Accenni di tregua su Gaza, la guerra di Netanyahu colpisce in America
Due giorni in più di pausa fino a giovedì mattina. Ossigeno per Gaza stremata, aiuti in arrivo nel nord in macerie e altri scambi di prigionieri e ostaggi. Ma Netanyahu ripete: la guerra non finisce qui. Infatti esplode sul mondo, con effetti devastanti, dall’Ucraina e la sua guerra declassata, agli Stati Uniti che certe guerre le alimentano ma poi non sanno come farle finire. Presidenza Biden a forte rischio.
Bomba Netanyahu sulla campagna elettorale Usa
La pesantissima operazione militare israeliana, dentro la Striscia di Gaza, colpisce anche di traverso, oltre Atlantico. I massicci bombardamenti di Netanyahu cadono a tappeto sulla campagna elettorale di Joe Biden, lasciando voragini. I giovani stanno abbandonando, copiosamente, il vecchio inquilino della Casa Bianca. Il motivo? Beh, fino a qualche mese fa sembrava che fosse solo un problema anagrafico. Oggi ci si è messo pure il Medio Oriente. Più dura la guerra di Gaza, più aumentano le vittime palestinesi e più calano, anzi, sprofondano gli indici di gradimento di Biden fra i giovani. Negli Usa il distinguo di partenza sull’attacco terroristico di Hamas che ha dato l’avvio alla tragedia è forte e la solidarietà a Israele, è storica e diffusa. Ma, 50 giorni di Gaza dopo, sono lentamente subentrate altre sensazioni.
Gaza sconfitta politica di Israele
Impressioni che si sono rafforzate, fino a diventare indignazione davanti ai filmati di una Gaza messa indiscriminatamente a ferro e fuoco. E l’insistere da parte del Presidente Biden, sulla necessità della reazione israeliana, e nonostante i tentativi di frenare lo sterminio gazawi e le persecuzioni in Cisgiordania, gli oltre 15mila cadaveri di palestinesi, tanti bambini tra loto, ha smosso prima le coscienze e poi gli umori politici.
Il New York Times avverte
Ieri, nella newsletter del New York Times, Nate Cohn, capo analista politico del giornale, spiegava che «molti giovani elettori sono sconvolti dalla sua gestione della guerra tra Israele e Hamas». Rifiuto di testa e di pancia: «Secondo il nostro sondaggio, il problema per Biden è che, ai giovani democratici, proprio non piace». Cohn si riferisce al recente ‘poll’ NyT-Siena, che ha praticamente fotografato una inquietante situazione di svantaggio per il Presidente uscente: se si votasse domani, Trump lo batterebbe (secondo i sondaggisti, è ovvio) perché è avanti negli ‘Stati oscillanti’, cioè quelli che danno i delegati decisivi e, quindi, la vittoria. Tra questi, ci sono Michigan, Arizona, Nevada, Pennsylvania e Georgia. Certo, non tutti i giovani contattati per esprimere le loro preferenze, dagli istituti di rilevamento, poi vanno a votare. E mentre aumenta l’area di ‘disaffezione’ verso Biden, si complicano tutti i pronostici.
Non solo economia ma politica estera
All’inizio della campagna elettorale per le Presidenziali, si pensava che i temi economici fossero il campo di battaglia più importante per conquistare la Casa Bianca. Ma si è visto che non è così. Oltre ad altri argomenti di scottante attualità sociale (criminalità, immigrazione, aborto, narcotraffico), sta venendo sempre più a galla, prepotentemente, la politica estera. Dopo un animato dibattito, spesso sfociato in polemica, sulla ‘guerra per procura’ in Ucraina, adesso è il turno del Medio Oriente. E sull’argomento, dopo alcuni giorni di ‘identità di vedute’, sentimento nazionale condiviso, i pareri sono andati via via sfilacciandosi, fino a contrapporsi. Fratture anche dentro l’Amministrazione Biden. Hanno interessato esponenti del governo (non ufficialmente), e moltissimi funzionari medio-alti, lo zoccolo duro della burocrazia federale. Tutti hanno espresso forti riserve, se non vero e proprio duro dissenso, per la politica di incondizionato sostegno (e copertura) offerta da Biden alle scelte belliche di Netanyahu.
La diplomazia e il mondo islamico
I diplomatici più saggi, quelli di maggiore esperienza, hanno avvertito il Presidente che l’acritica difesa di alcune politiche oltranzistiche di Netanyahu, avrebbe finito per fare inimicare agli Stati Uniti i rapporti con molti Paesi del Sud del mondo e con quelli ‘non allineati’. Non solo, ma avrebbe isolato progressivamente l’America nelle istituzioni diplomatiche internazionali, costringendola ad arroccarsi in una politica di retroguardia. Come in effetti è poi avvenuto al Consiglio di sicurezza dell’Onu, con il veto alla risoluzione proposta dal Brasile, per decretare un ‘cessate il fuoco’. E il peso dell’allineamento più o meno volontario di Biden alle strategie di Netanyahu (dopo averne trascurato le sue politiche oltranziste nell’ultimo anno) è ricaduto rovinosamente sulla sua incipiente campagna elettorale. E, più in generale, sull’armonia della società statunitense, sempre molto sensibile e reattiva davanti a crisi umanitarie epocali.
Bombe Usa su Gaza, effetto di ritorno
Proprio la conduzione della crisi di Gaza fatta dalla Casa Bianca, almeno all’inizio, ha portato molti istituti di rilevamento a sottolineare come Biden stesse perdendo non solo il voto dei giovani, ma anche quello dei ‘non bianchi’. Cioè, per spiegarci, di neri e ispanici, che nella sproporzionata rappresaglia israeliana a Gaza e nell’imbarazzante silenzio americano, hanno visto qualcosa di inaccettabile.
Ora si parla di Biden, che si batte (finalmente) per un cessate il fuoco. Evidentemente, qualcuno gli ha spiegato che, di questo passo, grazie alle bombe di Netanyahu, Donald Trump arriverà alla Casa Bianca in carrozza.
Piero Orteca
28/11/2023 https://www.remocontro.it/
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