Aggressioni in sanità. Alcune spiegazioni sul conflitto utenti vs operatori

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Il numero maggiore delle proteste aggressive contro il personale sanitario si verifica nelle strutture dove la risposta ai bisogni di cura è inadeguata e spesso impedita. Gli atti, comunque deprecabili, hanno mandanti facilmente individuabili negli ambiti decisori delle politiche sanitarie, verso i quali dovremmo indirizzare la rabbia. Non dobbiamo cadere nella trappola della guerra tra gli ultimi, per evitare che la pistola Taser venga utilizzata nei pronto soccorso per ammansire i cittadini arrabbiati.
Su questo problematico tema ospitiamo un contributo della Dott.ssa Flavia Cavalero che collabora con lo sportello regionale della Federconsumatori Piemonte

La violenza sui posti di lavoro è un problema serio e in forte aumento negli ambienti sanitari. L’Organizzazione Mondiale di Sanità afferma che violenza e molestie colpiscono tutti i gruppi di operatori nei vari ambienti del settore sanitario:

. Fino al 62% degli operatori sanitari ha subito forme di violenza sul posto di lavoro;
. L’abuso verbale (58%) è la forma più comune di violenza non fisica;
. Seguono le minacce (33%) e le  molestie sessuali (12%).

Cosa sta succedendo?

Nell’immaginario collettivo, dove sono finiti gli eroi del tempo del Covid? La domanda è lecita, visto che la maggior parte della violenza è commessa da pazienti e visitatori.
Quando ci si trova difronte a un fenomeno complesso come questo non c’è una sola risposta e anche l’analisi della situazione è complessa. Da una parte ci sono i cittadini consumatori che non riconoscono più il sistema sanitario nel modo in cui lo hanno in mente:

. code lunghissime prima di essere accolti, che si tratti di ambulatori o Pronto Soccorso;
. liste di attesa interminabili anche a fronte di analisi urgenti;
. poco personale e carenza di letti e posti di ricovero.

Problemi questi che trovano immediata soluzione a fronte di pagamento e visite a livello privato.
Dall’altra parte ci sono gli operatori che, oltre a dover affrontare gli stessi problemi, quasi sempre, non sono sufficientemente formati a gestire l’aggressività del pubblico.
Abbiamo a che fare con un fenomeno, purtroppo in espansione, che vede tutti i protagonisti in seria difficoltà e che deve essere risolto perché è deleterio, sia per la salute delle parti coinvolte. sia perché gli ambienti sanitari devono essere luoghi sicuri da tutti i punti di vista e devono essere così per tutti.

E’ importante sottolineare che ogni volta che in un ambiente sanitario avviene un litigio le conseguenze vengono subite da tutti, sia in termini di tempo che viene sottratto allo svolgimento del lavoro, sia in termini di clima emotivo.
Sia gli operatori, sia i cittadini consumatori dovrebbero ricordare che in un ambiente sanitario:

. non c’è chi sta bene, semmai la classifica è fatta sul dolore. Quindi, se qualcuno passa prima, è perché c’è chi ha valutato, con cognizione di causa, che ne ha più bisogno;
. chi è in quel luogo, in attesa del suo turno, comunque sta male, quindi può avere un momento di nervosismo e la capacità di gestire quella emozione negativa dipende anche dalla risposta che riceve; è da tener presente che ognuno di noi quando ha male o pensa di essere a rischio se non rassicurato può essere facilmente colto da ira o rabbia contro il sistema;

. ai nostri giorni il Sistema Sanitario sta mostrando grandi problemi e la differenza è fatta dalle persone che lo compongono e da coloro che ne usufruiscono.

I luoghi di cura non possono diventare ambienti in cui ci si ammala e dove si agisce per ansia e stress, né devono diventare teatro di manifestazioni di rabbia. La relazione tra chi sta bene e chi sta male, tra chi cura e chi è curato, è asimmetrica per natura. Chi è dalla parte migliore deve farsi carico anche dell’onere di comunicare, in modo chiaro e comprensibile, e di ascoltare. Ma c’è una terza parte ancora, che è quella di sistema che deve provvedere a fornire gli strumenti, gli spazi e un numero adeguato di personale, per far sì che tutto funzioni nel miglior modo possibile.

Dott.ssa Flavia Cavalero

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