Analisi dell’attentato ai gasdotti Nord Stream 1 e 2

I gasdotti  Nord Stream 1 e 2

Il 26 settembre s’è verificato il ben noto attentato alla doppia tratta dei gasdotti Nord Stream 1 e 2, con esplosioni sottomarine nei fondali attorno all’isola danese di Bornholm, in un’area solitamente sorvegliatissima da navi e aerei della NATO, essendo piuttosto vicina agli stretti del Kattegat e dello Skagerrak che collegano il Mar Baltico all’Oceano Atlantico.

Il 1° ottobre funzionari danesi hanno riferito che le perdite di metano fuoriuscite dalle quattro falle complessive si sono arrestate dopo che la pressione si è stabilizzata. Il mistero su chi ha davvero attuato il clamoroso sabotaggio resta al momento tale, almeno finchè non si scenderà a 80 metri di profondità con veicoli e sensori subacquei per indagare.

Uno dei nodi principali sarà capire se le esplosioni sono avvenute all’esterno o all’interno dei tubi, il che potrebbe già suggerire molte cose. Sempre il 1° ottobre il giornale tedesco Der Spiegel ha pubblicato stralci di una prima inchiesta dei servizi segreti germanici BND (presumibilmente ancora in corso) secondo cui “la potenza delle deflagrazioni rilevata dai sismografi indicherebbe 500 chili di esplosivo per ogni falla”.

E’ una quantità molto maggiore dei 100 chili di tritolo stimati nei primissimi giorni da fonti militari svedesi. Per il giornale tedesco “la quantità di tritolo rafforza l’ipotesi che l’autore sia uno Stato e non un’organizzazione terroristica”. Mentre USA e NATO hanno da subito fatto capire di considerare responsabile dell’attentato la Russia (secondo una strana logica per cui i russi avrebbero voluto semplicemente danneggiare una infrastruttura da essi stessi voluta e gestita), Der Spiegel lascia aperta la porta all’ipotesi che possano essere stati gli americani, ricordando le frasi pronunciate nei mesi scorsi dal presidente Joe Biden: “Porremo fine al North Stream. Siamo in grado di farlo”.

Il giornale tedesco lasciava aperta, come unica possibilità di responsabilità russa, l’ipotesi che Gazprom non volesse pagare multe per la mancata consegna del metano ma non pare molto plausibile, considerato che le sanzioni, il blocco del North Stream 1 e la mancata operatività del Nord Stream 2 sono in ultima analisi causate dall’ostilità espressa dai paesi occidentali.

Fra gli aspetti più interessanti, sembra esserci la valutazione di 500 chili di esplosivo per ogni falla come quantità indicativa. Ammesso che quella dei servizi BND sia una stima credibile, si tratta di una notevole quantità che potrebbe rafforzare la pista della posa di ordigni dall’esterno, con mine telecomandate, sottomarini o droni subacquei.

Tutto il contrario di quanto scriveva lo stesso giorno il quotidiano britannico Guardian, che propendeva più per l’uso di “robot telecomandati per la manutenzione interna dei tubi, che avrebbero posato gli ordigni”.

Mine interne al tubo implicherebbero come potenziali responsabili solo Russia e Germania, che controllano i due capi delle condotte. Ma posare ordigni da 500 chili ciascuno è più facile dall’esterno, poiché per un ordigno che proviene (indipendentemente dal tipo di vettore) dal mare aperto, non ci sono limiti dimensionali, essendo all’esterno, inoltre lo stesso ambiente subacqueo allevia i pesi grazie alla spinta d’Archimede.

Diverso il caso di una mina trasportata, come sostengono gli inglesi, attraverso il cavo, tecnicamente la “luce”, della conduttura. I tubi del Nord Stream, per quanto si sa, hanno un diametro interno di poco superiore a un metro, per l’esattezza vengono dichiarati “1153 mm”.

Lo spazio è certo più angusto per poter trasportare una grossa carica esplosiva, per quanto sia vero che anche un ordigno con 500 chili di esplosivo possa essere eventualmente sagomato in forma oblunga, per ovviare agli ingombri, il che, per contro, potrebbe far disperdere su un’area troppo ampia la forza dell’esplosione, rischiando un effetto inferiore al voluto.

Prima di dati concreti derivabili da una seria indagine, queste sono solo illazioni, ma un aspetto potrebbe già essere preso per buono. Che cioè se “vincesse” l’ipotesi dell’ordigno esterno alla tubazione, diverrebbe più plausibile l’ipotesi di una responsabilità anglo-americana, dato che mezzi navali e sottomarini, anche telecomandati, di Washington, Londra o di altri alleati potrebbero muoversi molto facilmente in quel braccio di mare, diversamente da analoghi mezzi russi.Note: L’attacco ai gasdotti Nord Stream è avvenuto in una zona controllata dalla Nato https://lists.peacelink.it/pace/2022/10/msg00003.html

Sabotaggio a gasdotti russi Nord Stream, ex ministro polacco scrive “grazie Usa” su Twitter
https://lists.peacelink.it/pace/2022/10/msg00004.html

Sull’attentato Marco Frigerio (studioso di storia militare) dice: “La narrativa che siano stati i russi a me non torna”. Ne ragiona con il prof. Gastone Breccia dal minuto 7.15 https://youtu.be/bVj-tUKLGpQ

Mirko Molteni (Analisi Difesa)

6/10/2022 https://www.peacelink.it

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