Alzheimer ai tempi del coronavirus

La malattia di Alzheimer conta a oggi circa 40 milioni di casi nel mondo di cui circa oltre 10 milioni in Europa e circa un milione di persone dai 60 anni in poi, solo in Italia.

Scoperta all’inizio del secolo scorso da uno psichiatra tedesco, Alois Alzheimer, non si tratta di una semplice patologia legata all’invecchiamento, ma di una malattia degenerativa del cervello che può colpire le persone fin dai 30-40 anni di età. La malattia di Alzheimer è senza dubbio la prima fra le diverse forme demenze, coprendo ben oltre il 50% dei casi e, dalla sua scoperta è in costante aumento.

Sebbene sia noto il meccanismo che causa la degenerazione delle cellule neuronali (accumulo di beta-amiloida) non sono ancora disponibili delle cure farmacologiche totalmente efficaci. I farmaci attualmente in uso possono solo ritardare lo sviluppo della malattia e, allo stesso scopo, sono state sviluppate diverse tecniche e terapie non farmacologiche che sono prese sempre di più in seria considerazione per il mantenimento della qualità della vita delle persone affette. La ricerca è orientata verso la diagnosi precoce e la sperimentazione di nuovi farmaci che possano rimuovere l’accumulo di beta amiloide, nei soggetti che si trovano in una fase molto iniziale della malattia.

A livello italiano sono attive diverse associazioni, formate soprattutto dai familiari delle persone affette da questo terribile morbo che porta alla perdita delle autonomie, richiedendone una assistenza attenta e continuativa.

Con il lockdown per il coronavirus, il sistema sanitario italiano ha bloccato i protocolli di ricerca e di sperimentazione per avanzare nella cura di una malattia che potrebbe colpire vastissime aree della popolazione ultracinquantenne nei prossimi anni. In particolare le associazioni dei familiari lamentano l’assenza delle istituzioni in un momento estremamente delicato per coloro che, già fragili per il morbo di Alzheimer e per le diverse forme di demenza, si sono visti abbandonare a se stessi, senza il necessario accompagnamento negli ospedali, a causa delle misure anti-contagio.

Le informazioni dei media, il clima sociale e le misure anti-contagio hanno fatto registrare sia nelle residenze protette più o meno specializzate, che nei casi di assistenza presso le famiglie, un notevole calo psico-fisico dei malati di Alzheimer che, nonostante la ridotta capacità cognitiva, hanno una grande capacità di contatto empatico ed emotivo con il mondo che li circonda, in cui la preoccupazione e l’ansia sono per loro dei veri e propri veleni.

Ci auguriamo che l’arrivo di fondi europei e l’intenzione sbandierata da tutti i colori politici di questo paese, di priorizzare la sanità negli interventi finanziari, non si smentisca subito e si ricordi (dato che di memoria si tratta) di questi malati e di chi se ne prende cura.

Silvia Nocera

21/9/2020 https://www.pressenza.com

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