ACCADE IN ABRUZZO

Scelgo questa, tra le foto che ho già pubblicato, perché Rosaria Gasparro ne ha colto magistralmente il colore, il suono, il calore: “C’è in questa foto il senso ineluttabile della neve, col suo carico di isolamento, di silenzio, di gelo che fa male, di provviste necessarie per il provvisorio, si spera, di un’emergenza che si raddoppia nel tremore della terra. Sotto questa neve non cresce il pane. Si deposita glaciale nell’era senzacuore in cui lasciamo soli i vulnerabili. Sotto un cielo che si copre, si copre ancora. Nevica senza pudore sulle storie di altre sofferenze. Eppure in quell’andare nero e cauto del vecchio col bastone sento sciogliere il freddo e il bianco. Sento la piccolezza dell’essere umano e la sua pazienza col destino

Un anziano papà è morto nella mattina di mercoledì 18 gennaio a lume di candela e il figlio ha dovuto pagare dei contadini che spalassero la neve per far arrivare le pompe funebri. Un’anziana mamma è rimasta sola in casa per tre giorni, anche tra le ripetute scosse di terremoto, con la sua bombola di ossigeno, senza badanti, bloccate dalla neve, né luce né riscaldamento, finché figlia e nipoti non sono riusciti a raggiungerla per aiutarla a trasferirsi da loro. Una giovane donna viene dimessa dall’ospedale dopo un intervento, ma non può tornare a casa, perché le strade di accesso alla struttura sono impraticabili e non funzionano le comunicazioni telefoniche di alcun tipo (questo articolo è stato scritto prima delle notizie sulla valanga all’hotel Rigopiano, nel pescarese.., ndr).

Accade in una provincia che ha ceduto tutti i suoi fiumi all’Enel e ha rinunciato a una parte del proprio territorio e della propria bellezza per poter produrre elettricità, ottenendo tralicci che, oltre a non essere di ultima generazione, servono soprattutto la Capitale. Infatti per ripristinare i servizi ai cittadini vengono chiamati l’esercito e la protezione civile di Trento.

Una regione che ospita una delle vette dell’Appennino, come il Gran Sasso, messa in ginocchio da una nevicata. Un numero spropositato di comuni senza servizi e senza notizie, perché non funzionano i collegamenti telefonici e digitali. Non funziona niente, in realtà. Eppure tutti si attrezzano come possono. Ci si sveglia la mattina all’alba per spalare e recarsi al lavoro. Si fanno turni di assistenza ai familiari più fragili. Si cucina per i vicini che ci hanno aiutato nelle difficoltà.

Finché non ritorna il terremoto, a togliere l’ultima protezione, a devastare la tana. Ed anche la finestra da cui si guardava la neve cadere diventa minacciosa nel suo tremare mentre tutto cade, una, due, tre volte e ancora e ancora. Fino a notte fonda.

Mentre scrivo (nella notte tre il 18 e il 19, ndr) si sentono tonfi e botti spaventosi. Si salta di paura. Ma è la soffice neve, diventata ora un’arma pesante che scivola, scagliata dai tetti su siepi, alberi, auto, gazebi, pensiline di plexiglas… spero non sui viventi erranti, umani e animali.

L’Abruzzo che si arrende, ha titolato qualche testata. Chi non si arrende mai invece è una classe politica incompetente mossa da interessi sempre altri rispetto al bene comune.

Un cuoco di un rinomato albergo riesce a dare l’allarme dopo la prima scossa di terremoto di oggi delle 14,33: una slavina staccatasi dalla vicina montagna avrebbe travolto la struttura con otto dipendenti e ventidue clienti registrati. Croce rossa e 118 inviano sei ambulanze e un auto medica. Il presidente della Provincia invia una turbina per liberare la strada di accesso alla zona dell’albergo. A sette chilometri di distanza dall’albergo i soccorsi incontrano la punta della turbina che procede settecento metri all’ora, per cui i primi soccorritori non raggiungeranno l’albergo prima delle cinque di mattina.

Ma solo noi insegnanti passiamo tanto tempo a programmare gli interventi più idonei, classe per classe, situazione per situazione, riprogrammandoli in base anche agli imprevisti? Se così fosse, avrebbe ragione la maestra Claudia Fanti quando dice che “ci rendiamo conto sempre di più del fatto che siamo soli a governarci. Se ce la caviamo, tutto ok per i governi… altrimenti amen e pregheranno ai nostri funerali!”, con preghiere finte.

E mi scuso di non saper parlare degli animali abbandonati, delle stalle crollate, delle mucche vaganti in cerca di cibo… perché non vissuti in prima persona. So dire solo ciò che ho patito. Mai come in questi momenti avrei voluto saper dire di più e poter fare ciò che non so. Grazie Comune.

Carla Verdecchia

20/1/2017 www.womenews.net

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