Altro che reddito di cittadinanza: i 5 Stelle propongono il ricatto della disoccupazione

La cronaca di questi giorni ha portato all’attenzione di tutti il presunto arrembaggio, in più parti del sud Italia, di folle di “sfaticati” pronti a compilare i moduli per ottenere il reddito di cittadinanza dopo il successo elettorale del Movimento 5 Stelle, che proprio su quella proposta aveva puntato per raccogliere i voti dei disoccupati e dei precari. L’immagine biblica di queste folle di diseredati in cerca di salvezza è solo l’ultimo capitolo di un dibattito surreale che circonda la proposta dei 5 Stelle. Come proveremo a spiegare, i 5 Stelle mentono, provando a spacciare per#redditodicittadinanza qualcosa di sostanzialmente diverso e ben più pericoloso, mentre le altre forze del teatrino politico – anziché criticare il merito della proposta – puntano il dito contro il fatto che la misura richiederebbe un aumento della spesa pubblica, usando dunque contro i 5 Stelle la stessa arma che l’Europa usa ogni giorno contro qualsiasi proposta di stimolo pubblico dell’economia.

Innanzitutto il Movimento 5 Stelle non ha mai proposto l’istituzione del reddito di cittadinanza: la misura suggerita dal partito di Di Maio consiste in un reddito minimo garantito, e tra le due cose sussistono differenze rilevanti. Infatti il reddito di cittadinanza, mai proposto dai 5 Stelle, è un trasferimento incondizionato da parte dello Stato ai cittadini: ogni cittadino, in quanto tale (da qui il nome ‘reddito di cittadinanza’) e a prescindere dalla propria posizione lavorativa ed economica, avrebbe diritto a tale forma di reddito. Ben diverso invece è il reddito minimo garantito, che è un trasferimento condizionato a cui hanno diritto solamente i cittadini disoccupati oppure quegli occupati che percepiscono un salario inferiore ai 780 euro, per i quali si prevede un’integrazione al salario già percepito: per fare un esempio, un lavoratore che guadagna 600 euro al mese riceverebbe un trasferimento di soli 180 euro.

Quasi tutti i principali quotidiani, nonché alcuni sedicenti esperti di economia, si sono affrettati a criticare questa manovra in quanto irrealizzabile perché priva di una copertura finanziaria. E dopo essersi fatti beffe di un’intera classe di disoccupati e precari condannati alla misera ed in cerca di dignità, si è puntato il dito contro i 5 Stelle – venditori di sogni che avrebbero speculato sulla povertà propagandando una misura non sostenibile dal punto di vista finanziario.
Ma criticare l’assenza di coperture per questa misura significa, una volta di più, legittimare quel regime di austerità voluto dall’Unione Europea che è il primo responsabile della crisi. Peraltro, gli stessi 5 Stelle provano a rimanere nel campo della compatibilità dei vincoli europei ingegnandosi per individuare forme di finanziamento del reddito minimo garantito che rispettino i parametri del Fiscal Compact. Questo è un esempio molto chiaro di come l’austerità abbia colonizzato le menti dei commentatori, i quali percepiscono e addirittura propagandano l’assenza all’interno dell’eurozona di qualsiasi spazio di manovra fiscale per stimolare crescita e occupazione. La critica non viene posta sul tipo di manovra, non si può neanche entrare nel merito della politica fiscale perché “non ci sono i soldi”, né per questa né per altre vie d’uscita dalla crisi. Ciò significa che qualsiasi tentativo di fare spesa pubblica viene di fatto bloccato, a prescindere dai suoi contenuti.

La critica alla proposta dei 5 Stelle deve invece spostarsi su un altro piano. Il reddito minimo garantito è infatti uno strumento pericoloso, perfettamente coerente con una visione liberista del mercato del lavoro e solo apparentemente capace di migliorare lo stato sociale.
Ricordiamo come uno dei più famosi economisti liberisti del secolo passato, Milton Friedman, vedesse in strumenti simili un utile tassello in un quadro complessivo di riforme economiche utili per garantire il predominio assoluto del mercato sullo Stato. Politiche di questo stampo sono perfettamente coerenti con un sistema economico liberista, in quanto il lavoratore ottiene solamente un’elemosina ma fondamentalmente resta “prigioniero” dei ricatti dei datori di lavoro. Infatti, la condizione principale per ricevere il reddito minimo garantito prevede che il beneficiario non possa poi rifiutare le proposte di lavoro (per la precisione può rifiutarne solamente due) che gli avanza il centro per l’impiego al quale è costretto ad iscriversi.
In questo quadro, il reddito minimo garantito potrebbe rappresentare un grimaldello per scardinare quelle deboli resistenze della popolazione ad accettare lavori sempre più precari, mal retribuiti e logoranti. Infatti, indirettamente, questi potenziali lavoratori – perché fino a quando percepiscono il reddito minimo garantito sarebbero comunque a tutti gli effetti disoccupati – eserciterebbero una ulteriore pressione al ribasso sui salari e le condizioni lavorative dei restanti lavoratori. L’artificiosa concorrenza tra lavoratori e disoccupati in cerca di lavoro è lo strumento di moderazione salariale di cui il sistema capitalistico ha bisogno per trarre maggiori profitti, e che Marx spiegava con la metafora dell’esercito industriale di riserva. Ecco perché è importante sottolineare che i 5 Stelle non hanno mai proposto il reddito di cittadinanza: quest’ultimo, essendo incondizionato, potrebbe agire in senso opposto – consentendo ai disoccupati di attendere un lavoro dignitoso senza fare la fame – mentre il reddito minimo garantito condiziona il trasferimento monetario all’accettazione, prima o poi, di un qualsiasi lavoro, mettendo il disoccupato con le spalle al muro.

Ciò di cui i lavoratori avrebbero veramente bisogno, invece, è un aumento della protezione sotto forma di salario minimo (ossia un salario orario al di sotto del quale non si possa scendere), forme di indicizzazione dei salari, politiche di pieno impiego e azioni di rafforzamento del potere contrattuale come, ad esempio, il ripristino della centralità della contrattazione nazionale. Persino alcune forme di reddito minimo garantito, se liberate dalla trappola della condizionalità, inserite all’interno di un quadro politico volto al perseguimento della piena occupazione e affiancate dal rafforzamento del potere contrattuale dei lavoratori potrebbero assumere tutt’altra valenza sociale. In quel diverso contesto potrebbero costituire un ulteriore beneficio per i lavoratori e non, come sono nel quadro delle proposte dei 5 Stelle, un ambiguo sostituto di ben più efficaci strumenti di tutela del lavoro. In questo senso, pensiamo sia fondamentale smontare il falso dilemma che ci viene propinato, come se avessimo a disposizione solo due alternative: o mercati del lavoro molto regolamentati accompagnati da forte disoccupazione, che sarebbe proprio dovuta alle rigidità imposte da queste tutele, o mercati flessibili con il palliativo del reddito minimo a salvaguardia delle fasce più svantaggiate.
La verità che le istituzioni europee nascondono ed i 5 Stelle si guardano bene dal rivelare è ben diversa: forti tutele e soglie di reddito garantite possono tranquillamente viaggiare insieme ad una politica di pieno impiego.

La criticità del reddito minimo garantito risiede dunque nel ricatto della condizionalità e nelle disastrose condizioni odierne del mercato del lavoro, che non vengono messe minimamente in discussione.

Coniare Rivolta

* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.wordpress.com/

14/3/2018 http://contropiano.org

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