Abdelmajid

Hattane è una città nella provincia di Khouribga, in Marocco, tra Casablanca e le catene montuose Moyen Atlas, da cui sorgono e si formano a valle alcuni fiumi. Ma Hattane non si erige su alcun fiume.

Abdelmajid è partito da lì, probabilmente qualcuno prima di lui si era avventurato, oppure è stato proprio lui tra i primi a partire verso il continente padrone della storia dell’uomo. Non sappiamo niente del suo viaggio, di come abbia viaggiato, di cosa abbiano visto i suoi occhi e se ha mai provato una qualche forma di paura verso l’ignoto.

La sua abitazione è dentro una vecchia corte contadina, se ne vedono molte nella campagna lombarda, spesso quando non sono ristrutturate da qualche facoltoso, sono abitate da immigrati. Non abbiamo nessuna idea su ciò che pensa mentre lavora o mentre torna a casa la sera, mentre l’umidità del lago avvolge la campagna e le alture adiacenti.

Resterà o starà mettendo da parte dei soldi per tornare a vivere ad Hattane, o semplicemente sta aiutando la sua famiglia inviando dei soldi ogni due o tre mesi? Non sappiamo se sia mai andato a scuola o se sia rispettoso dei precetti dell’islam. Non ci interessa o forse, si, ma non abbiamo tempo per capire la storia di ognuno.

Sappiamo dalle carte impolverate e nelle parole amplificate in un’aula di tribunale che “Quella mattina al primo pezzo in lavorazione, all’atto della discesa del punzone il tampone di nylon si frantumava in più pezzi che venivano proiettati in più direzioni colpendomi al volto in più punti, causandomi traumi e lesioni”.

Contusione della faccia, del cuoio capelluto e del collo escluso l’occhio

– trauma cranico e facciale con multiple fratture massiccio facciale e contusione orbita sinistra. Il referto del Pronto Soccorso dice così.

Ma facciamo dei passi indietro. Abdelmajid è addetto alla tornitura in un’azienda che produce componenti per impianti di condizionamento e riscaldamento industriali.

Non ero dotato di occhiali protettivi o maschera protettiva. “Preciso che le modalità di lavorazione che ho seguito sono quelle seguite da tutti. Nessuno utilizzava occhiali o maschere protettivi durante l’utilizzo della pressa idraulica”.

Quasi sei mesi di infortunio, intervento chirurgico e convalescenza. L’azienda inizialmente lo ha accusato di non aver rispettato una qualche procedura inventata e arrabattata in seguito all’infortunio. Abdelmajid si oppone, si rivolge a un avvocato e alza la testa. Non ci sta a essere preso in giro.

Qualcuno ha esclamato, “vengono qui e si approfittano”. Si, è la storia della nazionalità che si ripete infinitamente, che divide chi lavora in nativi e forestieri, in aventi diritto e non.

Quando ti sposti per migliorare la tua

condizione e vendere il tuo tempo e la tua energia per mangiare, è questo il marchio che ti viene cucito addosso di solito. È una legge universale del mondo disegnato dai confini.

Ma la macchina era stata attrezzata come sempre dal caporeparto, le modalità di utilizzo, la combinazione tra pressione idraulica impostata e supporti era sbagliata. C’era scritto nel libretto di utilizzo della macchina, ma nessuno si era preso la briga di leggerla e informare, formare i lavoratori. Le energie in azienda sono orientate sugli ordini, sui tempi, sui costi, sulla produzione.

Nei lunghi giorni a casa, nel tempo scandito dell’attesa, da quel sabato mattina di giugno, a inizio turno, al suo rientro al lavoro Abdelmajid ha forse ripensato alla polvere delle strade in cui si giocava con niente, al vento e alle notti stellate, ai 40 giorni di digiuno e 40 notti di canti e balli, ai racconti magici che i vecchi erano soliti raccontare.

Non sapeva che al suo rientro in azienda, i suoi colleghi avevano preparato uno stampo dove inserire il suo nome “scorretto nei confronti dell’azienda”, “approfittatore”. Quanto siamo piccoli di fronte al creato, quanto lo siamo ancora di più dentro una società con questi codici.

Non è bastato quanto vissuto in silenzio e solitudine, qualcosa che si chiama mobbing lo attraversa, impregnandosi nel giornate. Quanto durerà? Fino alla pensione se andrà bene, fino a una qualche scusa che l’azienda adotterà per allontanarlo?

Chissà se Abdelmajid ha mai pensato all’inferno e quale consistenza abbia.
Quando varca la soglia dello stabilimento, sospira e trova la forza di chiudersi in un mondo di ricordi e speranze per evitare che qualche punzone gli buchi l’anima.

Renato Turturro

tecnico della prevenzione

Racconto pubblicato sul numero di aprile del periodico Lavoro e Salute http://www.lavoroesalute.org/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *