Alla Cgil non resta altro che fare conflitto

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Servirà un governo esplicitamente di destra per consentire alla Cgil, e forse anche al resto del sindacato confederale, un ripensamento su questi ultmi dieci anni di relazioni con i vari governi succedutosi?
Ce lo chiedamo in riferimento all’avvicinarsi del suo congresso nazionale per capire, come lavoratori e pensionati, se si chiederà come fare a fronte a una fase non breve di ulteriore attacco ai diritti del lavoro per gli occupati e al bisogno di lavoro di milioni che ne sono sprovvisti e senza la speranza di qualche opportunità.

Se la risposta che arriverà dal congresso sarà preconfezionata ricalcherà il comunicato stampa sulla crisi di governo: «ribadiamo con forza che la crisi sociale deve essere la priorità che tutti devono avere presente, non è il momento di indebolire il Paese e bloccare le riforme», e allora il congresso sarà inutile, semmai forse sarà utile a ridimensionare il peso dei dirigenti più legati al PD (vedi il segretario dello SPI Pedretti) che hanno portato la Cgil ad essere vista come succube dei governi a traino PD, quelli di centrosinistra e gli ultimi due di centrosinistra/destra, in contraddizione con l’attivismo, con relativi risultati, prodotto contro i governi Berlusconi.

Perchè c’è questa convinzione popolare? Perchè ancora una volta la dirigenza della Cgil – con l’appoggio entusiasta di Cisl e Uil da sempre accorti nelle critiche ai governi – con quel comunicato ha derubricato la storia recente del rovinoso impatto di Draghi sull’Italia. Quindi ci pare utile, sempre in merito a quel comunicato sulle dimissioni di Draghi, non richieste dai Partiti di governo, ricordare che di Draghi era la famosa lettera della BCE nel 2011.
In quella lettera si imponeva quanto poi lui ha direttamente – come presidente del Consiglio, non eletto – portato quasi a termine, preparando di fatto il lavoro del prossimo governo nelle mani di Meloni, Salvini e Berlusconi, con la cosiddetta Agenda Draghi.

1) Piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e delle professioni tramite urgenti facilitazioni sulle privatizzazioni;

2) Riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, riducendo gli stipendi.

3) Rimodulare il sistema di contrattazione nazionale, per facilitare accordi d’impresa in modo da ridurre i salari e far prevalere le esigenze di ulteriore produttività sulle condizioni di lavoro a prescindere dal numero, record in Europa, di malattie professionali, di infortuni e morti sul lavoro.

4) Drastica riduzione delle norme per l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, come ulteriore passo dopo l’eliminazione dellArt.18;

5) Riformare ulteriormente, dopo la Legge Fornero, il sistema pensionistico, riducendo i criteri di per le pensioni di anzianità e assimilando le lavoratrici del settore privato con quelli già ridotti nel settore pubblico.

E come ciliegina sulla torta avvelenata è pronta la Legge di secessione del nord, conosciuta come Autonomia Differenziata.

Seppur indebolita dalle sue scelte di questi ultimi due decenni, la Cgil rappresenta ancora la maggiore forza sindacale capace, se vuole, di impedire ulteriori smottamenti dei diritti del lavoro, del residuo Stato Sociale, come della stessa democrazia debilitata da decenni di politiche anticostituzionali, confermate dalla corposa vittoria elettorale del centrodestra trainato dai lontani eredi del fascismo che hanno inglobato personaggi politici mercenari dello stesso campo di destra. Ma ancora più preoccupante risulta il voto dato loro dai lavoratori.

Questo voto del 25 settembre dovrebbe diventare il faro della discussione congressuale per due semplici motivi:

  • primo perchè è un governo che non darà solo le mazzate soft di Draghi al sindacato, e in particolare alla Cgil come ha ricodato la Meloni in campagna elettorale;
  • Secondo perchè la diabolica Agenda Draghi, tanto amata dal PD – e quindi dai suoi dirigenti e funzionari nella Cgil – sarà il faro per il cammino del governo e quindi o la si disconosce esplicitamente, e quindi la si combatte nelle piazze e suoi luoghi lavoro, oppure diventerà la bibbia che verrà letta a chi verrà concesso di trattare sui tavoli governativi.

Landini potrà riformulare in sindacalese la domanda “La Cgil si chiederà che fare?” ma la sostanza è quanto gli viene chiesto. Saprà, e vorrà, anche senza esplicite abiure sul recente passato (vedi equilibri interni), porsi come argine a difesa di quel poco che resta e come proposta per riprendere quanto rubato ai lavoratori stabili, ai precari, ai disoccupati, ai pensionati?

Franco Cilenti

Editoriale del numero di ottobre del mensile Lavoro e Salute

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