AMBIENTE: QUELLO CHE GLI INDUSTRIALI NON DICONO
Spunti di politiche tematiche a cura di DORINO PIRAS candidato alle elezioni regionali del Piemonte per la lista PIEMONTE POPOLARE
Gli industriali stanno chiedendo nei fatti all’Unione Europea di fare marcia indietro sulla questione ambientale.
“Si uccide l’industria” ululano, proprio quando i venti della recessione iniziano a sferzare.
Una delle cose che abbiamo imparato da queste crisi finanziarie è il fatto che il libero mercato smette di funzionare e crea disastri nel momento in cui gli attori del sistema, noi in definitiva, non possiedono tutte le informazioni corrette. I prezzi, in definitiva, non rispecchiano il vero valore delle cose e via discorrendo fino a momenti di crisi globale come l’attuale.
Ecco quindi il nuovo mantra proclamato urbi et orbi: lasciateci inquinare un po’ di più, o almeno un po’ più a lungo. In caso contrario arriverà il diluvio universale.
Noi non siamo eco-catastrofisti gratuiti, ma come dicevamo prima, qualche cosetta di politica e di economia l’abbiamo imparata.
Se quindi vogliamo giocare tutti ad armi pari, basterebbe ottenere una cosa molto semplice: fare emergere quali sono i veri costi ambientali e sociali delle attuali produzioni e chi le paga.
In modo cioè che il mercato sappia e mostri i veri costi delle merci prodotte: il prezzo totale dovrà cioè esprimere la propria verità ecologica.
In caso contrario il mercato venderà le merci prodotte a prezzi inferiori rispetto ai costi totali veri, per la semplice ragione che questi non conterranno le risorse destinate al disinquinamento, alle cure delle malattie correlate, allo
smaltimento dei rifiuti prodotti e che continueranno ad essere pagati dalla comunità nella sua generalità attraverso le tasse, ribaltando cioè questi costi all’esterno, sulla comunità. Che poi siamo noi cittadini sottoposti alle tasse.
ECONOMIA E AMBIENTE
L’ampio spazio che il tema dell’ambiente si è guadagnato anche nei medi tradizionali non sembra convincerci del fatto che siamo vicini ad una soluzione del problema. Al contrario analisi discordanti e ricette varie forse complicano le nostre sensazioni e ci restituiscono al nostro precedente senso di incapacità, impotenza.
Nella stessa comunicazione iniziano a manifestarsi falle pericolose che vanno dalle solite contrapposizioni tra esperti sui dati alla produzione di un’apatia diffusa come reazione al catastrofismo.
Chi si occupa d’ambiente registra, sempre più, una strana anomalia. Pur facendo laparte del leone in quasi tutte le nostre attività, l’economia o meglio gli economisti rappresentano la voce più flebile. Ciò potrebbe indurci in sospetto, visto che gli
stessi spesso ammettono che l’ambiente rappresenta uno dei “fallimenti del mercato” dove il liberismo non trova spazio di manovra. Personalmente credo che la scarsa conoscenza del livello economico applicato all’ambiente sia invece una
grave mancanza, una linea di sviluppo necessaria e imprescindibile. E non sto solo parlando di “semplici” applicazioni come le analisi costo-beneficio, ma dell’economia più profonda. Per intenderci quella che ci fa riflettere sul come ripartire tra usi alternativi le risorse che una società possiede e che ci mostra le possibili cause che determinano l’attuale situazione di scarsa efficienza nel loro impiego, oltre ai danni dei costi nascosti che tutti noi paghiamo senza accorgercene.
Un’economia dell’ambiente che ci spiegherebbe perché proprio quella parte dell’industria che accusa la politica di non possedere una visione economico- aziendalistica, preferisca l’attuale sistema di “comando-controllo” con limiti di emissione e scarse sanzioni, che sbraita contro l’uso da parte dell’Amministrazione di veri e propri strumenti economici che le indurrebbe a cambiare approccio nella produzione dell’inquinamento. Come anche mettere alla frusta ipotesi poco fattibili
e fantasiose che non tengono conto dello stato attuale delle cose e che ci farebbero magari risvegliare in un mondo dove la mobilità è solo animale o in una eco- dittatura insostenibile.
Questa è solo una parte del problema, ma ne è un passaggio ineliminabile. Anche nel momento in cui abbozzassimo una forma di mondo a noi gradito, la traduzione di questo non può saltare l’economia. Le stesse politiche dovranno sempre più confrontarsi ed usare strumenti economici, ma questa volta che non scambino i valori con i costi. L’economia ambientale, quella equa e solidale, è uno dei campi veri su cui si giocheranno anche le nuove capacità amministrative che tra pochi
giorni dovremo scegliere.
UNA VECCHIA DOMANDA DI LOMBORG
Sempre per il tema elezioni e ambiente sarebbe interessante valutare non tanto il tasso di ambientalismo delle diverse formazioni, quanto che uso vorrebbero fare degli strumenti che le politiche ambientali pongono a disposizione.
Infatti esiste un ventaglio di opzioni che vanno dalla possibilità di creazione di nuovi posti di lavoro alla scelta di politiche economiche quali il passaggio dalle tasse sul lavoro a quelle sulle emissioni e diversi altri strumenti secondo gli sviluppi della scienza economica ambientale.
Un timido accenno era stato fatto in passato nel proporre qualcosa di simile al sistema del doppio dividendo. Per non cadere nella solita proposizione tipo “più lampadine per tutti” che lasciano il tempo che trovano dopo la nuova corsa alle centrali nucleari, ritengo interessante riproporre la domanda di Biorn Lomborg, “l’ambientalista scettico” che attraverso la creazione della Copenhagen Consensus Conference ha costruito un interessante discussione attorno ad un semplice quesito:
If the world would come together and be willing to spend, say, $50 billion EXTRA over the next five years on improving the state of the world, which projects would yield the greatest net benefits? (in sostanza: se la terra avesse la possibilità e volesse spendere 50 milioni di dollari in più nei prossimi 5 anni per migliorare lo stato del mondo. quali progetti potrebbero avere i migliori benefici netti?). La domanda è sottile per diverse ragioni.
Oltre a definire una risorsa certa e determinata, senza il solito tormentone del dove prendo i soldi, ci chiede non quali interventi vorremmo fare, ma quali progetti possiedono il requisito del beneficio netto marginale, cioè quali progetti posseggono realmente la qualità dell’efficienza economica. In soldoni quali sono le azioni che ottimizzano meglio la spesa, allocano al meglio le risorse.
La risposta a questa domanda, ad esempio, porterebbe a definire una vera e propria lista di priorità a seconda dell’efficienza del progetto.
Chiaramente nel nostro caso dovremmo caratterizzarla più precisamente per il settore ambiente, lasciando però che le priorità che scaturirebbero contengano anche altri tipi benefici extrambientali.
Questa ritengo sia la domanda corretta che la politica deve porsi nel momento in cui decide di destinare le risorse, sempre poche comunque, che ha a disposizione.
DORINO PIRAS
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