partigiani e da sessantottini, come erano Lidia Menapace e mio padre Valerio.

Cosa ci ferma? La paura di perdere un giorno di lavoro? Di creare problemi ai ragazzi? Perché non avremmo comunque domani gli stessi problemi se non facciamo qualcosa adesso? O meglio non vi pare che si abbiano già?

Se non basta nemmeno essere tutti agli arresti domiciliari in attesa del patibolo, con la classe operaia massacrata, il CCNL stracciato e tutto il peggior oscurantismo tornato in voga, cos’altro serve per capire il vero senso della parola “rivoluzione”? Uno Strap-on con le schegge?

Delfo Burroni

Collaboratore di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di dicembre del mensile

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