Addio Jenin, simbolo della lotta contro l’Occupazione israeliana

Il campo profughi di Jenin è distrutto e i suoi 21.000 residenti sono stati espulsi dalle Forze di Occupazione Israeliane

Fonte: English  version

Di Gideon Levy – 26 marzo 2025 Immagine di copertina: Fumo si alza da un edificio in fiamme durante un’incursione israeliana nel campo profughi palestinesi di Jenin a gennaio. Credito: AFP/Jaafar Shtiyeh

Il campo profughi di Jenin è distrutto e i suoi 21.000 residenti sono stati espulsi dalle Forze di Occupazione Israeliane. Altre 400 case sono inabitabili. Le ruspe continuano il loro lavoro di distruzione nonostante il campo sia già diventato l’”orsacchiotto” promesso dal conducente della ruspa dell’IDF detto “Orso Curdo”, che si vantava delle sue azioni.

Era il 2002. Nel 2025, il campo di Jenin è ancora più un campo fantasma di allora; le sue case e le sue strade sono un ammasso di rovine con liquami che scorrono al loro interno.

Non vive più nessuno nel campo di Jenin. L’IDF spara a tutto ciò che si muove e nessuno osa avvicinarsi ai Campi di Sterminio. Il campo è morto e i suoi residenti sono stati esiliati per sempre. L’esercito ha annunciato che non avrebbe permesso che case e strade venissero ricostruite lì.

Per molti israeliani, questa è una bella notizia. Molti altri, probabilmente la maggioranza, scrolleranno le spalle. Per anni ci hanno detto che il campo di Jenin è un “nido di vipere”. Possono essere felici che il nido sia stato distrutto. Ma la distruzione di questo campo è un Crimine di Guerra particolarmente atroce. Coloro che conoscono il campo, e in particolare i suoi residenti, non possono che piangere questa settimana.

Varrebbe la pena prendersi un momento per guardare la narrazione dell’IDF, così come diffusa questa settimana dai suoi portavoce mediatici, coloro che non hanno mai messo piede in un campo se non dall’interno di uno dei veicoli blindati dell’IDF.

La distruzione del campo aveva lo scopo di “garantire la libertà di azione dell’esercito”, hanno spiegato i giornalisti: “L’operazione si sta ora concentrando sugli aspetti infrastrutturali e ingegneristici;” “i terroristi hanno costruito il campo fittamente e hanno ristretto le strade in modo che solo piccoli veicoli potessero attraversarle;” e “le case che sono state distrutte erano il minimo necessario”.

Il minimo dell’IDF è il più grande al mondo. Non sono stati i “terroristi” a costruire il campo, ma gli Emirati Arabi Uniti, che hanno contribuito alla sua ricostruzione dopo la sua distruzione nel 2002. Ironicamente, i pianificatori hanno fatto attenzione a mantenere le strade larghe quanto un carro armato, in modo che la prossima volta che l’esercito di distruzione avesse invaso il campo, i carri armati non avrebbero distrutto tutto sul loro cammino. E quali parole raffinate e diaboliche sono “aspetti infrastrutturali e ingegneristici” per giustificare la distruzione totale.

Jenin era un campo combattente, un simbolo della lotta contro l’Occupazione. Negli ultimi anni, molti uomini armati erano stati visti per le sue strade: era impossibile non incontrarli. Erano giovani uomini altamente motivati. Lavoravano in laboratori improvvisati, assemblando esplosivi progettati per impedire le incursioni delle IDF nel campo, come nel 2002.

Il campo di Jenin non si è mai arreso all’Occupazione. Se altrove si fosse trattato di una lotta per la libertà, il campo sarebbe diventato leggendario. Ne sarebbero stati girati dei film con giovani eroi.

Per quanto sia difficile crederci, il campo era un luogo di vita ordinaria. Aveva un meraviglioso teatro che metteva in scena spettacoli per bambini e adulti. C’era una vita sociale e culturale, per quanto fosse possibile nella dura realtà di un campo profughi. Ai matrimoni poveri, solitamente celebrati in strada, gli invitati gettavano delle monete in un sacchetto, senza che nessuno sapesse l’importo del regalo per la giovane coppia, per non mettere in imbarazzo nessuno. C’era uno spirito di solidarietà.

Foto: Il “Freedom Theater” nel campo profughi di Jenin.

Tutti i suoi abitanti erano profughi e figli di profughi che Israele aveva espulso dalla loro terra nel 1948. I residenti vivevano per un passato tanto desiderato. Una società radicata nel suo passato e nella sua sofferenza, come la società israeliana, dovrebbe essere in grado di apprezzarlo. Quando arriviamo a distruggere il loro campo per la seconda volta in 25 anni, 77 anni dopo essere stati espulsi dalla loro terra, come ci si può aspettare che ignorino la storia.

Il campo di Jenin è un progetto pilota. I campi di Nur al-Shams e Tulkarm sono i prossimi. L’esercito ha piani per tutti i 18 campi. Quando chiudi uno zoo, ci si assicura di spostare gli animali in un posto sicuro. Quando si chiude un campo profughi, i suoi residenti vengono gettati indifesi ai lati della strada, per la seconda e la terza volta nella loro vita. Ecco come risolveremo il problema dei profughi: li trasformeremo in profughi disperati.

Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato a Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo ultimo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

28/3/2025 https://www.invictapalestina.org/

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